Mafia, archiviata inchiesta su Renato Schifani

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 Può tirare un sospiro di sollievo l’esponente del Nuovo Centrodestra ed ex Presidente del Senato, Renato Schifani. Finito infatti sotto accusa, con l’ipotesi di concorso in associazione mafiosa, per due volte nel giro di 15 anni, è stato oggi prosciolto dal Gip di Palermo che ha archiviato l’inchiesta contro di lui. Il giudice Vittorio Anania, accogliendo la richiesta dei pm Paolo Guido e Nino Di Matteo, ha chiuso il caso.

“Sono ed ero sereno, le accuse contro di me non reggevano, avevo e ho sempre avuto fiducia nella giustizia”: queste le parole a caldo di Schifani rilasciate oggi al Giornale di Sicilia. “Ho pagato un grande prezzo in silenzio, ricompensato tuttavia dal trionfo della verità emerso attraverso il lavoro della magistratura nei cui confronti continuo a riporre massima fiducia. Ho sofferto in silenzio, ma confortato dalla fiducia e stima di tutti coloro i quali conoscono la mia storia, una indagine nei miei confronti che metteva in discussione quelli che erano stati i principi fondamentali della mia deontologia professionale, quali la trasparenza, l’onestà e la fiducia nella giustizia”.


Parole di solidarietà arrivano anche dal leader Ncd, Angelino Alfano: “La grande fiducia che il presidente Schifani ha riposto nella Giustizia è stata ripagata. La realtà ha avuto il sopravvento sulle accuse, la correttezza del suo comportamento e la serenità e con cui ha atteso la chiusura dell’inchiesta. Noi siamo sempre stati con lui, nell’assoluta certezza della sua linearità morale, professionale e politica”.

SCHIFANI, LE MOTIVAZIONI DEL GIP

Secondo il gip “sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente, nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di legale, civilista, e di esperto in diritto amministrativo”. Ma si tratta di relazioni che riguardano l’esercizio della professione forense e che non valgono “per sostenere un’accusa in giudizio, tanto più che, a prescindere dalla consapevolezza dell’indagato sull’effettiva caratura mafiosa dei suoi interlocutori, tali condotte si collocano perlopiù in un periodo ormai lontano nel tempo (primi degli anni ’90). Fatti per i quali opererebbe in ogni caso la prescrizione, in assenza di successive e più aggiornate emergenze, che possano valere ad attualizzare il significato di azioni e comportamenti astrattamente riconducibili al reato”.