Dal Blog: La condanna a Berlusconi e la nostra dignità

Pubblicato il 25 Giugno 2013 alle 16:26 Autore: Alessandro Siro Campi
Dal Blog: La condanna a Berlusconi e la nostra dignità

La condanna di Berlusconi nel processo Ruby dice che è ancora vero che in Italia la legge è uguale per tutti. Dice che ancora, in Italia, se telefoni in questura e dici che una nota prostituta è la nipote di Mubarak non basta il fatto che sei il premier per rendere questa colossale bugia una verità accettata. In questo senso dovremmo essere felici per la sentenza.

Ma dovremmo anche essere terribilmente tristi, perché quella condanna è anche una notizia tragica, perché sancisce che questo Paese è da vent’anni sotto il ricatto permanente di un uomo che considera normale organizzare festini con minorenni e si ritiene in diritto di raccontare menzogne prendendo in giro il Parlamento e i Tribunali della Repubblica. Di fronte a una mole schiacciante di riscontri (tra cui una telefonata fatta dal premier in persona) c’è ancora chi dice che Berlusconi è un perseguitato. E c’è chi finge di crederci perché farlo è conveniente (o sembra esserlo).

Concordo con Pippo sul fatto che dopo la condanna di oggi, che segue quell’altra, non è sufficiente (né sano) dire che bisogna batterlo politicamente, che non si commentano le sentenze (quelli del Pdl, però, le commentano, eccome se le commentano), che il governo prosegue come se nulla fosse. Perché in un Paese nel quale impazzano la corruzione – in tutte le sue forme – e l’evasione fiscale e la concezione ‘malata’ del potere (che per sua natura prevarica, come se facesse parte della definizione), non va bene alzare le spalle di fronte a fatti come quelli di queste ore. Non va bene che il dibattito riguardi solo il Pdl, come se la questione non riguardasse il Pd e la sua lettura del sistema politico. E più banalmente di quello che accade. E non per antiberlusconismo, ma per quel minimo di dignità che ci dovrebbe sempre accompagnare. Fare finta di niente, non è da larghe intese, è semplicemente un malinteso. Grave e complice, sia sul piano morale, sia sul piano politico.

Concordo anche con Giglioli quando dice che fingere di considerare impolitici questi fatti è una cosa al limite del grottesco o, più semplicemente, dell’ignavia. Chiunque abbia letto un minimo gli atti, le intercettazioni, le localizzazioni delle celle dei telefonini (e così via) ha tutti gli strumenti per fare pulizia mentale dalla quantità impressionante di balle che oggi vengono sparate all’unisono dai dipendenti e dai famigli del Cavaliere. Balle che vengono spacciate nei tg e nei talk show come rispettabili e degnissime opinioni, in una surreale par condicio mediatica fra i fatti acclarati e le più spudorate fandonie. Una par condicio farlocca ma molto figlia di queste larghe intese e della famosa ‘pacificazione’: basta vedere quel capolavoro di comunicato con cui il Pd «prende atto della sentenza e la rispetta», ma per carità «senza commettere l’errore di confondere il piano giudiziario con quello politico». Un capolavoro, appunto, seppur di ipocrisia: cosa significa «prendere atto della sentenza senza confondere il piano giudiziario con quello politico»? Il Pd pensa che Berlusconi sia un delinquente come ha stabilito il tribunale o pensa che quello di ieri sia stato «un colpo di Stato, una barbarie, una sentenza teocratica e una persecuzione» così come dicono tutti i berlusconiani? Non si sa: le larghe intese impediscono al Pd di rispondere a questa domanda. Ci si limita a «prendere atto». Ci sono dei tribunali della Repubblica che hanno condannato il fondatore-leader-proprietario di un partito per un totale, al momento, di 12 anni: davvero non è un fatto politico questo? Né lo è il particolare che gli ultimi sette anni se li è presi per un abuso di potere compiuto proprio da politico, da presidente del Consiglio, così come da politico si è da poco beccato altri 12 mesi per l’intercettazione di Fassino? Ha ancora ragione Gilioli a chiedere a quanti deve arrivare – ancora – perché l’etica prevalga sulla convenienza (o presunta tale) perché si capisca che governare insieme a quest’uomo e ai suoi sporchi affari è inaccettabile moralmente, prima ancora che politicamente.

Oltre alla sentenza e all’occupazione delle istituzioni è terribile constatare l’effetto di tutto ciò sulla morale collettiva, al fatto che il modello imperante è quello di giovani ragazze che si piazzano con l’uomo (anziano) ricco. L’amore non c’entra, la famiglia una facciata, la donna ridotta ad oggetto da ostentare, lei consenziente. Giovani ragazze disposte (come dicono al telefono fra amiche) a spettacolini da film erotici di serie B, soldi che girano nelle tasche di disinibite minorenni. E in questo scenario i commenti al bar si sprecano; beato lui che può, potessi, anch’io… Non possiamo fingere di non vedere le conseguenze che ne derivano. Penso a chi è bimbo oggi, ancora piccolo, e mi chiedo come si riuscirà a fargli scoprire la relazione adulta e matura, fatta di rispetto, non seduttiva o pornografa, fra un uomo e una donna. Mi chiedo come potrà credere all’amore, se nessuno ci crede, se tutto è ridotto ad uso (anche se consenziente) dell’altro.
Non possiamo condividere questa visione della vita, della donna, dell’amore.
C’è un mondo di persone che ama davvero, che lotta, suda, fatica, tira la carriola (e spesso la cinghia a fine mese) con grande dignità e poi c’è l’altro mondo, quello delle ragazze che in una notte guadagnano quello che un papà guadagnerebbe in sei mesi, quello di parlamentari degne più di un’erezione che di un’elezione. Con la complicità del nostro silenzio si presenta come “normale” il secondo mondo. Molti lo invidiano e sognano di farne parte, senza rendersi conto che è di più ciò che hanno. Perché il mondo “altro” è un mondo sterile, in cui la possibilità di generare è vista come una disgrazia, un mondo che baratta il presente con il futuro e così facendo nega un futuro anche a se stesso, è un mondo in cui non si gioisce più perché è nato un bimbo. In una intercettazione Nicole Minetti così si sfoga: “mi ha distrutto la vita, io avrei voluto sposarmi, avere dei figli…”.

Dobbiamo avere il coraggio di dire ad alta voce che non vogliamo vivere in un Paese in cui per ottenere qualcosa bisogna essere le preferite di un anziano. Diciamo con forza no a chi vuole insegnare ai nostri bambini e ragazzi che studiare è inutile, che i più devono accettare una vita mediocre mentre pochi privilegiati possono essere nelle grazie di un potente e avere tutto. Diciamo a chi insegna che lavorare duro è inutile perché conta solo il favore di un potente di andarsene, di smettere di avvelenare il nostro futuro. Chiediamogli di lasciarci la nostra dignità.

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L'autore: Alessandro Siro Campi

Alessandro Siro Campi nasce nel 1975. Si laurea nel 2000 in Ingegneria Informatica e consegue il dottorato nel 2004. Dal 2005 è ricercatore presso il Politecnico di Milano dove si occupa di Web e di interrogazioni e mining dei dati. Il suo blog personale è Alesiro
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