Il congresso Pd e la democrazia partecipata

Pubblicato il 21 Ottobre 2013 alle 20:16 Autore: Gabriele Maestri

Il congresso Pd e la democrazia partecipata

“Così non si può andare avanti”. E’ probabilmente questa la frase che più di frequente è stata pronunciata da una parte consistente di aderenti al Partito democratico o da semplici simpatizzanti, non più in grado di riconoscere in quella forza politica il progetto che li aveva spinti a fondare il Pd nel 2007, unendo storie politiche che fino a quel momento erano rimaste distinte.

Eppure la scommessa del Pd poteva essere una grande occasione per una vera partecipazione della base, anzi, un esperimento mai tentato in Italia di “democrazia partecipata” che a norma dello statuto sarebbe stato possibile. Non solo e non tanto con lo strumento delle primarie (a volte più simile a un’arma a doppio taglio che a una panacea), ma attraverso i referendum interni e la vita dei circoli. Tutto questo sembra essersi inceppato, a detta di molti, con la sensazione sgradevole che il Pd degli iscritti e quello dei dirigenti siano due cose diverse e molto lontane.

Non a caso, Riprendiamoci il Pd è il nome di un evento che era stato organizzato per la prima volta a Roma a giugno nella sede nazionale del partito e che è stato ripetuto due settimane fa a Milano. A volere quegli eventi è stata soprattutto la community Insieme per il Pd, da tempo impegnata a valorizzare la partecipazione soprattutto attraverso la Rete. Ed è con il fondatore e coordinatore di Insieme, Giuseppe Rotondo, che affrontiamo il tema della democrazia partecipata, mentre è partita la macchina del congresso Pd

Giuseppe Rotondo insieme per il pd

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Rotondo, perché avete sentito il bisogno di dire “Riprendiamoci il Pd”?

La frattura tra le aspettative che la nascita del Partito democratico aveva suscitato e il partito reale si è accentuata sempre di più dalla fondazione ad oggi, soprattutto dal congresso del 2009. Questa disaffezione, in particolare da parte della base del Pd, ha raggiunto il momento più difficile all’indomani delle elezioni di Febbraio e dell’affondamento della candidatura al Quirinale di Romano Prodi, fondatore del Pd, da parte dei 101 franchi tiratori dello stesso partito: a dimostrare questo “disamore” c’è, lampante, la caduta impressionante degli iscritti al Pd, scesi a 250mila. Confidiamo che la fase congressuale potrà servire anche ad incrementare il numero degli iscritti; se però non si cambia la forma partito, il fare politica nel Pd attuando i principi partecipativi contenuti nello statuto, anche i nuovi iscritti non saranno incentivati a rimanere nel partito. “Riprendiamoci il Pd” vuole significare: ritorniamo a credere nel Pd come strumento di partecipazione democratica, capace di portare al governo i valori progressisti in Italia. Occorre dunque che la base se ne riappropri, torni a sentirlo il proprio partito e non il partito delle filiere di potere, delle correnti. Un partito dove la base conta e ci sono percorsi per far sentire e pesare gli orientamenti della base.

Ed è così che avete sentito il bisogno di ritrovarvi anche fisicamente e parlare in pubblico?

Quelli che ho citato sono gli obiettivi che ci hanno spinto a costruire due eventi dal titolo “Riprendiamoci il Pd”: il primo il 22 Giugno nella sede nazionale del PD a Roma, il secondo il 12 Ottobre a Milano, all’Arci Bellezza. In quei due casi la parola chiave è stata “ascolto”, perché le idee e proposte per cambiare questo partito, per essere efficaci, debbono essere raccolte tra i simpatizzanti e militanti anche con eventi in cui la parola spetta a loro. A Roma, il deputato Sandro Gozi si è preso l’onere ma anche l’onore di ascoltare e raccogliere le proposte uscite dagli interventi di militanti e simpatizzanti che erano stati precedentemente selezionati; a Milano, è toccato invece al responsabile comunicazione e cultura del Pd, Antonio Funiciello. Sempre nell’evento di Milano abbiamo anche lanciato la candidatura di Pietro Bussolati alla segreteria del Pd metropolitano di Milano. Pietro ha 31 anni, segretario di circolo, sostenuto da numerosi amministratori locali e sindaci: rappresenta una candidatura fuori dagli schemi che fino ad oggi hanno dominato il PD di Milano. Noi riteniamo sia il candidato più credibile nel rappresentare le istanze di rinnovamento, cambiamento e partecipazione che Insieme per il PD, anche con eventi come Riprendiamoci il PD, ha sempre portato avanti nel partito democratico. L’idea di riprendersi il partito passa anche attraverso il sostegno al rinnovamento della classe dirigente sui territori con candidati sensibili alla valorizzazione della base, iscritti e simpatizzanti, e dei circoli.

Come dovrà essere il Pd del futuro sul piano della partecipazione?

Quello della partecipazione democratica, anche attraverso una politica partecipata nei partiti, è un tema centrale per tutte le democrazie liberali nel terzo millennio. La democrazia rappresentativa è ovunque in crisi nei paesi occidentali e deve “reinventarsi”, nella sua capacità di coinvolgimento dei cittadini: può riuscirci attraverso strumenti e percorsi partecipativi che però non possono più ridursi alla sola elezione di rappresentanti negli organi rappresentativi. Strumenti di partecipazione democratica sono infatti il focus principale dei centri di studi democratici delle più prestigiose università anglosassoni come il Centro studi di democrazia della Harvard Kennedy School. Proprio con studiosi della Harvard Kennedy School, del MIT di Boston e Raffaele Calabretta del Cnr italiano, noi di Insieme per il Pd abbiamo indetto e sperimentato la prima “doparia” online, uno strumento partecipativo che porta la base – elettori, simpatizzanti e iscritti – a deliberare su argomenti controversi in un partito, attraverso un percorso studiato per aiutare il formarsi di opinioni, di conoscenza bilanciata di tesi alternative, di discussione. In quel caso l’argomento prescelto era la legge elettorale, tema ancora oggi centrale nel dibattito e nell’agenda politica.

Ha parlato di un’operazione fatta attraverso Internet: che ruolo può avere la Rete nella partecipazione?

La Rete, il web 2.0, è il luogo – virtuale e quindi non legato ai limiti dello spazio – che connettendo milioni di persone in tutto il mondo ha permesso di espandere e dilatare gli spazi di democrazia partecipata, di circolazione delle informazioni e delle idee, di controllo democratico su chi fa politica, sugli eletti e sugli amministratori. Permette di aprire e “inventare” strumenti nuovi di partecipazione democratica. In tutto il mondo ha rotto le cappe di disinformazione, controllo e propaganda di tante dittature, facendo diffondere la voglia di “democrazia” che si è poi manifestata anche nella primavera araba: non a caso c’è chi ha candidato la “Rete” per il premio Nobel per la pace. Di fronte a cambiamenti epocali, grazie all’evolversi della tecnologia, che stanno guidando la democrazia verso una frontiera in cui i cittadini tornano a essere parte dei processi decisionali e di controllo senza limitarsi a subirli, i partiti in generale ed in particolare il Pd (essendo l’unico vero partito in Italia) dovrebbero superare la sfiducia generalizzata nella politica che ha messo in crisi la democrazia rappresentativa, aprendosi a strumenti e percorsi di partecipazione effettiva sui territori riorganizzando i circoli, valorizzando e mettendo a disposizione di tutto il partito l’esperienza partecipativa di Community come Insieme per il PD, e rendendo effettivo lo statuto del PD, che contiene principi e prevede strumenti partecipativi mai messi in opera finora, a partire dai referendum interni.

Eppure se si pensa al rapporto tra Rete e politica viene in mente più facilmente Beppe Grillo e il suo M5S…

L’entrata nella scena politica di Grillo è stata caratterizzata dalla sua propaganda e manipolazione del mito della Rete e della democrazia partecipativa, cosa che non trova poi riscontro nella prassi politica del M5S. Ciò però non si contrasta, come spesso fa anche il Pd, cercando di sminuire l’importanza, nella democrazia Italiana, della partecipazione e del web 2.0 come strumento per raggiungere l’obiettivo; al contrario, occorre sfidare Grillo su questo campo, aprendo il partito a un’organizzazione che metta davvero al centro la partecipazione con strumenti seri. La democrazia partecipativa non è poi in contrasto con una forte leadership, tutt’altro: in un partito veramente democratico una guida forte deve andare di pari passo con la partecipazione. Non si dimentichi che chi guida il nostro partito lo fa in virtù del più grande atto di democrazia partecipativa, le primarie. Il nostro segretario nazionale sarà eletto a breve da primarie aperte a tutti gli elettori Pd: abbiamo bisogno di dotarci di strumenti che permettono la partecipazione anche tra un congresso e quello successivo; c’è bisogno di riorganizzare i circoli del PD per dotarli di percorsi capaci di incidere sulle scelte del partito, almeno a livello territoriale. E’ chiaro che un partito partecipato, come quello che ho cercato di delineare, entra in diretta collisione con il partito basato sulle filiere di potere, sui caminetti di capibastone, sulla cooptazione: deve prevedere percorsi chiari e trasparenti per selezionare la classe dirigente, basati sul merito, le competenze e un turnover veloce per i vari posti di vertice.

Il ritratto del Pd che Insieme ha in mente può essere accolto a prescindere dal candidato o dalla mozione che ogni iscritto sostiene?

Quando abbiamo cominciato eravamo gli unici a sostenere concretamente i temi della partecipazione nel Pd: al tempo in cui abbiamo costituito i nostri primi gruppi su FB, non esisteva nessuna iniziativa legata al Pd sul web 2.0, anzi, eravamo visti con sospetto nel partito. Grazie al nostro lavoro continuo e di altri che con il tempo si sono aggiunti, ormai questi temi sono patrimonio diffuso. Sia nel documento presentato da Barca in vista del congresso Pd che in quello di Bettini (soprattutto), sono presenti. Di certo sono temi di Matteo Renzi come di Pippo Civati e Gianni Pittella; spero lo diventino anche di Gianni Cuperlo. Davvero ci aspettiamo che da questo congresso esca un partito che sappia superare tutti i limiti che ha mostrato fin ora e trovare nuovo slancio attraverso la partecipazione. Personalmente ho sostenuto Renzi alle scorse primarie e continuo a sostenerlo con convinzione anche in questo congresso. Sono convinto che sia il candidato che con più chance degli altri può davvero cambiare il Pd, non solo nella sua forma partito – recuperando il rapporto con i cittadini in generale – ma anche con una visione chiara dell’Italia da qui a dieci anni, delle troppe cose che non vanno e devono essere sistemate per tornare a crescere e dare speranza di un futuro ai giovani di questo paese.

Questo Pd può vincere le elezioni? Cosa gli manca, nel caso?

Se questo congresso non verrà sprecato, e davvero servirà a mettere un punto alle cose che non sono andate e voltare pagina, puntando sulla leadership e sulla partecipazione, sì, vincerà di certo.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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