Quale “stranissima maggioranza” per Letta?

Pubblicato il 31 Ottobre 2013 alle 12:10 Autore: Gabriele Maestri

E adesso che succede?” Domanda legittima, da una parte e dall’altra. Che sia pronunciata con ironia, paura, rabbia, rassegnazione, è probabile che la frase sia stata pronunciata da tanti esponenti politici, dentro e fuori dai palazzi parlamentari. Perché nessuno, checché se ne pensi, può avere ora certezze sul futuro politico del paese o sulla speranza di vita del governo di Enrico Letta.

Nel Pdl da ieri si è fatta strada la convinzione – per bocca del capogruppo al Senato Renato Schifani e di altre figure note come Maurizio Sacconi – che il Pd voglia portare all’esasperazione il clima finendo dritti alle urne, sperando ovviamente di vincere le elezioni. “L’ultima cosa che può fare il Pdl – dichiara oggi al Corriere Fabrizio Cicchitto – è cadere in una trappola di questo tipo”. Dunque, a leggere queste affermazioni, il partito di Berlusconi dovrebbe evitare ogni mossa che possa mettere in pericolo la stabilità del governo e, di conseguenza, avvicinare il voto (oltre che, chiaramente, impegnarsi per vincere le eventuali elezioni).

pdl cicchitto

Un quadro simile, però, è poco credibile. E’ quasi certo, infatti, che non proseguiranno con minore foga le battaglie finora condotte dal Pdl (a partire da quella contro le tasse oppure per la riforma della giustizia): sarebbe forte il rischio di non ottenere nulla di quanto sperato e di lasciare campo libero alle proposte del Pd. Non si possono dimenticare, allora, le innumerevoli volte in cui proprio il Pdl ha posto condizioni al governo Letta (compresa la salvaguardia della “agibilità politica” di Berlusconi) per la tenuta della maggioranza e non andare al voto: in quei casi, era il Pd (e parte di Scelta civica) a parlare di ricatti, a parti invertite.

In queste condizioni, è più facile che da questo tira-e-molla guadagni il governo, che magari traballerebbe di più ma resterebbe in piedi (ciò non significa che ci guadagni il paese, specie in casi di tremolii vistosi). Nessuno dei due partiti maggiori, in fondo, è sicuro di vincere le elezioni in caso di crisi insanabile dell’esecutivo, per cui prima di assestare il colpo mortale si trattiene.

Certo, per la parte più dura del Pdl (i “lealisti” o i “falchi”, più o meno coincidenti) diventa difficile accettare la convivenza con il Pd nella maggioranza: per loro il voto palese equivale alla decadenza di Berlusconi (anche se non avrebbero avuto certezze sull’esito del voto segreto e sulla tenuta all’interno del loro partito) e per gente come Daniela Garnero già Santanchè Anna Maria Bernini non si può restare in maggioranza con chi ha permesso questo risultato. Ma allora si torna al problema di prima e non si è risolto nulla.

daniela santanche su sentenza processo mediaset condanna berlusconi

E allora si può avere la tentazione di prendere in mano il pallottoliere e fare qualche conto. Anche se l’impresa sulla carta non è semplicissima, visto il numero di variabili. Comunque, potrebbero restare in parte buoni i conti fatti giusto due mesi fa, dopo la nomina dei senatori a vita da parte di Giorgio Napolitano.

Dunque a favore di Letta ci sarebbero i 107 voti del Pd (Grasso non vota), i 10 del gruppo Per le autonomie-Psi-Maie, presumibilmente tutti i 20 di Scelta civica (anche se il gruppo dovesse spaccarsi, è probabile che né i popolari, né i libdem avrebbero voglia di far cadere il governo). Ci sarebbero poi i “governativi” del Pdl, al seguito di Alfano e Quagliariello, che da 23 sembrano aver raggiunto la trentina (ma forse il conto comprende anche alcuni senatori di Gal, non è ben chiaro). I voti così sarebbero 167, già oltre quota 159 che è la maggioranza assoluta al Senato.

Se poi arrivasse anche il sostegno da altre componenti (come il Gruppo azione popolare, ex M5S) o dai senatori a vita di nuova nomina, il margine potrebbe allargarsi. E Letta potrebbe garantirsi una navigazione tranquilla, al riparo da falchi, pitonesse e zoologia varia.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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