Berlusconi: non decadere per salvarsi

Pubblicato il 4 Settembre 2013 alle 16:01 Autore: Gabriele Maestri

Prosegue il conto alla rovescia verso la seduta della Giunta delle elezioni e delle immunità del Senato e, giorno per giorno, si cerca di analizzare ogni dettaglio della vicenda di Silvio Berlusconi e di cosa potrebbe accadere qualora venisse dichiarata la sua decadenza da senatore.

C’è chi sostiene, tuttavia, che le paure del Cavaliere non riguarderebbero la sua “agibilità politica” in caso di nuove elezioni, ma la (molto più immediata) perdita di garanzie legate al mandato parlamentare.

Per lo meno, è questa la tesi di Bruno Tinti, che sul suo blog del Fatto Quotidiano ha pubblicato un nuovo post dal titolo: Decadenza Berlusconi, la sola agibilità che gli interessa.

Il magistrato e scrittore nota che l’eventuale decadenza dichiarata dall’apposito organo del Senato non toglierebbe affatto l’agibilità politica al Cavaliere: questo sia perché “nessuna norma costituzionale prevede che il Presidente del Consiglio, i ministri e il presidente della Repubblica debbano essere parlamentari” (naturalmente l’interdizione dai pubblici uffici sarebbe un altro paio di maniche), sia perché non ci sarebbe alcuna preclusione sulla guida del partito.

silvio berlusconi

Davvero sarebbe da escludere ogni problema circa la sua formazione politica, che si chiami Pdl o Forza Italia. “Prima di tutto perché ne è proprietario – spiega Tinti -. E poi perché non esiste alcuna legittimazione formale senza la quale taluno non possa proporsi come leader politico. D’altra parte B. in Senato non ci va e le sue creature le dirige da casa”.

La stessa ipotesi di rivolgersi alla Consulta, per il magistrato dimostrerebbe la debolezza del Parlamento: “L’escamotage di ricorrere alla Corte costituzionale nella speranza che impedisca al Parlamento di applicare una legge votata pressoché all’unanimità pochi mesi fa, è il più evidente sintomo di questa debolezza. Un Parlamento geloso delle sue prerogative mai dovrebbe accettare di essere posto sotto tutela, sia pure dalla Consulta”.

Quale sarebbe allora il problema che ha mosso tutta questa confusione? Tinti non ha dubbi: “Il giorno dopo la decadenza, B. si sveglierà nudo di fronte alla legge. L’articolo 68 della Costituzione non lo riguarderà più“. Articolo che al secondo e terzo comma comma prevede che nessun parlamentare, senza autorizzazione della Camera di appartenenza, possa essere sottoposto a perquisizioni, arresti, detenzione (esclusa l’ipotesi, già verificata, di una condanna definitiva o di un necessario arresto in flagranza) e, soprattutto, a intercettazioni di qualsiasi tipo. Autorizzazioni che spesso il Parlamento non concede.

Bruno Tinti

Autorizzazioni che, venuto meno il mandato parlamentare di Berlusconi, non servirebbero più. “A questo punto – prosegue il magistrato – gli resterebbe solo l’ultima, ben conosciuta, possibilità: la corruzione. Ma la strada diventa rischiosa: senza lo scudo dell’art. 68, con qualche intercettazione ben fatta lo beccherebbero subito”. Tinti, del resto, è convinto che “uno che ha sempre considerato la legge qualcosa da cui difendersi e la legalità qualcosa che riguarda gli altri” sia ancora in grado di commettere reati.

Questa lettura è tutto meno che improbabile. Certamente il problema delle intercettazioni e dell’arresto non è l’unico, se non altro perché anche l’espiazione della pena detentiva creerebbe difficoltà (superabili) e si sono già analizzate in passato le criticità dovute all’interdizione dai pubblici uffici, dopo che sarà stata ricalcolata. L’importante, comunque, secondo Tinti è non farsi sviare da “sommi principi, diritti fondamentali, garanzie”: l’unico scopo di Berlusconi, secondo lo scrittore, sarebbe non farsi intercettare o arrestare “per qualcosa d’altro. Noi non sappiamo cosa, ma lui sì”.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
Tutti gli articoli di Gabriele Maestri →