Copia privata: la Siae gioca a babbo natale contro la Apple

Pubblicato il 1 Agosto 2014 alle 16:57 Autore: Guido Scorza

22 iPhone nuovi di zecca comprati a Nizza, spediti a Roma e regalati ad alcuni rappresentanti  di Croce Rossa, Telefono Azzurro, Centro Sperimentale di Cinematografia, Accademia Silvio D’Amico, Associazione don Gallo e Conservatorio di Santa Cecilia nel corso di un’affollata – secondo il comunicato stampa della Mn Italia, la società di comunicazione che assiste la Siae – conferenza svoltasi presso il museo teatrale del Burcardo.

E’ questa la risposta – della quale è per la verità difficile cogliere senso e significato – della Siae all’iniziativa della Apple che, nei giorni scorsi, aveva aumentato i prezzi dei propri dispositivi in maniera direttamente proporzionale agli aumenti delle tariffe del c.d. equo compenso per copia privata disposti lo scorso 21 giugno dal Ministro dei beni e delle attività culturali, Dario Franceschini. Un regalo da oltre 15 mila euro dalla Siae – ovviamente con i soldi dei suoi 100 mila associati che, per la maggior parte, alla fine dell’anno non riescono neppure a recuperare l’esosa quota associativa che versano – ad una manciata di associazioni indubbiamente piene di meriti ma che, probabilmente, non hanno un impellente bisogno di 22 smartphone di ultima generazione.

“Serviranno” – ha detto il Direttore Generale della Siae, Gaetano Blandini, dopo aver morso una bella mela gialla in segno di sfida alla Apple – che ha, per marchio, appunto, una mela morsicata – “per aiutarli nelle loro missioni”.

“Alla mossa provocatoria di Apple (che ha alzato i prezzi dei suoi device con la scusa della copia privata) gli autori italiani rispondono” così, scrive Siae nel suo comunicato.

Una provocazione – a dir poco frivola e dispendiosa benché a spese altrui – per rispondere a quella che si ritiene, peraltro a torto, una provocazione.

E’ un modo curioso di fare comunicazione e di difendere i diritti degli autori che, probabilmente, sarebbero stati più contenti se i 15 mila euro spesi in smartphone, fossero stati utilizzati per sollevare 1000 giovani iscritti alla Siae dall’obbligo di pagare la quota di iscrizione alla società che fu di Verdi e Carducci e che oggi gioca a fare Babbo Natale.

Difficile capire cosa abbiano dimostrato gli uomini della Siae con la loro iniziativa. Che in Francia, dove l’equo compenso per copia privata sugli smartphone è più alto che in Italia, i telefonini della Apple costano meno, suggerisce il comunicato stampa Siae.

E con questo?

Costerebbero ancora di meno, in Francia come in Italia se l’equo compenso fosse più basso. Né sembra che qualcuno possa contestare ad una società commerciale come la Apple il diritto e la libertà – tra l’altro costituzionalmente garantitale in Francia come in Italia – di fare impresa, decidendo in autonomia, tra l’altro, le politiche commerciali.

Anche se, a ben vedere, proprio ieri, dalle colonne de Il Foglio, è stato addirittura il Ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini a muovere ad Apple una contestazione di questo genere: “rivendico il diritto di criticare la ritorsione della Apple. Che ha scelto arbitrariamente di alzare i prezzi dei suoi prodotti aggiungendo, quasi come se fosse una provocazione, persino l’Iva”.

Parole difficili da condividere e che, forse, un Ministro della Repubblica dovrebbe astenersi dal pronunciare specie nello stesso momento in cui il suo Premier, Matteo Renzi annuncia di prepararsi a volare in Silicon Valley per presentare ad Apple e compagni quanto e come intende scommettere sull’innovazione e la digitalizzazione del Paese.

Ma, a ben vedere, il punto non è questo. Il punto non è se la Apple abbia fatto bene o male ad aumentare i prezzi in conseguenza degli aumenti tariffari del compenso per copia privata né se la Apple sia una società eticamente corretta o meno. Il punto è che gli aumenti tariffari che la Siae ha sponsorizzato attraverso un’autentica campagna lobbistica con pochi precedenti e che il Ministro Franceschini ha varato sono tecnicamente e giuridicamente iniqui, illegittimi, ingiusti.

Tutto il resto non conta.

E dispiace constatare che la Siae, anziché convocare una conferenza stampa per difendere – su base giuridico-economica – le proprie scelte e fare un’operazione di trasparenza sui numeri e le cifre della gestione degli oltre 150 milioni di euro che da quest’anno passeranno, ogni anno, nelle proprie casse così come sugli oltre 150 milioni di euro incassati, sin qui, proprio a titolo di compenso per copia privata e rimasti in giacenza sui suoi conti correnti anziché finire agli autori ed agli editori italiani, abbia preferito mettere in scena una pièce teatrale che non fa neppure onore – in termini artistici – al genio creativo degli autori che dovrebbe rappresentare.

Forse, un altro Presidente, un altro Direttore Generale, un altro management della società ieri mattina, in conferenza stampa, anziché sperperare 15 mila euro dei propri associati e giocare a mordere una mela, avrebbero assunto un impegno “sacro ed inviolabile” a ridurre la percentuale milionaria dei costi di gestione che la società trattiene sulla montagna di denaro che incassa e, soprattutto, a accorciare i tempi pachidermici che impiega per ripartire quanto incassato tra i legittimi destinatari.

Ma non è andata così.

Chi oggi governa la società italiana autori ed editori ha, ancora una volta, preferito scegliere una strada diversa da quella auspicata da una base associativa rispetto alla quale, ormai, esiste una frattura incolmabile e che se lo Statuto glielo consentisse – anziché consegnare la governance della società nelle mani di un manipolo di ricchi – sfiducerebbe questa gestione senza neppure un’esitazione, prima che sia troppo tardi.

Ma, per fortuna, a strappare un sorriso nell’ennesima brutta puntata dell’interminabile sagra del compenso per copia privata, ci ha pensato, l’On. Francesco Boccia (Pd) – ormai onnipresente quando si tratta di dar battaglia ai giganti dell’innovazione mondiali – che non ha perso occasione per scagliarsi contro la Apple e gli altri colossi del web: “Ci vuole forza, coraggio e libertà per sostenere questa battaglia culturale – ha detto Boccia – La musica e il cinema sono stati i primi comparti ad avere il commercio elettronico e sono stati travolti dall’economia digitale che ha trasformato la vita nostra e quella dei nostri figli. Le risorse accumulate da queste società che vendono pubblicità sulla rete sono enormi, loro non pagano le tasse nel Paese in cui producono reddito. L’equità fiscale che io sostengo non deve essere vista come un freno allo sviluppo della rete”.

A parte il fatto che non è chiaro cosa c’entri la Apple ed il compenso per copia privata con le società che vendono pubblicità online, è impossibile resistere alla tentazione di chiedere all’On. Boccia, che ci faccia, proprio lui, in prima linea, in una conferenza in cui si esalta un’iniziativa in cui un ente pubblico economico italiano, se ne va in Francia a comprare 22 smartphone sotto costo, scontando imposte più basse di quelle italiane.

Non è lui l’uomo che sostiene a spada tratta il principio per il quale ogni vendita – specie se di prodotti tecnologici – debba essere tassata, Iva inclusa, nel Paese di destinazione?

Forse gli è sfuggito che comprando 15 mila euro di iPhone in Francia anziché in Italia, la Siae ha pagato le tasse ai cugini francesi e, peraltro, lo ha fatto in misura inferiore di quanto avrebbe dovuto se li avesse acquistati in Italia.

Ma la coerenza non sembra appartenere ad un certo modo di fare politica.

Nota di trasparenza: assisto Altroconsumo nel giudizio di impugnazione del Decreto Franceschini sugli aumenti delle tariffe del compenso per copia privata. Nonostante ogni sforzo di obiettività, il lettore ne tenga conto.

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