NBA: il punto sulle 30 franchigie

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Siamo agli inizi della stagione NBA, e nessuna squadra ha ancora giocato un decimo delle partite in programma da qui alla primavera. Ogni giudizio espresso in questo momento può essere considerato valido quanto le teorie sui rettiliani, perché basta veramente poco per cambiare l’andamento della stagione di una squadra. Un infortunio, una trade, qualche sconfitta in serie o qualche colpo di genio fuori dal campo di qualcuno dei nostri interpreti preferiti. Non sarebbe la prima volta, né l’ultima. Però due cose si possono raccontare, e proviamo a farle cercando magari di non prendersi troppo sul serio che fa male alla salute. O così mi hanno detto. Partiamo da est, in rigoroso ordine di classifica attuale, con tra parentesi il record di vittorie e sconfitte.

 

EASTERN CONFERENCE

 

Toronto (5-1). Hanno rispolverato le vecchie maglie violacee con il dinosauro, e solo per questo meriterebbero la gloria e l’onore. In più la squadra è ripartita sulle ali dell’entusiasmo per i play off dello scorso anno cavalcando i suoi giocatori migliori: DeRozan e Lowry. Coltivano giuste ambizioni di fare strada nella post season.

 

Chicago (5-1). Tutte le strade portano a Rose, ok. Mille e uno i “se” attorno al giocatore, che ha già saltato tre partite per una storta alla caviglia, ma il vero e più atroce dubbio resta come faccia Dunleavy a giocare 30 minuti nel sistema difensivo più esigente della lega. La butto lì: con DR in campo i Bulls sono da titolo, o almeno da finale NBA.

Washington (4-2). Wall continua a raccontare di essere la miglior point guard attualmente in circolazione. Il problema è che lo sta anche dimostrando sempre più spesso e c’è chi inizia a credergli sul serio. Squadra solidissima sotto canestro e con talento vero sul perimetro. Guai a sottovalutarli.

 

Miami (3-2). Bosh da primo violino sembra stia funzionando a dovere, almeno per i numeri e le statistiche (24.2 pt, 11rb, 2.8 ast). Altra squadra compatta e solida, con una missione chiara e motivazioni da vendere. Per Spoelstra è l’anno della verità per dimostrare di essere un coach di altissimo livello e non solo uno capitato al posto giusto nel momento giusto.

 

Brooklyn (3-2). Squadra con play, centro, guardia e coach di altissimo livello. Contorno importante con giocatori funzionali e di qualità. Joe Johnson è uno dei bipedi più decisivi nei minuti finali di partita. Aleggia però su di loro la sensazione che il tempo giusto sia passato, o forse che non sia mai veramente arrivato. Il solo fatto che abbiano Teletovic resta un buon motivo per continuare a seguirli. In Mirza we trust.

 

Charlotte (3-3). Sono tornati a chiamarsi Hornets, e soprattutto a vestire le maglie azzurre che sono tra le più belle della NBA. Giocano di nuovo sul parquet a nido d’ape. Li amiamo già per tutti questi motivi. Stephenson per me rimane un giocatore buono per far numeri e scena, ma con talento fine a se stesso e non adatto a portare una squadra al titolo. Però intanto stanotte ha messo la tripla della vittoria nel secondo overtime. Di tabella. Volete davvero continuare a leggere quello che scrivo qui?

 

Boston (2-3). Col “Celtic Pride” di mezzo non si può parlare di “tank” (perdere apposta per avere scelte più alte al draft NdR), ma la realtà è che fino a febbraio il vero problema sarà se cedere o no la propria superstar e rifondare definitivamente sui giovani. Già i biancoverdi hanno fatto incetta di scelte con le cessioni degli ultimi anni, io un minimo di appeal per i free agent del 2015 e 2016 la manterrei, e senza Rondo sarebbe dura convincere un Durant di turno a vestire i propri colori. Per la cronaca stanotte si è anche scavigliato di brutto Smart, la sesta scelta assoluta. Non benissimo.

Detroit (2-3). Continuo a vederla come una squadra impostata malissimo, con giocatori che si pestano i piedi giocando negli stessi ruoli. Qualche trade ben fatta sarebbe la soluzione ideale, ma a questa voce negli ultimi anni non siamo andati granché bene a Motor City. È poi quello che si meritano a lasciare Datome a marcire in panchina. FREE GIGI!!

 

Cleveland (2-3). Il cartello “lavori in corso” resterà ben affisso fuori dalla Quicken Loans Arena almeno fino all’all star game di febbraio. Da lì in avanti i Cavs dovranno iniziare a fare sul serio, perché l’obbligo di vincere non glielo scrollerà di dosso nessuno. Non sarà facile. A Salt Lake City si sono beccati anche il buzzer di Hayward sulla sirena, ma hanno ancora tempo per sbagliare qualcosa e crescere. Per ora.

 

New York (2-4). Indecifrabili Knicks. Partono con un ko, ne vincono due in fila e pensi che forse ci siamo. Poi arrivano tre ko consecutivi e allora non pensi più a nulla, che fai prima. Il triangolo offensivo è sicuramente duro da digerire e richiede tempo. La squadra non mi sembra abbia abbastanza talento per ambire a traguardi importanti. Anthony nelle ultime due ha tirato 10 su 41 dal campo. Passarla di più non sarebbe una brutta idea. Già, ma a chi? E il mago Bargnani? Ha tenuto almeno fede al suo soprannome. È sparito e speriamo solo possa tornare presto.

 

Milwaukee (2-4). Non ci crederete, ma per me hanno quasi un senso. Non solo per la scelta di Parker che sta pian piano iniziando a far vedere lampi di classe e talento, ma anche per un altro paio di giocatori davvero interessanti. Su tutti il greco Antetokounmpo che da vedere giocare è uno spettacolo. Meno da pronunciare o da scrivere.

 

Orlando (2-4). Vale il discorso fatto sopra. Hanno un senso, sono pieni di giocatori da far crescere e ci sono buone prospettive per il futuro. Sotto canestro Vucevic si dimostra un ottimo centro con grandi numeri (17,2 punti e 12,3 rimbalzi. Secondo assoluto dietro Anthony Davis). Prima o poi però bisognerà iniziare a vincere per davvero. E lì arriverà il difficile.

 

Atlanta (1-3). Sugli Hawks aleggia una delle più brutte maledizioni della NBA. Troppo forti per perdere e poter scegliere future superstar al draft, e non abbastanza forti per poter andare oltre il primo o secondo turno di play off e ambire al titolo. Peccato, perché Horford e compagni una chance la meriterebbero anche, ma ci vorrebbe il coraggio di smantellare tutto senza nessuna garanzia per il futuro. Da una dirigenza attualmente senza proprietario di riferimento scelta impossibile e impraticabile.

 

Indiana (1-5). Bruttissimo momento per i Pacers, che senza George si dimostrano ancora peggio di quel che si pensasse. Nei 5 ko consecutivi subiti, alcune sconfitte in volata ci possono stare se non hai il tuo go-to-guy, ma che a prendersi il tiro della vittoria sia Hibbert, da tre mentre sei sotto di due lascia quantomeno perplessi. Vietato abituarsi alle sconfitte, pena mandare in vacca la stagione e confidare in una buona scelta il prossimo anno. Che non sarebbe poi nemmeno così male in effetti, come alternativa.

 

Philadelphia (0-6). Tra scambi per scelte future e tagli vari, i Sixers hanno il monte salari troppo basso e dovranno acquisire qualche contratto pesante entro febbraio se non vogliono incappare in sanzioni economiche come da regolamento. Sembra una gag ma è tristemente vero. L’obiettivo è perdere senza pietà. La speranza pescare giovani che possano diventare futuri all star. Solidarietà comunque a tutti i tifosi della squadra, che probabilmente oggi non vincerebbe nemmeno il torneo NCAA.

 

 

WESTERN CONFERENCE

 

Houston (6-0). Partenza a razzo dei “razzi”, e con questa ci siamo giocati la peggior freddura tra quelle disponibili. I Rockets comunque hanno iniziato davvero bene, con un Howard in forma fisica eccellente e Harden a segnare con continuità. La partenza di Parsons è stata colmata con l’ottimo innesto di Ariza. Dalla panchina il buon jet Terry porta punti veloci. Possono ambire anche a 65 vittorie, ma appaiono più squadra da regular season che da play off. Vedremo.

 

Golden State (4-0). La miglior coppia play – guardia della lega, Curry – Thompson, trascina un gruppo che ha grande entusiasmo e anche un pubblico molto caldo. I risultati a lungo termine e la caccia al bersaglio grosso passeranno però principalmente dalla solidità e dalla salute del reparto lunghi, che in post season fa spesso la differenza. Lee e soprattutto Bogut non sono esattamente una sicurezza da quel punto di vista. Divertenti da veder giocare, in ogni caso.

 

Memphis (6-0). Mi commuovo a veder giocare i Grizzlies, lo confesso. Soprattutto la coppia di lunghi Gasol Randolph che per distacco è la più tecnica di tutta la lega, e forse anche la più forte. La squadra è estremamente solida e, al contrario di quanto detto su Houston, sembra più adatta ai play off che alla regular season. Conley è uno dei play più sottovalutati in assoluto. Chissà se l’innesto del vecchio Vince Carter dalla panchina porterà qualche sorpresa dalle parti di Memphis. Io ci spero.

 

Portland (3-2). Quintetto solido, panchina da rivedere decisamente, partenza tra alti e bassi. Non scommetterei mai contro il talento di Aldridge e Lillard, ma alla lunga servirà qualcosa in più, anche solo per agganciare i play off, visto che ad ovest la concorrenza è spietata.

 

Sacramento (5-1). Un uomo solo al comando: De Marcus Cousins. Il centro dei Kings è tornato dall’esperienza mondiale insieme al suo compagno Rudy Gay con una maturità e una concentrazione decisamente diverse, e i risultati si vedono tutti. La vera domanda è quanto potrà durare, soprattutto quando arriverà qualche sconfitta. Al momento però vanno ammirati e non giudicati. Potrebbe essere un momento irripetibile..

 

Dallas (4-2). Solidi, profondi, ben allenati e con una superstar per cui chi vi scrive ha una sorta di devozione pagana. Buttando lì l’ennesima castroneria gratuita: la più credibile alternativa agli Spurs per il titolo della western. L’ho detto. A maggio potrete anche buttare via la chiave della cella coi muri morbidi in cui mi rinchiuderanno, non me ne pentirò.

 

L.A. Clippers (3-2). A Los Angeles si parla di squadra di vertice e di possibilità di titolo. Non una gran notizia, se il soggetto non fossero i cugini sfigati dei Lakers, che da qualche anno a questa parte si sono insediati stabilmente ai piani alti della lega. Superato il ciclone Sterling dello scorso anno, in tanti li pronosticano tra la finale di conference e quella NBA. Io credo non siano abbastanza profondi, e che Rivers in panchina mascheri diversi dei difetti della squadra. Lietissimo di essere smentito, nel caso.

 

Phoenix (3-3). Mille e una guardia a roster, coppie di fratelli come se piovesse per confondere gli avversari. Questi sono i Suns attuali. L’aggiunta di Isaiah Thomas al momento pare funzionare alla grande (16 di media nelle prime uscite). Belli anche da veder giocare, oltre che efficaci. Proveranno ad entrare nelle prime otto anche quest’anno dopo aver perso la volata all’ultimo nella passata stagione.

 

San Antonio (2-2). La sorpresa di trovarli attualmente fuori dalle prime otto si giustifica pensando che Ginobili e Duncan sostanzialmente non giocano la seconda partita nei back to back (due gare in due giorni), che qualche infortunio ha condizionato l’inizio di stagione e che questi, prima o poi, infileranno una serie di vittorie che li porterà ai primi posti. Il sistema d’altra parte è più che rodato e gli interpreti sempre gli stessi. La fame di vittorie appagata dopo la vendetta dell’anno scorso è la sola vera incognita, ma con Diaw in squadra anche quello sembra un problema da niente.

New Orleans (2-2). Tutti gli occhi sono puntati su Anthony Davis, per molti il giocatore dominante del futuro prossimo NBA. Lui ci mette poi anche del suo, con numeri e giocate di onnipotenza cestistica. Se gli costruiranno intorno un sistema adatto e con i giocatori di supporto giusti, potremmo sfociare nell’illegalità. Tyreke Evans al momento non mi sembra esattamente uno di questi, per dire. A Est sarebbero nelle prime tre. A ovest forse non faranno i play off. Forse.

 

Minnesota (2-3). Il post Love è già diventato la Wiggins era. Il giovanotto sta poco alla volta uscendo allo scoperto. C’è il sospetto che a febbraio nell’Ohio qualcuno già si inizierà a mordere le mani. I T-Wolves non hanno particolari ambizioni al momento, ma potrebbero fare una stagione migliore di quanto pensano in molti. Peccato per l’infortunio della notte occorso a Rubio. Quella potrebbe essere una tegola decisamente brutta per loro.

 

Utah (2-4). Si sono messi nelle mani di Hayward con l’estensione di contratto fattagli firmare in estate. Viste le cifre in ballo, probabilmente non la scelta migliore, ma è anche vero che le montagne dello Utah non hanno tutto sto appeal per attirare futuri free agent di altissimo livello, e così i Jazz hanno optato per tenersi chi avevano già in casa. Un paio di rookie di livello e Favors sotto canestro gli regaleranno qualche soddisfazione ogni tanto, ma non aspettiamoci grandi cose nemmeno per questa stagione.

 

Denver (1-4). La buona notizia è il ritorno del Gallo, che ha perso il posto in quintetto ma sta recuperando un po’ alla volta condizione e fiducia. Il resto però sono tanti punti interrogativi su una squadra che è molto profonda e ricca di alternative, ma che coach Brian Shaw non ha ancora dimostrato di aver capito fino in fondo come far giocare. Non il massimo, ad essere sinceri.

 

Oklahoma City (1-5). Qui si corre seriamente il rischio di infortunarsi ad un polso anche solo scrivendo di loro. Non fosse bastato il k.o. in pre stagione di Durant, si è rotto un dito anche Westbrook, e a turno praticamente tutti gli altri. Hanno finito una partita in appena sei giocatori abili. Chiaro che questo influenzerà molto il loro record. Quando i due amiconi rientreranno ci sarà aria di remuntada. In tutto questo, a guadagnarci è coach Brooks, che resterà saldo in panchina grazie a queste attenuanti. Indovinerete facilmente quale sia per me l’anello debole di OKC dopo questa affermazione.

 

L.A. Lakers (0-5). Se i Clippers sono da titolo e i Lakers da lotteria, allora il mondo gira davvero al contrario da quelle parti. Kobe attualmente assomiglia molto al classico predicatore nel deserto. Randle, la loro prima scelta, si è fratturato la tibia dopo pochi minuti in campo. Per la serie, quando piove, ogni tanto grandina. Eppure a detta di tutti avrebbero dovuto essere più competitivi dello scorso anno. Che sia l’assenza per infortunio di Nick Young il vero problema?

L’ho scritto davvero. Scusatemi. Posso davvero chiudere qui.