Mai sottovalutare il potere del lato “oscuro” della Forza

Pubblicato il 31 Gennaio 2014 alle 15:32 Autore: Livio Ricciardelli

La strategia parlamentare del Movimento 5 Stelle negli ultimi giorni è improntata ad massimalismo antidemocratico dai tratti insurrezionalisti. Per la prima volta nella storia della Repubblica non si pratica un ostruzionismo “muscolare” soltanto all’interno dell’aula di Montecitorio, ma anche presso le commissioni attraverso una strategia in certi casi tesa addirittura ad impedire fisicamente ai parlamentari di poter svolgere il proprio lavoro.

Nel frattempo il movimento grillino utilizza una terminologia barricadera (il “boia” dato a Napolitano e la riproposizione del vecchio slogan dei moti di Reggio Calabria “boia chi molla”) in certi casi tesa all’insulto personale come arma per scardinare l’assetto istituzionale. E presenta una richiesta di impeachment nei confronti di Napolitano per attentato alla Costituzione.

In un quadro in cui esplicitamente, cosa che dovrebbe far riflettere qualche commentatore distratto, alcuni esponenti del Movimento hanno parlato di una sorta di cambio di passo legato all’ostruzionismo parlamentare in grado di andare platealmente contro le regole democratiche.

Il quadro non è povero di contraddizioni, in primo luogo legati al fatto che si accusa il Presidente della Repubblica di comportamenti incostituzionali quando la tattica grillina e quella di andare proprio oltre la carta fondamentale.

Ma il fenomeno non va assolutamente sottovalutato perché non necessariamente in futuro potrà essere ricollegato ad un crollo dei consensi del Movimento a differenza di altri movimenti, come la Lega Nord, che ogni qual volta hanno sposato una linea maggiormente oltranzista se non di tipo indipendentistico hanno visto crollare i propri consensi elettorali.

Il sistema politico sorto dalle ceneri delle politiche 2013 vede tre grandi poli in grado di condizionarsi o a bloccarsi a vicenda: il centrodestra, il centrosinistra e il Movimento Cinque Stelle.

Per un momento mettiamo da parte le differenze tra le forze politiche che sostengono il governo Letta e quelle che si trovano all’opposizione, e cerchiamo di concentrarci su quale tipo di elettorato consente l’emergere di questi tre schieramenti.

Secondo uno schema semplificato, ma teso a far comprendere il concetto in un modesto articolo come questo, possiamo dire che la destra può avere tra i suoi cavalli di battaglia quello della meritocrazia. Una battaglia che può spingersi fino a chiedere un passo indietro da parte dello stato per far emergere e far vincere il merito individuale delle persone. Come se si lottasse per far sbocciare il “fiore del talento” in grado di arricchire tutta l’architettura del paese. Da parte della sinistra invece c’è sempre stato un ragionamento di tipo inverso in cui assieme al tema della libertà si decideva di investire su quello dell’eguaglianza delle condizioni. Va bene puntare sul merito, ma alcuni non ci riescono da soli. Occorre dunque un ruolo dello stato sotto forma di sussidi ecc…

Il Movimento Cinque Stelle, e lo dimostra la sua ultima deriva antidemocratica, assume in questo quadro dei connotati interessanti, inquietanti ma al tempo stesso da non sottovalutare.

Sappiamo bene che parte dell’elettorato grillino è riconducibile alla cosiddetta “antipolitica”, gente delusa dello spettacolo quotidiano di quelli che Jean-Marie Le Pen avrebbe definito “partiti tradizionali” e desiderosa di premiare una forza che si pone come contraltare di questo stallo.

Ma al tempo stesso il Movimento deve il suo successo alla crisi economica, all’emergenza nel campo lavorativo e previdenziale e anche alla situazione di insicurezza

Una dinamica tipica già delineatosi in altri stati democratici, ma che in questo contesto spinge il M5S ad assumere i connotati di una “Terza Posizione” in cui assieme al merito da far emergere (tipica della destra) e all’eguaglianza della possibilità (baluardo della sinistra) c’è un esercito di non garantiti che per paradosso pur con i sussidi statali, tesi a migliorare la loro situazione (o addirittura di arricchirsi!), in ogni caso non si sentirebbero pienamente realizzato.

Andando oltre il continuum classico libertà-uguaglianza (dal sapore economicista e dunque materialista) un terzo schieramento di questo tipo può porsi l’obiettivo di guidare una sorta di riscossa morale, seppur improntata all’irrazionalità, in cui c’è comunque parte dell’elettorato che non crede più alla politica e alla soluzioni che essa può dare.

Appare abbastanza significativo in questo senso che il leader di questo schieramento sia proprio un comico, come se si inscenasse una dinamica di tipo “sdrammatizzatrice” in cui alla fine non solo mi riconosco nelle esternazioni di un pagliaccio che non mi risolve i problemi materiali, ma almeno mi fa ridere e mi fa pensare ad altro o comunque mi da l’illusione che “un altro modo è possibile”. Ma al tempo stesso nemmeno mi indigno dell’inattività legislativa dei parlamentari pentastellati, ma perché il posizionamento che il M5S garantisce è quella terza forza che aspira ad andare oltre il livello democratico, oltre la destra e la sinistra, oltre i privilegiati che potrebbero emergere, andare bene a scuola o all’università se sostenuti da un buon sistema di welfare. Quindi ben venga l’attacco frontale di qualche centinaio di “uomini qualunque” proprio nel cuore delle istituzioni repubblicane.

Una riproposizione della lotta di classe, seppur non dai connotati materialistici e dialettici. Ma proprio per questo più difficile da scalfire. Perché le idealità restano, le condizioni materiali e strutturali di un paese mutano. E anche con una certa velocità.


L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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