L’Africa in crescita passa da Nigeria e Sudafrica

Due paesi dei quali abbiamo ampiamente parlato in questi giorni gareggiano a colpi di PIL, di opportunità d’investimenti, ma anche di povertà, miseria e insicurezza. Sto parlando del Sudafrica e della Nigeria. La notizia è di questi giorni: la Nigeria, il paese più popoloso d’Africa e primo produttore di petrolio del continente, è diventato la prima economia dell’Africa perché, secondo una serie di calcoli statistici, il suo Prodotto Interno Lordo ha superato ha superato quello del Sudafrica che era, di fatto, la potenza continentale.

Il PIL nigeriano nel 2013 ha raggiunto i 510 miliardi di dollari, cifra con la quale ha superato, appunto, il Sudafrica e con la quale si piazza al 26esimo posto nel mondo. Un dato ingannevole quello del PIL perché comunque il Sudafrica resta ampiamente davanti alla Nigeria in termini di PIL pro-capite. La Nigeria è il paese, come abbiamo detto, più popoloso del continente, mentre il Sudafrica ha molti meno abitanti. Dividendo il PIL complessivo per abitante risulta infatti che in media i sudafricani sono molto più ricchi dei nigeriani.

Calcoli, cifre, divisioni, percentuali. Tutto vero ma affidarsi solo a questi dati si rischia di perdere di vista la realtà. Con le cifre (e con l’economia, che è fatta di cifre) si può dire tutto e il contrario di tutto. Di fatto Nigeria e Sudafrica sono tra i paesi più contradditori e lacerati di tutta l’Africa e, si potrebbe dire, del mondo.

Sono paesi nei quali la miseria e la disperazione sono visibili e l’insicurezza palpabile. Ci sarà un indice economico capace di misurare più realmente la ricchezza reale e il benessere delle popolazioni. Si, sappiamo che molti economisti hanno provato a disporre di indici di questo tipo. Uno di questi indici però resta quello di “andare a vedere”, concretamente Di conoscere e parlare con chi ci vive, riuscire a raccontare la realtà che, in quanto tale, è complessa e, spesso, non schematizzabile. Poi i dati servono, ma non possono essere assoluti come invece cercano di farci credere molti nostri economisti.

Raffaele Masto