Niente “scorciatoie” sul diritto all’oblio

Pubblicato il 21 Luglio 2014 alle 15:56 Autore: Guido Scorza

E’ di queste ore – e rischia di passare in sordina – la notizia che il Gruppo c.d. art. 29 dei Garanti europei per la privacy, ha convocato a Bruxelles, per il prossimo 24 luglio, i rappresentanti di Google, Bing e Yahoo per discutere dell’applicazione dell’ormai celebre sentenza con la quale lo scorso 13 maggio la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che chiunque può chiedere al gestore di un motore di ricerca la disindicizzazione di contenuti relativi a propri dati personali anche a prescindere dalla legittima pubblicazione dei contenuti medesimi da parte di giornali, blog ed ogni genere di sito online.

A quanto si apprende, infatti, sarebbe intenzione del Gruppo delle Autorità Garanti Privacy europee dettare, nei prossimi mesi, le linee guida per un’applicazione uniforme, da parte dei diversi motori di ricerca, della decisione dei Giudici di Lussemburgo.

E’ una notizia che non può essere lasciata scivolare nel silenzio.

L’obiettivo perseguito dai Garanti europei è, infatti, nobile e lodevole giacché le linee guida mirano a scongiurare il rischio di un’applicazione disomogenea del c.d. diritto all’oblio nei diversi Paesi dell’Unione o da parte dei diversi motori di ricerca.

Guai, tuttavia, a dimenticare che affrontare il tema del diritto alla c.d. disindicizzazione di un contenuto che lo riguarda a Google, Bing, Yahoo o agli altri grandi motori di ricerca significa discutere del complicato rapporto tra il diritto alla privacy del singolo ed il diritto della collettività a sapere, informarsi e conoscere il presente e la storia della nostra società.

Si tratta di una scelta democraticamente fondamentale e di una questione dalla quale dipendono, in larga misura, le dinamiche  dell’informazione nell’Europa di oggi e di domani.

Ed è per questo che non si può cadere nella trappola di considerare il problema come di natura “tecnica” e pensare di risolverlo attraverso l’adozione di linee guida che indichino a Google ed altri big della ricerca online forme e modalità per procedere – o non procedere – alla disindicizzazione.

La questione merita di essere affrontata nelle aule del Parlamento Europeo – dove, peraltro, se ne sta già parlando da anni nell’ambito dei lavori preparatori del nuovo regolamento in materia di privacy – e di essere discussa nel più ampio contesto possibile in una dimensione multistakeholder e che preveda l’indispensabile coinvolgimento dei cittadini dell’Unione.

Ogni “scorciatoia” – anche se dettata da encomiabili preoccupazioni – rischia di accelerare scelte che, invece, richiedono riflessione, ponderazione e soprattutto condivisione.

Non è indifferente, per l’Europa che ci aspetta e per l’esercizio dei diritti di cittadinanza digitale nell’Europa che verrà che l’asticella del c.d. diritto alla disindicizzazione – monstrum giuridico, risultato di un’applicazione delle regole europee sulla quale tanto ci sarebbe da dire e discutere – venga posta più vicino al singolo o più vicino alla collettività: il primo potrebbe ritrovarsi padrone, pro quota, della nostra storia e la seconda riscoprirsi presto espropriata di una fetta importante del proprio sapere e, negli anni, della propria storia.

E’ sbagliato – e non sarebbe dovuto accadere – consegnare ai grandi motori di ricerca il compito di scegliere,  in applicazione di regole e principi labili ed evanescenti quando far prevalere il diritto del singolo e quando quello della collettività ma è egualmente un errore pensare ora di sostituirsi al Parlamento europei ed a Parlamenti e Governi nazionali assumendosi la responsabilità di una scelta di natura eminentemente politica perché – dovrebbe essere evidente a tutti – le regole vigenti non sono in grado di governare in modo puntuale ed univoco un fenomeno sostanzialmente nuovo.

La strada indicata da Google, di una grande consultazione pubblica europea è, probabilmente, quella giusta e potrebbe essere migliorata se solo le Istituzioni dell’Unione, preso atto dell’esistenza del problema, la “adottassero”, facendola propria, in vista dell’assunzione di una decisione politica che stabilisca il nuovo confine tra il diritto alla privacy del singolo ed il diritto a sapere di tutti.