Dal Blog: Le mirabolanti avventure di MPS, brevemente riassunte

Pubblicato il 26 Gennaio 2013 alle 17:55 Autore: Giovanni De Mizio

Visto che pare non essere chiaro a tutti in cosa consista il guaio di Montepaschi (e molti media stanno aiutando poco la comprensione della vicenda, a giudicare dalle richieste di spiegazioni che ho ricevuto) riassumiamo ai minimi termini le tre operazioni che hanno portato al dissesto di Rocca Salimbeni.

Esse sono: operazione Antonveneta, operazione Santorini e operazione Alexandria.

L’operazione Antonveneta concerne l’acquisto della banca da parte di MPS. Antonveneta, dopo traversie che non stiamo a riassumere, finisce nelle mani di Santander, per un valore di 6,6 miliardi, che pochi mesi dopo la vende a MPS. Per capire la questione è utile la metafora dell’acquisto di un’auto. Se un tizio vuole vendermi un auto che ha acquistato pochi mesi prima, i casi sono tre:

  1. il tizio cambia auto ogni sei mesi;
  2. il tizio non può permettersi quell’auto;
  3. quell’auto è un limone, cioè un bidone.

Escludendo che Santander cambi assetto societario ogni sei mesi, consideriamo solo i casi 2 e 3. È possibile che Santander stesse avendo problemi (stava accumulando perdite importanti, l’anno è il 2008, quello di Lehman Brothers) e perciò volesse vendere asset per fare cassa. Se è questo il caso, dato che non siamo un ente di beneficenza, bensì una banca, dovremmo prendere Santander per la gola e offrire al massimomassimomassimomassimomassimo 6 miliardi, ma 5 miliardi era già troppo. Se invece Antonveneta è un bidone, offriamo al massimo 2-3 miliardi. Ma noi non siamo megalomani, né possiamo usare la carta di credito di papà per comprare una 500 al prezzo di una Ferrari.

MPS, invece, pare di sì: rastrella tutta la liquidità che trova e se la compra per 10 miliardi (o qualcosa di meno). A Santander non pare vero avere una plusvalenza di 2-3 miliardi per pochi mesi di lavoro. Plusvalenza che sale se consideriamo che Antonveneta all’epoca valeva poco più di 2 miliardi. Adesso vien fuori che potrebbe esserci stato un giro di tangenti a giustificare un tale falò di quattrini.

L’operazione Santorini riguarda prima Banca Intesa e poi i titoli di Stato italiani. MPS aveva stipulato un contratto con Deustche Bank concernente Intesa, se non ho capito male un equity collar, una combinazione di opzioni che permette di conoscere a priori la perdita massima e il guadagno massimo di un investimento. Come un collare per i cani, appunto: oltre la lunghezza del collare il cane non può andare, e così l’investimento. Senonché MPS non vuole iscrivere a bilancio la perdita relativa a tale contratto: aveva i bilanci già scassati dall’operazione Antonveneta, e aveva bisogno di denari da distribuire sul “territorio”, secondo le solite indicazioni politiche. Come un giocatore alla roulette che conosce poco le implicazioni della martingala, dopo aver perso una partita, MPS “raddoppia” la posta in quella successiva, e scambia quella perdita con un’altra operazione con DB, l’operazione Santorini, appunto. MPS paga 60 milioni a DB per ottenere 1,5 miliardi di prestito a scadenza 2018, e MPS garantisce i tedeschi dal rischio di perdita sui titoli di Stato italiani. Come prevedibile (per i tedeschi) il prezzo dei BTP comincia a salire, e le perdite subite da DB finiscono sul groppone di MPS, che pochi anni dopo decide di liquidare l’operazione in perdita. Si tratta di perdite più o meno uguali a quelle che non avevano voluto sopportare per la questione Banca Intesa, cui si aggiungono gli oneri relativi alla prima parte del contratto (il prestito di 1,5 miliardi). Forse era meglio alzarsi dal tavolo accettando di aver perso, piuttosto che continuare a debito e straperdere.