Monti apre alla tobin tax

Pubblicato il 20 Dicembre 2011 alle 09:24 Autore: Matteo Patané
tobin tax

Se la manovra economica prodotta dal Governo Monti si può considerare, almeno per svariati aspetti comunque piuttosto rilevanti, una prosecuzione della linea politica del precedente governo di centrodestra, un forte elemento di discontinuità evidenziato dal nuovo Presidente del Consiglio ma forse passato troppo inosservato riguarda la posizione del Paese vero l’introduzione della tassazione sulle transazioni finanziarie che prevedono cambi di valuta, in gergo la tobin tax.

La tassa viene così chiamata in onore del Premio Nobel per l’economia James Tobin che la propose nelle sue Janeway Lectures a Princeton nel 1972, poco dopo la dissoluzione del patto di Bretton Woods per via della decisione di Nixon di abbandonare la parità aurea del dollaro americano. Venendo a mancare quindi l’aggancio delle singole valute – a meno di un piccolo intervallo di oscillazione – all’oro, il sistema collassò fino a trovare un nuovo equilibrio utilizzando il dollaro americano come valuta di riferimento, ma senza più legare ad esso tutte le altre valute in maniera fissa, e aprendo così la strada alle speculazioni valutarie.
James Tobin intese la tassa sulle transazioni intervalutarie come un tentativo di stabilizzare le oscillazioni a breve termine sulle diverse divise, e al tempo stesso offrire ai Paesi possessori di valute deboli un’entrata erariale sufficiente a costituire un’alternativa, per pilotare l’economia nazionale, alla svalutazione della moneta.

tobin tax

Nel corso degli anni tutti i tentativi di imporre la tobin tax nel mondo sono terminati con un fallimento.
La prima nazione che provò ad applicare la tobin tax fu la Svezia socialdemocratica di Olof Palme, che introdusse un’aliquota dello 0,5% sull’acquisto e sulla vendita di titoli azionari e stock options (di modo che un completo giro di compravendita avesse una tassazione dell’1%), tassa che fu poi raddoppiata nel 1986. Nel 1989 venne affiancata un’ulteriore imposta dello 0,002% sui titoli di stato a tre mesi, e dello 0,003% per durate maggiori. L’esperienza fu catastrofica: l’intervento ebbe effetti estremamenti depressivi per i mercati finanziari svedesi, con gli scambi che entrarono in stagnazione; l’introduzione dell’aliquota sui titoli di stato ne fece crollare il mercato di oltre l’80%.
Quando la tassa venne rimossa, tra il 1991 ed il 1992, gli scambi sul mercato svedese tornarono in fretta ai livelli della prima metà degli anni ’80 e iniziarono un periodo di crescita che perdurò per tutto il decennio.
Successivamente la tobin tax arrivò ad un soffio dall’essere approvata in Francia tra il 2001 ed il 2002: l’assemblea approvò la proposta, che però venne poi bocciata dal Senato. Nel 2004 il Belgio approvò una norma che avrebbe automaticamente fatto entrare in vigore la tassa se questa fosse stata approvata a livello globale.
Proprio a tale proposito venne persino tentato nel 2000 di destinare i proventi di una tobin tax su scala mondiale alle Nazioni Unite, tramite una risoluzione che impegni i Paesi membri ad avviare le procedure legislative entro il 2015. Ad oggi la proposta è ancora in alto mare, principalmente per l’opposizione degli Stati Uniti.
Ad oggi l’unica forma di tobin tax presente nel mondo riguarda l’esperienza sovranazionale della Banca del Sud, varata nel 2007 per volontà del venezuelano Chavez e dell’argentino Kirchner.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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