Lodo Mondadori, la storia infinita

Pubblicato il 11 Dicembre 2013 alle 18:04 Autore: Gabriele Maestri
Lodo Mondadori berlusconi de benedetti

Fossimo al cinema, si potrebbe immaginare un remake di Neverending story. Perché la vicenda che giornalisticamente è nota come “lodo Mondadori” è davvero una storia infinita, anche se non c’è Giorgio Moroder a scrivere la colonna sonora e Limahl a cantarla. Dopo aver esaurito i tre i gradi di giudizio in sede penale (con sentenza definitiva del 2007) e civile (con la Cassazione che si è pronunciata quest’estate), la Cir di Carlo De Benedetti ha avviato contro la Fininvest di Silvio Berlusconi un nuovo giudizio civile.

I fatti alla base sono gli stessi, ma le pretese non sono proprio uguali. Certo, all’origine di tutto c’è sempre la tangente di 400 milioni di lire) che avrebbe versato Fininvest al giudice Vittorio Metta, colui che scrisse la sentenza d’appello che (al contrario del primo arbitrato che aveva dato ragione a De Benedetti) di fatto consegnò la Mondadori a Berlusconi. In effetti la Cassazione a metà settembre aveva già quantificato un risarcimento a vantaggio della Cir di 494 milioni (di euro stavolta), a ristoro dei danni patrimoniali subiti.

Carlo De Benedetti lodo mondadori

In quella stessa sentenza, però, si può capire che sono risarcibili anche “danni non patrimoniali” (e anche questo punto è passato in giudicato): si tratterebbe dei danni seguiti alla “lesione del diritto a un giudizio reso da un giudice imparziale”, dando per accertato “un plurioffensivo fatto di corruzione”. Danni che però, per la stessa Cassazione (seguendo peraltro un filone copioso di sentenze), un altro giudice avrebbe dovuto quantificare. Ed è proprio quello che la Cir vuole, interpellando di nuovo il Tribunale (civile) di Milano, chiedendo 30 milioni di euro nominali (che si tradurrebbero in circa 90, con la rivalutazione e degli interessi).

Berlusconi  lodo mondadori

La notizia non fa certo piacere a Berlusconi, che rischia di dover pagare (attraverso il suo gruppo) un’altra cospicua somma di denaro, – che si aggiunge a quanto già stabilito a settembre dalla Cassazione – e riapre una storia che tutti o quasi credevano chiusa. Una vicenda che, per lo meno in sede penale, aveva visto uscire il Cavaliere con meno ferite rispetto all’avvocato di Fininvest Cesare Previti e al giudice Metta, perché Berlusconi sarebbe stato punibile solo per “corruzione semplice”, reato che però si prescrive molto prima per chi ottiene le attenuanti generiche. E lui, a differenza degli altri imputati, le aveva ottenute.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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