Decreto salva-Roma: Napolitano lo ferma Letta rinuncia alla conversione

Pubblicato il 24 Dicembre 2013 alle 19:13 Autore: Gabriele Maestri
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Decreto salva-Roma: Napolitano lo ferma; Letta rinuncia alla conversione

Regalo di Natale del tutto inaspettato per il governo, di quelli che non si vorrebbero ricevere. Il decreto”salva-Roma” finisce in cenere prima ancora di finire sotto l’albero, per l’intervento di Giorgio Napolitano: per questo l’esecutivo, per bocca del ministro per i rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, sceglie di rinunciare alla sua conversione .

La notizia è importante, se non altro perché il 30 dicembre scadevano i 60 giorni di vigenza del decreto che riguardava appunto le sole misure a tutela del comune di Roma (per consentire la redazione e l’approvazione del bilancio) e quindi entro quella data la conversione doveva essere completata con l’ultimo passaggio al Senato. Pare però che Enrico Letta si sia confrontato con il Capo dello Stato, che avrebbe espresso un parere molto negativo sul testo che via via si era appesantito, con norme che nulla avevano a che fare con il corpo originario. Proprio come nel più classico assalto alla diligenza alle leggi finanziarie.

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Certamente ora esiste un problema di assoluta urgenza, per cui – dopo che Franceschini ha informato i presidenti delle Camere della rinuncia alla conversione al decreto, lasciato decadere – nel cosiddetto “decreto milleproroghe” che sarà approvato dall’esecutivo nella sua riunione del 27 (la prima utile) ci sarà di nuovo la normazione delle “sole situazioni indifferibili, a cominciare dalle norme sulla base delle quali il comune di Roma ha approvato il proprio bilancio”. Ma ci sarà anche la correzione sulla norma “relativa agli affitti di immobili da parte della pubblica amministrazione”.

La scelta di rinunciare al decreto arriva dopo giorni di polemiche roventi (al punto che ieri il governo aveva scelto di porre la questione di fiducia, superandola). Si era fatto sentire soprattutto il MoVimento 5 Stelle sulla norma che di fatto non consentiva più – come originariamente previsto da un emendamento – alle amministrazioni pubbliche e agli organi costituzionali di recedere da contratti di locazione troppo onerosi.

Anche Forza Italia e una parte del Pd, però, avevano protestato duramente contro alcune norme aggiunte via via, del tutto incoerenti con l’oggetto del decreto, dalle sanatorie per abusi in aree demaniali alla cancellazione dell’incompatibilità tra i mandati di sindaco di comuni con meno di 20mila abitanti e parlamentare. Anche per questo, le opposizioni approfittano per attaccare il governo: “Sono rossi di vergogna” attacca Renato Brunetta, mentre alla rinuncia plaude Stefania Giannini di Scelta civica.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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