Brexit, ora il Parlamento di Westminster può bloccare tutto

La Brexit passa anche dal Parlamento di Westminster

Tra il referendum sulla Brexit di giovedì scorso e l’effettiva uscita del Regno Unito dall’Unione Europea c’è un unico ostacolo: il Parlamento di Westminster. Non ci sarà alcun secondo referendum nei prossimi mesi come ha ribadito ieri Downing Street. Tuttavia, tra le dichiarazioni di ieri del primo ministro dimissionario David Cameron alla Camera dei Comuni – “il nuovo premier deciderà se richiedere l’attivazione dell’articolo 50” – e la frenata sui tempi decisa ieri a Berlino dal nuovo direttorio europeo (Merkel-Hollande-Renzi), tutto fa pensare che i tempi si allungheranno notevolmente. Prima dovrà essere nominato il nuovo primo ministro conservatore, e secondo il “1922 Commitee” questo dovrebbe avvenire entro il prossimo 2 settembre. Poi il nuovo inquilino di Downing Street potrà decidere di richiedere subito l’attivazione dell’articolo 50 – e se a ricoprire quella carica sarà Boris Johnson, lo farà seduta stante – o rinviare tutto a dopo le elezioni generali da tenersi entro l’anno. In ogni caso, comunque il Parlamento di Westminster dovrà pronunciarsi sull’uscita del Regno Unito dall’Unione perché quello sulla Brexit è un referendum consultivo e quindi legalmente non vincolante.

Brexit, cosa prevede l’articolo 50

Perché un paese possa uscire unilateralmente dall’Unione deve chiedere l’attivazione dell’articolo 50, inserito dai 28 paesi membri nel Trattato di Lisbona. L’accordo è stato firmato nel 2007 ed è entrato in vigore nel 2009 dopo l’approvazione, non senza tentennamenti (vedi doppio referendum in Irlanda), dei 28. Il primo comma dell’articolo 50 recita così:

Qualunque stato membro può decidere di lasciare l’Unione in accordo con i suoi principi costituzionali

La richiesta viene notificata al Consiglio Europeo e da quel momento scattano i due anni previsti per rinegoziare tutti i rapporti con l’Unione. Una volta raggiunto l’accordo poi, il voto finale spetta al Parlamento Europeo, a quello britannico e al Consiglio Europeo che deve decidere a maggioranza qualificata. Come ha sottolineato il Guardian, il voto del Parlamento britannico è uno – forse il più importante – dei “principi costituzionali” indicati dall’articolo 50. A questo proposito il quotidiano liberal britannico che nelle scorse settimana ha fatto apertamente campagna per il Remain, cita il precedente dell’entrata del Regno Unito nella Cee (1972) che avvenne dopo un voto favorevole del Parlamento di Westminster. Lo stesso dovrà accadere anche adesso. E il quotidiano londinese ha invitato i cittadini a fare lobbying nei confronti dei parlamentari della propria circoscrizione per convincerli a votare contro la Brexit.

Brexit, il parlamento può davvero votare contro?

Detto questo, ignorare o addirittura votare contro il volere della maggioranza degli inglesi sarebbe una scelta a dir poco azzardata. E non priva di ulteriori rimostranze politiche e sociali in un Paese spaccato esattamente a metà. Nonostante questo, i parlamentari di Westminster hanno tutto il diritto e il dovere di votare secondo coscienza. Sulla carta, dovrebbero votare contro la Brexit tutti i parlamentari scozzesi (56) più i 232 deputati laburisti che in questi giorni hanno messo sotto tiro il proprio segretario Jeremy Corbyn per la campagna troppo tenue a favore del Remain. Pallottoliere alla mano, saremmo già a 288 parlamentari per il “No”, a 37 voti dalla maggioranza assoluta che alla Camera dei Comuni è di 325. Senza considerare i 330 conservatori, metà dei quali hanno sostenuto il Remain nelle ultime settimane (l’Ukip ha solo 1 parlamentare). Per ora, comunque, è tutta fantapolitica perché tutto dipenderà dal nome del prossimo inquilino di Downing Street. Stamani i quotidiani britannici mettevano in pole position l’euroscettico Boris Johnson da un lato, e il ministro dell’Interno Theresa May, dall’altro. Possibile outsider, il cancelliere dello Scacchiere George Osborne. Si vedrà, ma tutto ruota intorno a questi tre nomi.

Brexit, l’attesa di Berlino

E’ proprio per questo che le prime reazioni di Angela Merkel ai risultati del referendum britannico sono state piuttosto fredde. “Immagino che anche la Gran Bretagna voglia mettere in pratica le decisioni del referendum – ha detto Merkel venerdì – ma non mi bloccherei sulla questione dei tempi brevi, l’importante è che fino a che l’accordo di uscita non viene definito, la Gran Bretagna resta membro a pieno titolo dell’Ue con tutti i diritti e i doveri”. Insomma, qualcuno a Berlino spera ancora che il suo più importante partner commerciale nell’Unione ci ripensi.

 

@salvini_giacomo