Da Theodore Roosevelt a Ralph Nader, i terzi incomodi delle Presidenziali Americane

Pubblicato il 1 Dicembre 2011 alle 13:01 Autore: Stefano Mentana
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Va molto di moda, nelle speculazioni elettorali che precedono le Presidenziali Americane, oltre all’indicare potenziali candidati Democratici e Repubblicani, anche individuare personalità che potrebbero “correre da sole” fuori dai due grandi Partiti ed ottenere risultati significativi. Va molto di moda farlo ad esempio con Michael Bloomberg, Sindaco Repubblicano di New York ma non organico al Partito, o Jesse Ventura, ex wrestler già Governatore del Minnesota per il Reform Party, per non parlare poi dell’uomo d’affari Donald Trump. Ma alla fine, spesso, la partita è tra Democratici e Repubblicani, seguiti poi da Partiti minori che non arrivano all’1%. Tuttavia, negli ultimi cento anni, vi sono state non poche prestazioni degne di nota da parte di “terzi incomodi” che spesso hanno creato non pochi problemi ai candidati Democratici e Repubblicani.
Correva l’anno 1912 quando l’ex Presidente Thedore Roosevelt si candidò per ricoprire nuovamente la più alta carica degli Stati Uniti per il Progressive Party, ovvero il gruppo della “sinistra” Repubblicana, in contrapposizione alla linea più conservatrice del Presidente uscente Taft. Roosevelt arrivò ad ottenere il 27,4% e vincere in otto Stati, superando Taft, che si fermò al 23,2%, ma non raggiungendo Woodrow Wilson, che riportò dopo molto tempo i Democratici alla vittoria.
Qualcosa di simile avvenne anche nel 1924, quando Robert LaFollette si candidò sostenuto anche lui da un Progressive Party, uguale nel nome ma diverso nelle caratteristiche da quello di Roosevelt di dodici anni prima. Il Partito di LaFollette, infatti, nasceva anch’esso da una scissione dai Repubblicani, ma osteggiava le elite urbane e del Nor-Est, ed era invece sostenuto da un elettorato di agrari e di Labor Unions, si opponeva alla privatizzazione delle ferrovie ed ebbe anche il sostegno del Partito Socialista degli Stati Uniti. Alla fine ottenne il 16,6% e vinse nel Wisconsin, l’homestate di LaFollette.

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Era invece il 1948 quando un gruppo Sudista dei Democratici, i cosiddetti Dixiecrats (nome che deriva da Dixie, un soprannome che viene dato agli abitanti degli Stati del Sud), decise di correre da solo, sostenendo Strom Thurmond, storico Senatore che nel 1957 compirà l’impresa di fare, durante l’ostruzionismo contro il Civil Rights Act, il più lungo discorso della storia del Senato Americano, lungo ben 24 ore e 18 minuti. Apparentemente si trattava solo di una temporanea scissione Sudista dei Democratici, in realtà erano i primi sentori di un mutamento non indifferente della geografia elettorale degli Stati Uniti, tanto che di lì a poco gli Stati del Sud, fino a quel momento solidamente Democratici, inizieranno a diventare altrettanto solidamente Repubblicani. Strom Thurmond, comunque, si presentò solo negli Stati del Sud ed ottenne il 2,4%, imponendosi in Luisiana, Mississippi, Alabama e South Carolina.
Nel 1968 avviene qualcosa di molto simile: oltre al Democratico Humphrey ed al Repubblicano Nixon (che uscirà vincitore) in campo c’è anche il Governatore Democratico segregazionista dell’Alabama George Wallace, in campo in polemica con la linea del suo partito vicina ai diritti civili. Wallace, che come vice sceglierà il Generale Curtis LeMay, otterrà il 13,5% dei consensi, vincendo in cinque Stati (tutti del Sud) e divenendo così il più recente caso di candidato che non sia Democratico o Repubblicano ad ottenere la vittoria in almeno uno Stato.

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