“E adesso io?”

Pubblicato il 4 Ottobre 2010 alle 12:19 Autore: Livio Ricciardelli
“E adesso io?”

Il finale del film “Giù la testa” di Sergio Leone è forse uno dei finali più struggenti della storia del cinema: dopo il flashback riguardante la vita del suo sodale Sean e dopo l’estremo e coraggioso atto compiuto dall’amico irlandese, Juan, il personaggio interpretato da Rod Steiger si ferma pensieroso a guardare verso la camera da presa sibilando la riflessiva frase: “E adesso io?”.

Non deve essere stato molto diverso l’interrogativo del Presidente del Consiglio, tra una bestemmia e una barzelletta sugli ebrei, a seguito del voto di fiducia alla Camera dei Deputati. Un bel modo per rovinarsi un compleanno.

Il D-Day della politica italiana ha mostrato una maggioranza non auto-sufficiente. O almeno non auto-sufficiente secondo i sogni e la prospettiva berlusconiana: il Cavaliere aspirava a raggiungere quota 316 senza il supporto finiano, considerato inaffidabile e non meritevole di legittimità politica.

Non solo non si è arrivati a quota 316 (ci si è fermati a 307, insufficiente anche a determinare la maggioranza assoluta dei presenti che era di 309) ma non basterebbe al centrodestra nemmeno il supporto dell’Mpa che fa asse con Fini, a partire dalla quarta giunta siciliana di Lombardo, e che ha dato il proprio voto di fiducia criticando molto l’operato dell’esecutivo sino ad ora.

Se si considera tra l’altro che le risoluzioni, contenenti massime in sostegno del discorso alla Camera di Berlusconi, sono state presentante separatamente dalle forze politiche di centrodestra possiamo ben dire che Fini ha raggiunto un obbiettivo che si era posto da tempo: Fli ora è riconosciuta come terza gamba della coalizione e la stessa cosa si può dire del quarto tassello rappresentato dal movimento di Lombardo (anche se formalmente già da tempo l’Mpa si sarebbe dovuto considerare come “terza forza di coalizione” svolgendo al sud lo stesso ruolo che svolgeva la Lega al nord). Nonostante tutto, e questo è stato il primo concetto ribadito nei gazzettini mattutini redatti da Bonaiuti, se si sommano tutti i deputati che hanno votato a favore della fiducia al governo si giunge a quota 342. Una cifra mai raggiunta in questa sedicesima legislatura. E’ questo dunque il mantra che ripete Berlusconi per vendere le giornate del 29 e 30 settembre come una “vittoria”. Ma in realtà si tratta di una mezza sconfitta. O meglio: di una vittoria non voluta in quanto ci si è impuntati nel non riconoscimenti della realtà finiana.

Il tutto, secondo i canoni comunicativi berlusconiani, dovrebbe essere rafforzato dalla situazione del Senato che ha visto, come era previsto, Fli e Mpa non determinanti (al Senato i finiani sono solo 10 e sono considerati più moderati dei colleghi della Camera) tanto che lo stesso Berlusconi pur non citando mai Fini e il nome del gruppo nel suo intervento al Senato ha omaggiato e dato fiducia a chi “dal Pdl è uscito e ha deciso di percorrere un’altra strada”.

Perfetto. Ma “adesso io?”.

Adesso in primo luogo si delinea uno scenario, strano a dirsi, non molto dissimile da quello del secondo governo Prodi: l’esecutivo del Professore aveva un solo senatore di maggioranza al Senato mentre alla Camera disponeva di circa 50 deputati in più dell’allora Casa delle Libertà.

Questo in primo luogo ci dimostra come questa legge elettorale renda ingovernabile il paese e ingestibile il Parlamento. Ma c’è un’altra similitudine col tanto vituperato Prodi-bis: anche in questo caso infatti la legislatura o dura oppure, in caso di caduta di Berlusconi, è destinata a concludersi con la convocazione di nuove elezioni.

Questo proprio perché si registra un certo squilibrio tra la situazione di Montecitorio e quella di Palazzo Madama. Un’unica negazione, quanto mai remota, a tale tesi è quella secondo cui, considerando che la questione spetta al Capo dello Stato, molti peones del Pdl potrebbero sostenere contro il Cavaliere le istanze di un governo di transizione per gestire la crisi economica e mutare la legge elettorale. Fantapolitica, appunto.

Quindi tra le elezioni anticipate (rischio sempre presente in caso di perenni e logoranti trattative tra componente finiana e Pdl-Lega sui temi più disparati) e la possibilità di andare avanti non ci sono altre strade percorribili.

Berlusconi dovrà sondare il campo finiano per cercare di capire se è possibile un prosieguo della legislatura “secondo le sue condizioni”. Ovvero: approvando quelle norme che tanto desidera in materia di giustizia.

Se accetterà un normale compromesso costante con le altre sensibilità della coalizione, ma ciò potrebbe cozzare con le sue esigenze giudiziarie, potrebbe anche durare (ma la Lega dovrebbe essere d’accordo nel sedersi al tavolo della trattativa numerose volte assieme a Bocchino) altrimenti l’unica operazione è ritentare un’altra volta una difficile autosufficienza dai finiani. I tal caso, considerando che già si è lavorato ad ampliamenti sui vari Nucara e Mannino, l’unica operazione che potrebbe avere un briciolo di successo è quella di lavorare ad uno sfaldamento del gruppo finiano spesso ritratto come una forza politica fatta di “falchi” e “colombe”.

Puntare ad una loro divisione e reimbarcare, nella grande casa del Pdl, gli oramai ex-finiani.

Per far ciò tutti i mezzi, per Berlusconi, sono leciti.

Boulevard Princesse Charlotte docet.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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