Pensioni e futuro demografico

Pubblicato il 18 Novembre 2013 alle 10:23 Autore: Gianni Balduzzi
Pensioni e futuro demografico

Pensioni e futuro demografico. E’ molto probabile che non risuoni nella mente di coloro che parlano di indicizzazioni delle pensioni fino a 3 mila euro lordi, ma sulla questione pesa un destino ineluttabile che nessun decreto o manifestazione può mutare: l’invecchiamento della popolazione.

Di seguito osserviamo il rapporto tra la popolazione ultra 65enne e la popolazione attiva, ovvero il 15-64enni, nel corso degli anni, nei principali Paesi europei:

Se nel 1990 i valori erano abbastanza allineati e solo l’Inghilterra era più anziana, oggi Italia e Germania spiccano come percentuale di anziani sugli attivi, staccando gli altri Paesi che hanno frenato questa deriva grazie a immigrati (Spagna) o una ripresa delle nascite (Francia).

E nel futuro, come si suol dire, “mal comune mezzo gaudio”, perchè le proiezioni dell’Eurostat, da prendere naturalmente con le molle, immaginano che tutti i Paesi peggioreranno questo rapporto, arrivando a pareggiare (Spagna) o a superare (Germania) il livello dell’Italia:

Come si vede il destino è di avere nell’Unione Europea, e ancora di più in Italia, Spagna e Germania, con gli anziani che rappresenteranno più del 50% del valore degli attivi, una proporzione sempre minore di persone che lavorano per mantenere una proporzione maggiore di anziani.

Riguardo all’Italia è possibile osservare statistiche più particolareggiate:

  • Indice di dipendenza strutturale:
  • Rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65 anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni).
  • Indice di ricambio della popolazione attiva:
  • Rappresenta il rapporto percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione (55-64 anni) e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro (15-24 anni). La popolazione attiva è tanto più giovane quanto più l’indicatore è minore di 100.
  • Indice di struttura della popolazione attiva:
  • Rappresenta il grado di invecchiamento della popolazione in età lavorativa. È il rapporto percentuale tra la parte di popolazione in età lavorativa più anziana (40-64 anni) e quella più giovane (15-39 anni).

Come si vede l’indice di dipendenza strutturale ha una crescita moderata, per un motivo semplice: l’altra categoria non produttiva, ovvero i minori di 15 anni, sono in diminuzione.

Quelli che però ci interessano di più ai fini del discorso pensionistico, sono gli altri due: si vede che per l’indice di ricambio, come sia peggiorato dopo anni di miglioramento, con l’arrivo dei baby boomers nell’età della pensione, e se dal lato occupazionale in un certo senso il ritiro di tanti lavoratori creerà posti per i giovani, che sono relativamente pochi, dal punto di vista dell’INPS l’impatto è decisivo e questa è stata una delle ragioni della riforma Fornero.

 

Parlando di lavoro, infine, tutte queste statistiche non prendon in esame il dato occupazionale, ma si deve osservare che se per gli anziani deve essere prevista una forma previdenziale, anche pur solo assistenziale, non è detto che i più giovani, la popolazione attiva presa in esame, stia lavorando, anzi sappiamo come il tasso di occupazione in Italia sia particolarmente basso e si ponga quindi il problema si un limitato numero di contribuenti che devono pagare le pensioni a un numero crescente di anziani.

Tutto ciò mentre la politica discute di “scale mobili” e indicizzazioni delle pensioni, anche alte.

L'autore: Gianni Balduzzi

Editorialista di Termometro Politico, esperto e appassionato di economia, cattolico- liberale, da sempre appassionato di politica ma senza mai prenderla troppo seriamente. "Mai troppo zelo", diceva il grande Talleyrand. Su Twitter è @Iannis2003
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