Una ventina di “martiri” per il voto segreto su Berlusconi?

Pubblicato il 30 Ottobre 2013 alle 19:17 Autore: Gabriele Maestri

Una ventina di “martiri” per il voto segreto?

E adesso, volendo, parte la caccia alla “sporca ventina”. Intanto perché una dozzina di senatori, in base al Regolamento di Palazzo Madama, non bastano per chiedere lo scrutinio segreto in aula per il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi, ma ne occorrerebbero appunto venti.

L’aggettivo “sporca”, ovviamente, non si riferisce a presunte inimicizie con il sapone di chi siede al Senato, né a dubbie qualità morali di chi avanzasse una richiesta del genere. A questa ventina di persone, però, toccherebbe un “lavoro sporco” a tutti gli effetti, certamente sul piano dell’immagine, ma ancora di più su quello pratico, degli effetti del loro comportamento.

L’IMMAGINE: VOLENTEROSI O MARTIRI?

Partiamo dall’immagine, un elemento che nella politica legata a Berlusconi ha sempre avuto un ruolo importante. La lista dei venti “volenterosi”, da scegliere tra i 91 senatori su cui può contare il Pdl, ma volendo anche tra i 10 di Gal e i 16 della Lega Nord-Autonomie, potrebbe non essere semplicissima. Quei venti inquilini di Palazzo Madama, infatti, verrebbero automaticamente individuati e schedati già dai colleghi in aula come “quelli che cercano di salvare Berlusconi”: a prescindere dall’esito finale del voto, sarebbero le prime vittime mediatiche dell’operazione.

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E’ probabile che alcuni giornali pubblichino l’elenco dei nomi, scavando a fondo nella vita di ciascuno; i loro contatti di posta rischiano di essere inondati e qualcuno potrebbe prendere di mira i loro siti. Per non parlare di chi conosce le loro abitudini o è in grado di arrecare loro disturbo in qualunque modo. Probabilmente i sostenitori di Berlusconi li venererebbero come persone coraggiose, ma qualcuno potrebbe non avere voglia di vestire i panni del martire politico e mediatico, ruolo piuttosto scomodo da mantenere.

CHI PUO’ FIDARSI DEI COLLEGHI DI SCRANNO?

Nemmeno il Pdl, del resto, è certo del risultato di una votazione fatta a scrutinio segreto. Ancora questa mattina Mariastella Gelmini ha accusato il Pd di avere poca fiducia nei suoi parlamentari e di avere voluto il voto palese per evitare sorprese e franchi tiratori pronti a soccorrere di nascosto Berlusconi (accusa che è stata rivolta anche, in tempi e modi diversi, al MoVimento 5 Stelle).

Anche i membri più noti del Pdl, però, non sono in grado di assicurare che tutti i 91 senatori, nel segreto del voto, si esprimano contro la decadenza: il rischio di una maggioranza silenziosa che giochi qualche tiro mancino a Berlusconi, come annunciato più volte dal Gal Paolo Naccarato, è tutt’altro che archiviato.

naccarato

VITTIME DEL REGOLAMENTO?

Più di tutto, però, quei venti senatori rischierebbero di trasformarsi in capri espiatori, pronti a immolarsi tentando di lottare contro il Regolamento. Già, perché le possibilità che la richiesta di voto segreto possa avere un seguito sono ridotte al lumicino. E non perché sia sottoposta a un altro voto (l’ennesimo metavoto, un voto su come votare, un’aberrazione logico-linguistica), ma perché su questo punto le regole, una volta tanto, sono chiare.

In aula, teoricamente, potrebbero non esserci opposizioni alla proposta della Giunta delle elezioni di dichiarare la decadenza di Berlusconi: nel caso, non ci sarebbe alcun bisogno di votare. Nessuno però pensa realisticamente che questo sia possibile, altrimenti finora non si sarebbe litigato in questo modo sulle modalità di scrutinio. Ci vorranno dunque venti senatori che chiedano all’aula, dopo la discussione sul caso, di esprimersi con un voto. Già queste persone rischieranno un attacco mediatico, ma il compito più difficile non spetterebbe a loro.

Il ruolo più ingrato sarebbe dell’altra ventina (più o meno coincidente con la prima) che dovrebbe chiedere il voto segreto a norma dell’articolo 113, commi 2 e 4 del Regolamento del Senato. L’ultima delle disposizioni prevede che la richiesta sia possibile (esclusi i casi di decisioni sulle norme sulle minoranze linguistiche e sulle modifiche al Regolamento del Senato, che qui non interessano) quando la decisione su cui votare attenga “ai rapporti civili ed etico-sociali”. Segue un elenco nutrito di articoli della Costituzione.

nitto palma pdl presidente commissione giustizia senato

Ciò vorrebbe dire che il voto segreto è possibile solo se la decisione sulla decadenza di Berlusconi può rientrare in uno degli articoli citati dalla disposizione. Di tutte quelle norme, potrebbero venire in aiuto solo l’articolo 25 (che, al comma 2, sancisce l’irretroattività delle leggi penali) e, a voler osare molto e quasi ai limiti del ridicolo, l’articolo 23 (in base al quale nessuno può essere privato della capacità giuridica per motivi politici). Se mai qualcuno riuscisse a dimostrare chiaramente che la decadenza è contraria a una di queste due norme, il presidente dovrebbe per forza concedere il voto segreto.

Il comma 5 dell’art. 113, però, dice anche che la decisione spetta al Presidente “sentita, ove lo creda, la Giunta per il Regolamento”. E qui il cerchio si chiude. Perché sostanzialmente si è escluso fin qui che la disposizione della “legge Severino” sia qualificabile come penale in senso stretto, l’articolo 25 a questo punto sarebbe fuori gioco. Berlusconi, in sostanza, non sarebbe “punito”, ma sarebbe il Parlamento ad aver deciso (comunque prima della sentenza) di non voler accettare al suo interno condannati in via definitiva. Ogni interpretazione diversa equivarrebbe quasi certamente a un arrampicarsi sugli specchi.

pietro grasso presidente senato

E se anche Grasso avesse dubbi in materia, dovrebbe teoricamente rivolgersi di nuovo alla Giunta per il Regolamento, che però ha incidentalmente escluso anche la natura penale della norma, pur non essendosi espressa in modo ufficiale su questo; difficile credere, in ogni caso, che i membri mutino posizione. Per questo, la “ventina” che dovesse chiedere il voto segreto, finirebbe per schiantarsi inevitabilmente contro le regole che hanno invocato in questi giorni e che, per una volta, sono chiare. E di spiragli, a quanto pare, non ne lasciano.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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