Il Governo appeso a una sentenza?

Pubblicato il 29 Luglio 2013 alle 16:39 Autore: Gabriele Maestri

Mettiamo pure che domani sia effettivamente l’ora B. Supponiamo dunque che la Suprema Corte di Cassazione – facendo valere tutte le sue maiuscole – già domani emetta la sua sentenza per concludere (definitivamente?) il processo a Silvio Berlusconi sulla vicenda della compravendita dei diritti tv. È giusto chiedersi come finirà in aula, ma non si può evitare di pensare alle conseguenze che un esito o l’altro potrebbero provocare in altre aule – quelle delle Camere – e a Palazzo Chigi. Sembra tramontata l’ipotesi che da una conferma della condanna di Berlusconi possa automaticamente derivare la caduta del governo presieduto da Enrico Letta, ma vale la pena esaminare le varie ipotesi possibili.

Conviene partire, ovviamente, dal caso più semplice, ossia la cassazione della sentenza d’appello senza rinvio alla Corte d’appello, con la Suprema Corte che ritiene di poter assolvere l’ex Presidente del Consiglio in base agli accertamenti di fatto svolti nei gradi precedenti. Si tratta del caso più semplice perché, sul piano della stabilità del Governo, dovrebbe cambiare piuttosto poco: i parlamentari del Pdl gioiranno per l’ennesimo tentativo di affondare Berlusconi per via giudiziaria e diranno che l’esecutivo uscirà rafforzato da questa esperienza. Rafforzato, forse, ma con nuove grane da affrontare per il Pd: in caso di assoluzione di Berlusconi, infatti, è improbabile che il Pdl non alzi la posta, pretendendo che la “sua” riforma della giustizia sia messa quanto prima tra le priorità da affrontare, così come non è da escludere che acquistino più consistenza le richieste avanzate nei giorni scorsi da esponenti berlusconiani come Brunetta, per un riequilibrio della squadra di governo a favore del Pdl, magari minacciando una crisi davanti a resistenze di Letta.

Se la Corte dovesse cassare sì la sentenza di appello, ma rinviandola a un’altra sezione del giudice di secondo grado, probabilmente non si avrebbe una situazione diversa da quella descritta nelle righe precedenti. Sul piano giudiziario, sarebbe difficile (per non dire quasi impossibile) arrivare a una nuova sentenza di appello entro i termini della prescrizione, dunque la vicenda processuale di cui si parla ora non si chiuderebbe con una condanna di Berlusconi; sul piano politico, resterebbe comunque la cassazione della prima sentenza, con il riconoscimento da parte della Suprema Corte che i giudici a Milano avevano “giudicato male”, tanto basterebbe al Pdl per sventolare di nuovo la bandiera dell’accanimento giudiziario, con i risvolti già analizzati prima. Un eventuale rinvio dell’udienza, magari con l’affidamento della vicenda di nuovo alla terza sezione della Corte, rimanderebbe il problema ma probabilmente andrebbe a vantaggio di Berlusconi e non metterebbe in pericolo il governo.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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