C’era una volta il FLI

Pubblicato il 21 Febbraio 2011 alle 16:41 Autore: Livio Ricciardelli
C’era una volta il FLI

Il quadro familiare sembrava completo: l’ideologo di riferimento (Campi), la rappresentanza femminile (Chiara Moroni), quella culturale (Della Vedova), un fantasioso curatore d’immagine (Barbareschi), il grande vecchio (Tremaglia) e dirigenti politici che si erano fatti le ossa nei complessi anni del Movimento Sociale Italiano, in maniera disinteressata e trasmettendo passione e militanza politica da tutti i pori.

Non era chiaro se quel raggruppamento, che prima di divenire partito si fece gruppo parlamentare autonomo, fosse stato espulso dal partito o se l’espulsione, come sostenuto dai plenipotenziari berlusconiani, se la fosse cercata. Ma questo appariva senz’altro come un aspetto marginale della vicenda.

La parabola politica di Futuro e Libertà per l’Italia effettivamente ad un certo punto sembrava una nave dal vento in poppa, capace di rappresentare nell’emisfero destro della politica italiana un’isola di normalità nel mare dell’anomalia.

Questo trend positivo derivava in primis da alcune libertà che il leader di Fli Gianfranco Fini si era permesso quando ancora gravitava nel Pdl. Molte posizioni della terza carica dello stato infatti sembravano molto avanzate, come quelle sui temi etici, sull’immigrazione e addirittura sul conflitto d’interessi.

Addirittura nel corso della Festa Democratica Nazionale del Pd a Genova (per capirci, quella di Franceschini che arringa i volontari dall’alto di un autorevole tavolo di ristorante) qualche acuto osservatore notò come l’intervento più apprezzato e più applaudito della kermesse fosse stato proprio quello di Fini assieme a quello del direttore di “Repubblica” Ezio Mauro.

Si arrivò addirittura alla conclusione che Fini sotto sotto fosse di “sinistra” o che comunque riempiva un vuoto che la sinistra aveva lasciato scoperto proprio perché intenta a seguire Berlusconi sulla sua stessa strada. Insomma, quel tipo di dichiarazioni e di definizioni che sono croce e delizia di un paese come l’Italia, da sempre abituato ad avere una relazione molto intensa ma anche emotiva con la politica.

Questa simpatia per l’uomo che sfidava il Capo si era rafforzata con la direzione nazionale del Pdl dell’aprile 2010 del “Che fai ? Mi cacci?” (anche se forse andrebbe ricordata per la relazione finale letta da Lupi che invitava il partito “a servire il Popolo”, delineando già un addio dell’ultraliberista Della Vedova dalla creatura berlusconiana) e registrava il suo massimo grado sul finire di luglio, quando nacque quella nuova creatura parlamentare.

Da luglio fu un susseguirsi di annunci: a Mirabello a settembre si sarebbe tenuto un grande intervento di Fini sulla situazione politica nazionale e in risposta agli attacchi dei giornali “di famiglia” sulla casa di Montecarlo. A novembre presso Bastia Umbra si sarebbe tenuta la presentazione del “Manifesto per l’Italia” tra un discorso di saluto della governatrice “rossa” Catiuscia Marini e un acclamato intervento di Tiberio Timperi. Infine a gennaio si sarebbe tenuto il primo congresso nazionale del partito a Milano.

Nel frattempo, voti di (s)fiducia e defezioni a gogò.

La prima ad avere qualche ripensamento fu Souad Sbai. Ripensamenti così complessi e arzigogolati che tuttora in molti non ricordano il collocamento parlamentare della deputato italo – marocchina.

Ma il top delle defezioni (se escludono l’addio di Moffa, Polidori e Siliquini nel corso della fiducia del 14 dicembre) si è registrato dopo il congresso di Milano che ha visto deteriorarsi ancor di più il rapporto tra le due storiche anime e componenti del partito: i falchi e le colombe.

I falchi, perlopiù radicati a Montecitorio, guidato dall’intrepido Bocchino assieme ai vari Briguglio e Granata da sempre promotori e custodi dell’ortodossia finiana si sono sempre fronteggiati con le colombe, quasi egemonici a Palazzo Madama, da sempre più possibilisti e desiderosi di non rompere in maniera definitiva il rapporto con Berlusconi e con la maggioranza di governo.

Il tutto con al centro una zona grigia di difficile collocazione in cui i vari Consolo e Menia, ma anche i vari Urso e Ronchi, venivano definiti come sostanziali colombe nonostante gli ultimi tre avessero rifiutato, assieme a Buonfiglio, di ricoprire incarichi di governo.

Anche questa volta sono gli incarichi interni al partito ad avere portato allo scontro: Fini Presidente del Partito ma auto-sospeso in quanto Presidente della Camera dei Deputati. Per evitare un direzione collegiale del partito tanto gradita alle correnti (ma dal sapore un po’ troppo piddiellino…) Bocchino è eletto vice-presidente. A suo posto viene eletto l’ex radicale Della Vedova Presidente del gruppo Fli alla Camera e Viespoli è confermato Presidente dei Senatori. Questi tre compongono l’ufficio di presidenza del partito assieme a Menia, coordinatore nazionale, Urso, portavoce, e Ronchi, presidente dell’assemblea.

E’ la goccia che fa traboccare il vaso: si denuncia una scarsa democraticità nelle scelte congressuali (pare che nessuno abbia detto al povero Urso che lo avrebbero sostituito come coordinatore del partito) e una cessione di Fli all’ala più intransigente. La stessa nomina di Della Vedova capogruppo, già vice di Bocchino a Montecitorio ma scelto come segnale culturale verso una nuova destra, non è vista bene.

E così mentre Alessandro Campi e Sofia Ventura denunciano un partito troppo “sbilanciato a sinistra” nel cercare l’alleanza costituzionale contro Berlusconi, Viespoli si dimette da capogruppo (ma viene rieletto) mentre i colleghi Menardi e Pontone lasciano la barca. Baldassarri si dichiara incerto (suo il voto determinante nella Commissione Bicamerale per l’Attuazione del Federalismo) e alla Camera se ne vanno i vari Rosso e Barbareschi.

Già, Barbareschi: sua l’idea di chiamare il partito “Futuro e Libertà per l’Italia”. Come nel film con Clive Oween e Naomi Watts “The International”, dove il prode Barbareschi interpreta l’emergente leader di una nuova pseudo – destra politica italiana denominata “Futuro Italiano”.

Qualcuno sospettava che il suo tentennare fosse una trovata pubblicitaria per pubblicizzare un suo altro film, “Il Trasformista”, in onda di recente su Rai3. Altri sostengono abbia incontrato il Cavaliere ad Arcore ed abbia deciso di lasciare la scialuppa finiana. Forse per il Teatro Valle, forse perché il partito dal “ 9% è sceso all’1%” proprio per la mia uscita”.

C’era una volta il Fli. Ammesso e non concesso che ci sia mai stato.

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
Tutti gli articoli di Livio Ricciardelli →