I “bari”: corsi e ricorsi storici

Pubblicato il 8 Marzo 2010 alle 19:01 Autore: Livio Ricciardelli
I “bari”: corsi e ricorsi storici

È opinione diffusa che spesso la storia tenda a ripetersi. Nel corso di anni, decenni, secoli. Ma anche nell’arco di pochi mesi, che sono nulla agli occhi della storia stessa.

E spesso tra coloro che si fanno protagonisti del ripetersi della storia puoi trovare di tutto: dal presidente del Consiglio “dalla basse morale” (come direbbero i programmatori della Lucasart), ai plenipotenziari onnipresenti in tv, fino ai politici locali che, terrorizzati dall’idea di tornare a lavorare, decidono di andarsi a prendere un panino. O forse due.

E quindi i famosi “paninari” (fenomeno che agli occhi della storia potrebbe apparire come farsesco) non erano radicati solo nella Milano degli anni ’80, così relativista e priva di valori. Ma anche nella Roma del nuovo millennio persone amanti del panino assortito possono divenire, loro malgrado, protagonisti di un caso politico a livelli nazionali.

La presentazione in ritardo di una lista elettorale di per sé non è un evento raro. Ma per un partito importante elettoralmente come il Pdl è forse il primo caso che rende la situazione una pura anomalia. Un’anomalia aggravata dal fatto che questa presentazione ritardataria delle liste elettorali è dovuta non tanto a meri errori tecnici, ma ad un “incasinamento” generalizzato dovuto ai rappresentanti del Pdl stesso ed evidenziato da autorevoli quotidiani di centrodestra.

Forse non sapremo mai perché il presidente del XIX municipio di Roma, Alfredo Milioni, sia uscito dal Tribunale di Corte d’Appello. Forse per l’appetito, forse per “sbianchettare” qualche nome poco gradito.

Resta il fatto che un semplice politico locale ha creato seri problemi al Pdl, principale partito di governo.

Le soluzioni a questo punto non erano molte: attendere la giustizia amministrativa poteva apparire un azzardo. Non solo perché storicamente il governo e il centrodestra hanno scarsa fiducia nei confronti dell’operato dei magistrati; ma anche perché la storia della presentazione in ritardo della liste appariva già alquanto diversa da altri casi, come il rischio di non-presentazione del listino della Polverini nel Lazio (mancava una firma del vice-coordinatore regionale del Pdl) o il rischio di esclusione della lista civica, sempre della Polverini, dovuta alla presenza di un’altra lista troppo simile, poi cassata per irregolare composizione del listino.

Quindi le strade erano due: o rischiare di vedersi fuori dalla competizione elettorale in Lombardia (un altro caso dovuto alla non regolarità della firme presentate in sostegno del listino di Roberto Formigoni) e senza il Pdl nella provincia di Roma, o tentare di risolvere la vicenda. Sfruttando il fatto di stare al governo.

Ecco dunque un decreto legge d’urgenza.

Questo strumento, mai utilizzato per cercare di risolvere i problemi legati all’economia ed al sociale a seguito della grande crisi del 2008, viene utilizzato in chiave “interpretativa” per consentire di salvaguardare la “sostanza” a scapito della “forma”.

Il decreto è approvato da un Cdm convocato inizialmente alle 18 di venerdì, poi alle 19,30 fino ad arrivare alle 20 passate. Viene firmato dal Capo dello Stato alle 23,45.

A dir la verità già  nei giorni precedenti si era tentati, da parte del governo, di provare la strada del decreto. Il problema però era “un decreto come”?

Una volta sondata e quindi data per certa l’indisponibilità delle opposizioni a dialogare su un tema che avrebbe portato ad una sanatoria della violazione delle regole, i plenipotenziari governativi si sono concentrati su un decreto che rinviasse le elezioni o su un decreto che allungasse il tempo disponibile per presentare le liste elettorali.

Compresa anche l’indisponibilità del Colle, si è giunti ad un decreto interpretativo che, in quanto tale, si impegnava a fornire dei dettagli maggiori, senza modifiche formali, sulle leggi vigenti.

Su questo testo il Quirinale firma e il giorno sabato 6 marzo il decreto viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

A dire il vero non è  la primissima volta che si assiste ad uno scenario così desolante. Un anno fa, con un decreto fatto in fretta e furia ma poi non firmato dal Quirinale, si cercava sostanzialmente di fermare una sentenza della magistratura sullo spinoso tema legato ad Eluana Englaro.

E per quanto riguarda temi più prettamente tecnici, nel 2005 si modificò la legge elettorale nazionale pochi mesi prima delle elezioni Politiche del 2006. E secondo molti questo DL, seppur interpretativo, modifica di fatto la legge elettorale. Perché i regolamenti e le procedure legati alla presentazione delle liste sono essi stessi materia di campagna elettorale.

La Regione Lazio infatti ha già annunciato un ricorso alla Corte Costituzionale in quanto di fatto si interviene sulla legge elettorale regionale, che appunto è competenza della Regione.

Si consideri tra l’altro che la norma, seppur difficile da non attuare, rimane interpretativa – e ciò non assicura né la presenza del Pdl nella provincia di Roma né la continuità della sospensiva che in Lombardia per adesso consente la corsa di Roberto Formigoni.

Insomma, come ha detto il Presidente della Camera Fini, questo decreto risulta essere per molti “il male minore”.

Ma per il governo si trattava dell’unica strada. L’unica strada di un governo alla frutta. Che costringe il paese con lui a percorrere una deriva pericolosissima per lo stato di diritto.


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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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