Più preferenze per tutti

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Più preferenze per tutti

 

Nell’irrequieto dibattito sulle possibili modifiche elettorali un punto di unione, tra la quasi totalità delle forze politiche, appare la reintroduzione del voto di preferenza per le elezioni del Parlamento.
Al di là della demagogia, che inevitabilmente impregna molti interventi dei politici, esiste anche in dottrina una distanza interpretativa del fenomeno preferenziale molto netta.

I detrattori del voto di preferenza pongono l’accento sulla connessione tra preferenza e clientela mentre i sostenitori dell’istituto preferenziale sottolineano l’importanza vitale di un collegamento più stretto tra eletto ed elettori.
In effetti gli argomenti portati a sostegno delle due tesi hanno una loro dignità.
E’ innegabile che, specialmente nel Mezzogiorno, la relazione preferenza-clientela-mafia è apparsa evidente in più occasioni tanto da essere oggetto di diversi studi . D’altro canto e pur vero che la crisi della rappresentanza e del rapporto tra partiti e cittadini interroga tutti sulla maggiore necessità di raccordo tra eletti ed elettori; le stesse primarie rappresentano il frutto acerbo di tale dibattito.

Tuttavia la questione è molto più complessa e le differenze territoriali, di cultura politica tra i partiti, e storiche sono variabili da considerare.
Reintroducendo il voto di preferenza, di fatto, si opera un cambiamento sostanziale che però agisce con intensità diversa da regione a regione se non da provincia a provincia.

Sappiamo, ad esempio, che già nelle elezioni successive al 1948 era possibile riscontrare una frattura netta tra le provincie del Sud e quelle del Centro-Nord rispetto all’utilizzo del voto di preferenza.
Basta ricordare che fino agli anni ’70 le 10 provincie con il tasso di preferenza più alto risultavano essere tutte del Sud (in particolare Palermo, Napoli e Catanzaro).
Anche le elezioni regionali dimostrano una sostanziale differenza tra un Sud con alti tassi di preferenza regionali e un Centro-Nord che in pochissimi casi supera il 40% delle preferenze espresse e in molti casi non super il 35% (Emilia-Romagna e Lombardia sono un esempio lampante).

Tabella: Tasso di preferenza 1995/2010

n.b: la Toscana dal 2000 non utilizza le preferenze e dal 2005 la Campania usa un sistema a doppia preferenza.

Inoltre osservando con attenzione il trend notiamo che nel Nord, dopo il 2005, vi è stato una sostanziale perdita di interesse verso il voto di preferenza da parte degli elettori settentrionali.
In merito alle regioni meridionali,per avere un’idea della complessità del fenomeno, occorre aggiungere che è sbagliato parlare di Sud in maniera generica considerato che il grado preferenzialità espressa appare molto diversa tra Puglia e Calabria piuttosto che tra Campania e Basilicata.

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E’ dunque facile ipotizzare che un ritorno alle preferenze rappresenterebbe un cambiamento sostanziale soltanto nel Mezzogiorno e soltanto per qui partiti che proprio nel Sud possono contare su un grosso bacino elettorale, Udc e Pdl in testa.
Un effetto che riscontreremmo con certezza sarebbe l’aumento della conflittualità interna ai partiti determinata dalla lotta per le preferenze. Questo potrebbe minare la coesione intrapartitica innescando una “guerra tra bande” che indebolirebbe il sistema bipolare a tutti i livelli di governo attraverso la formazione di micro-partiti in eterno conflitto.

Rispetto al legame tra clientela, malaffare e voto di preferenza esiste un equivoco di fondo. Il voto di preferenza infatti non è direttamente causa di comportamenti clientelari-mafiosi. E’ senz’altro vero che tra i fenomeni esiste un nesso ma è altrettanto vero che la costruzione delle reti clientelari-mafiosi riguarda le dinamiche socio-economiche di un territorio. In sostanza, Il voto di preferenza, dà solo forma politica ad una realtà estremamente complessa, di certo non la determina. I “campioni delle preferenze” che, nelle regioni meridionali, in molti casi risultano contigui alla malavita, se pur privi dello “strumento” preferenziale hanno saputo mettere in campo soluzioni diverse intervenendo al momento della formazione delle liste per ottenere posti vantaggiosi in cambio dei propri “voti personali” da portare in dote al partito.

Non è quindi agendo sul voto di preferenza che si evitano fenomeni clientelari-mafiosi: sarebbe troppo semplice.
Cosentino ad esempio, è stato eletto sia nel 2006 che nel 2008 con il Porcellum (ossia senza preferenze) tuttavia i reati contestate dai giudici di Napoli sono gli stessi che i giudici di Reggio Calabria hanno addebitato a Santi Zappalà eletto con oltre 11.000 preferenze nel Consiglio Regionale calabrese nel 2010 ovvero voto di scambio e favoreggiamento esterno in associazione a mafiosa (in primo grado sarà condannato soltanto per voto di scambio). Due arene elettorali diverse, due diversi sistemi elettorali, due situazioni pressoché identiche.

E’ solo all’interno dei partiti che si possono mettere in campo misure contro il fenomeno clientelare attraverso processi democratici interni trasparenti e una selezione dei candidati che escluda determinati soggetti, anche a costo di perdere consenso per qualche tornata elettorale.
Purtroppo l’avvicinarsi delle elezioni spinge tutti a considerazioni di breve periodo e non lascia spazio a riflessioni più attente. Di conseguenza mentre l’Udc ritiene indispensabile il voto di preferenza per tornare forte in Sicilia, Pd e Pdl aspettano dubbiosi, stretti tra la possibilità di sfruttare la lista bloccata per regolare i conti interni e l’opportunità di evitare le primarie lanciando i candidati in una competizione tutti contro tutti utile a massimizzare i voti del partito, con buona pace della coesione interna. A quella, semmai, si penserà ad elezioni concluse.