Il golpe della “copia privata”

Pubblicato il 13 Dicembre 2013 alle 11:31 Autore: Guido Scorza

Il golpe della “copia privata”

Ha dell’incredibile quanto sta accadendo, negli ultimi giorni, a proposito del c.d. equo compenso da copia privata ovvero l’indennizzo che i produttori e distributori di supporti e dispositivi utilizzabili – anche solo in astratto – per la fissazione di copie, ad uso personale, di opere coperte da diritto d’autore sono tenuti a pagare alla SIAE affinché li distribuisca agli aventi diritto per rimediare ai presunti mancati profitti imputabili a tale fenomeno.

A metà novembre il Maestro Gino Paoli, Presidente della SIAE chiede al Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Massimo Bray di adeguare i compensi previsti dalla vigente disciplina italiana datata 2009, alla media europea che, a dire di Paoli, è sensibilmente più elevata.

La SIAE chiede ed il Ministro obbedisce, dimenticando – forse – che la disciplina vigente già prevede un meccanismo per l’adeguamento dell’equo compenso, stabilendo, proprio a tal fine, che il Ministro debba proporre al Presidente del Consiglio dei Ministri l’istituzione di un tavolo tecnico attorno al quale far sedere i rappresentanti di tutte le categorie interessate.

Certo non è colpa del Ministro Bray – ultimo arrivato – se nessuno, in quasi tre anni ha mai chiesto l’istituzione del tavolo ma è altrettanto evidente che, quest’ultimo, pur potendo, si guarda bene da rispondere garbatamente a Paoli che Vi avrebbe provveduto dopo aver sentito tutti i soggetti interessati.

Accade, invece, che gli uffici del Ministero si mettono al lavoro di buona lena ed in gran segreto e mettono a punto una bozza di decreto che non solo non viene posta in consultazione pubblica come sarebbe stato auspicabile – ancorché non previsto da nessuna norma di legge – ma non viene neppure condivisa con i rappresentanti delle associazioni di categoria e, in particolare, con i consumatori che nelle prossime settimane si vedranno costretti a pagare decine di milioni di euro in più rispetto a quanto hanno pagato sino allo scorso anno, ogni qualvolta acquisteranno un telefonino, un pc, un hard disk ed ogni altro genere di dispositivo tecnologico, idoneo ad ospitare contenuti coperti da diritto d’autore a prescindere dal fatto che, poi, lo utilizzino o meno, a tal fine.

Nei giorni scorsi, Altroconsumo, una delle maggiori associazioni italiane di consumatori ed utenti, prende carta e penna e scrive al Ministro, chiedendo conferma di quanto precede, l’istituzione del tavolo tecnico e di ricevere, almeno, copia della bozza di decreto alla quale starebbero lavorando gli uffici del Ministero.

Segue solo un rumoroso silenzio.

Frattanto tra le molte critiche che vengono indirizzate alla nuova emananda disciplina, ve ne sono alcune attraverso le quali si fa notare al Ministro che, a prescindere da ogni altra considerazione, le medie europee che si stanno ponendo alla base degli adeguamenti della misura dell’equo compenso sono “truccate” perché tengono conto solo dei Paesi europei nei quali è in vigore una disciplina analoga a quella italiana mentre non considerano affatto i tanti Paesi – la più parte – nei quali esistono regole completamente diverse.

Ma non basta.

Nelle critiche, sfortunatamente basate solo su un fastidioso rincorrersi di voci, si fa anche notare come discutere solo della misura dell’equo compenso da copia privata sua fuorviante visto che i modelli di prelievo sono diversi.

Niente da fare.

Il Ministro sembra sordo ad ogni sollecitazione e prosegue per la sua strada.

Ieri il colpo di scena da autentico golpe d’inverno.

In Parlamento, nascosta nelle pieghe di uno dei migliaia di emendamenti alla legge di stabilità, salta fuori una disposizione che dice al Ministro di procedere esattamente come sta procedendo.

Ecco il testo: “Al fine di sostenere il diritto d’autore e le attività dello spettacolo, dall’entrata in vigore della presente legge, i compensi previsti per ciascuno degli apparecchi o supporti di cui al comma 1 dell’articolo 71-septies della legge 22 aprile 1941, n. 633, sono aggiornati, con il decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di cui al medesimo articolo 71-septies, in misura almeno pari alle corrispondenti medie europee accertate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita la Società Italiana Autori Editori (S.I.A.E.), e calcolate con esclusivo riguardo ai Paesi Europei nei cui ordinamenti è prevista la remunerazione della riproduzione privata ad uso personale.”.

Il Parlamento, dunque, senza neppure rendersene conto, si avvia a ratificare l’operato del Ministro e così facendo a far propri i desiderata dei titolari dei diritti rappresentati dalla SIAE.

Ricapitoliamo: la SIAE chiede, il Ministro esegue ed il Parlamento ratifica.

La democrazia è un’altra cosa ma, evidentemente, è ormai diffuso il convincimento che nel nome del diritto d’autore sia tutto permesso.

Il fine giustifica i mezzi come diceva Macchiavelli.

Ma non basta perché, già che c’erano, gli estensori dell’emendamento, hanno pensato di fare anche un regalo a quella che, probabilmente, ne è stata la vera ispiratrice: la SIAE.

La disposizione, infatti, prevede anche che “Il 50 per cento dell’eventuale incremento rispetto all’esercizio 2012 dei compensi ripartibili annualmente alla S.I.A.E ai sensi dei commi 1 e 3 dell’articolo 71-octies della legge 22 aprile 1941, n. 633, è destinato dalla S.I.A.E. stessa, d’intesa con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al sostegno delle attività previste dal comma 2 dall’articolo 2 dello statuto della S.I.A.E.”

I consumatori, dunque, verseranno decine di milioni di euro e la SIAE, prima di ripartire tra gli aventi diritto quanto di loro spettanza, oltre a trattenere per sé milioni e milioni di euro a titolo di c.d. rimborso spese per la gestione della copia privata, potrà trattenere anche un cospicuo tesoretto da utilizzare, a propria assoluta discrezionalità, per finanziare iniziative meritevoli nei settori di propria competenza.

E’ questo il ruolo del Parlamento in un Paese democratico?

Essere il braccio armato di questa o quella lobby per tradurre in legge desiderata personali?

Nessuno mette in dubbio l’esigenza di garantire agli autori quanto loro necessario per continuare a creare arte e cultura ma, nel farlo, non si può abbandonare – come accade sempre più di frequente – la strada maestra delle regole democratiche.

 

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