Le primarie nel Pd: una questione di merito e di metodo

Pubblicato il 11 Maggio 2010 alle 16:42 Autore: Livio Ricciardelli
Le primarie nel Pd: una questione di merito e di metodo

All’interno del Partito Democratico si apre un nuovo fronte su uno dei temi più trattati nel corso della campagna congressuale: il tema delle primarie e del suo utilizzo.

Su questa “issue” si è tenuto per mesi un lungo dibattito a tratti sofistico e a tratti ipocrita che comunque non ha portato a decisioni univoche e chiare da parte della dirigenza nazionale del Pd. Questo perché le primarie sono state sì osteggiate, ma implicitamente, organizzandole in Puglia all’ultimo minuto dopo i falliti tentativi di osteggiare la ri-candidatura di Vendola (conseguenza: lo stesso Vendola ora è citato come probabile candidato premier alle politiche in quanto elevato al rango di “eroe” involontariamente dallo stesso gruppo del Pd che intendeva osteggiarlo) e organizzandole in Umbria e Calabria con esiti organizzativi ed elettorali molto diversi.

Insomma, non si era arrivati ad una elaborazione, positiva o negativa, sulle primarie e sul loro uso (nonostante lo statuto su questo tema sia molto chiaro).

Fatto sta che il tema dell’uso delle primarie all’interno del Pd è riemerso recentemente con una tempistica forse non proprio positiva. Il deputato e politologo Salvatore Vassallo ha infatti denunciato, nel corso del secondo incontro nazionale di Area Democratica a Cortona, il tentativo da parte del gruppo dirigente del Pd di eliminare di fatto la possibilità di fare le organizzare le primarie.

Vassallo denuncia il tema ponendo l’accento su un aspetto legato al metodo e uno al merito della questione.

Riguardo al metodo Vassallo precisa infatti che esiste una commissione statuto del Pd, di cui lui fa parte, che ha il compito, in quanto sancito dall’assemblea nazionale, di correggere o modificare lo statuto nazionale. Ma esiste anche una gruppo di membri della stessa commissione, di cui Vassallo non fa parte, che è stata nominata per lavorare su probabili modifiche o correzioni dello statuto.

Questo gruppo ha svolto un lavoro che deve essere relazionato sia alla commissione statuto sia all’assemblea nazionale che è stata già convocata il 21 di maggio.

Fin qui l’organizzazione appare chiara, limpida e accettabile: un organismo nomina un sotto-organismo incaricato di trovare una modalità di sintesi da sottoporre poi alla commissione statuto.

Dunque qual è il problema?

Secondo Vassallo il problema è un problema di metodo in quanto lo stesso Vassallo in un colloquio con il presidente della commissione statuto e coordinatore del partito Migliavacca aveva ottenuto rassicurazioni sul fatto che non si sarebbe modificato lo statuto in merito all’obbligo di fare le primarie di partito per la scelta dei candidati a sindaco, presidente di provincia e di regione. Praticamente infatti le correzioni apportare dal sotto-gruppo, denominato “Comitato di redazione” specificavano solo che si doveva procedere con primarie di partito solo se appariva impossibile organizzare primarie di coalizione tra tutti i partiti del centrosinistra.

Ma Vassallo una volta ricevuto il testo del Comitato di redazione scopre che le modifiche sono meno marginali di ciò che si era paventato e addirittura scopre che alcuni membri del sotto-gruppo non ne erano a conoscenza.

Per quanto riguarda invece il metodo della questione Vassallo sottolinea che queste modifiche non marginali consistono nella cancellazione dell’affermazione presente nello statuto che “in ogni caso” i candidati a sindaco, presidente di provincia e di regione vanno scelti con primarie e nel fatto che il candidato del Pd delle primarie di coalizione può essere solo uno e scelto dall’assemblea territoriale competente mentre nel caso si voglia candidare una personalità “dal basso” bisogna raccogliere le sottoscrizioni di almeno il 35% dei membri dell’assemblea.

Tra l’altro in caso non si possano fare primarie di coalizione si potrebbero organizzare quelle di partito. Si, ma col consenso dei tre quinti dell’assemblea.

Le notizie di queste ore sono non ancora precisissime e sulla questione del metodo si può soprassedere in quanto vicenda grave ma pur sempre legata a singoli incontri e dialoghi avuti tra i protagonisti della vicenda.

Un aspetto però da segnalare nella vicenda è quel rischio che molti commentatori e iscritti del Pd avevano evidenziato durante il dibattito nelle primarie: la presenza di alcune legittime contraddizioni all’interno dello schieramento che sosteneva l’attuale segretario Pierluigi Bersani. Contraddizioni che inspiegabilmente sono state solo parzialmente risolte (un esempio è quello legato al ruolo di Bassolino, messo momentaneamente ai margini della vicenda politica campana dopo qualche mese dall’affermazione di Bersani). Il tema delle primarie era uno di queste “contraddizioni” che tendeva a divenire un vero e proprio tabù.

Nonostante Bersani si sia sempre schierato, almeno nei dibattiti pubblici, a favore delle primarie per l’elezione dei candidati agli incarichi monocratici (inserendo tra questi anche la figura del candidato premier, dimenticando che il candidato premier non si candida ad un incarico monocratico) emergeva un certo malessere verso quell’istituto ben rappresentato dalla vicenda politica pugliese che manifestò in tutta la sua potenza non solo che la società è spesso più avanti dei propri politici ma anche che le alchimie percentuali e politiche poco possono contro un istituto come quello delle primarie.

A quanto pare quella lezione pare non essere bastata. E soprattutto nonostante quella lezione si tende a non far chiarezza sul tema. Cosa a tratti ancor più grave di una legittima contrarietà alle primarie.

Pare di ricordare quel consigliere di Ronald Reagan che ricordava come nella lunga e fredda contrapposizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica i sovietici partissero sempre in vantaggio poiché non gravati dal rischio di cambi di amministrazioni, dovuti alle elezioni, e dal conseguente mutamento della linea politica che ogni quattro anni rischiava di verificarsi in America.

Ma ci sarà stato un motivo se la Guerra Fredda non è stata vinta dai sovietici.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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