Come vincere una guerra

Ecco una iniziativa che è sicuramente più efficace di un intervento militare come quelli che in questi anni si sono moltiplicati in Africa (Mali, Costa D’Avorio, adesso la Repubblica Centrafricana). E’ nato in Mauritania, nella capitale Nouakchott, il cosiddetto “G5 del Sahel”. Si tratta di un organismo sovranazionale costituito da Mauritania, Burkina Faso, Niger, Mali e Ciad che ha come obiettivo quello di incrementare la cooperazione regionale in campo economico e politico. In particolare l’organismo dovrà affrontare le conseguenze degli ultimi avvenimenti accaduti nella regione.

Il Sahel, infatti, secondo quanto si legge nell’atto costitutivo, è stato fortemente destabilizzato dalla caduta del regime di Gheddafi in Libia nel 2011, ed è diventato un territorio nel quale si celano mercenari, contrabbandieri e combattenti di gruppi jihadisti. Allo stesso tempo il Sahel é una sorta di zona franca, in cui transitano armi e droga. L’idea di base sulla quale è nato il “G5 del Sahel” è quella di dare il via ad una serie di progetti in zone lasciate altrimenti all’abbandono e quindi soggette a divenire aree propizie allo sviluppo del terrorismo. I paesi membri dovranno preparare una mappatura dettagliata delle problematiche, dei bisogni e dei progetti da realizzare essenzialmente nel settore delle infrastrutture, dalle strade alla fornitura di energia elettrica. Il segretariato permanente del “G5” sarà stabilito nella capitale mauritana.

Le premesse e gli obiettivi sono buoni, soprattutto l’approccio è quello giusto. Se non ci fosse stato il problema tuareg nel nord del Mali, la sofferenza di quella popolazione non si sarebbe trasformata in un contesto che ha favorito l’arrivo e l’insediamento dei gruppi jihadisti. E questi, se quella remota e poco abitata regione fosse stata in qualche modo sviluppata, quindi con scuole, presidi sanitari e lavoro, non avrebbero trovato il modo di avere risorse dal contrabbando di sigarette, dal traffico di uomini, di armi e di droga. Sul piano militare fermare tutto questo significa impegnare risorse immense, sacrificare vite umane e ottenere un risultato solo parziale.

Lo sviluppo, la cooperazione regionale, la creazione di lavoro e di opportunità economiche invece privano queste attività, e i trafficanti che le praticano, di quell’humus sociale nel quale possono crescere e diventare totalizzanti. In sostanza fanno venire meno il sostegno della popolazione.
Se iniziative come questa funzioneranno (e il “se”, ovviamente è d’obbligo) consentiranno, per esempio, nel medio lungo periodo il ritiro delle truppe francesi e africane dal Mali in sicurezza. In caso contrario queste dovranno vincere una guerra che non è proprio detto che vincano in modo totale.

Raffaele Masto