Piano Casa, la Consulta dichiara illegittima anche la norma “salva effetti”

Una simpatica filastrocca siciliana narra la sventura di tale Chianozzu che, avendo portato la moglie a ballare, cadde e si ruppe la testa: “bell’affari ca fici Chianozzu!”
Nel mese di aprile dell’anno 2014, fui coinvolto nei lavori preparatori di una norma da inserire nel cosiddetto “piano casa” che il ministro Lupi (responsabile del dicastero delle infrastrutture nel governo Renzi, in carica dalla fine del precedente mese di febbraio) era intenzionato ad approvare. Si stava studiando la possibilità di introdurre una disposizione che ponesse rimedio al caos determinatosi a seguito della pronuncia di incostituzionalità del decreto legislativo 23/2011, sul federalismo fiscale, nella parte con la quale era stata approntata la nota disciplina sanzionatoria di contrasto alle locazioni in nero.
Il governo Berlusconi, secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, aveva varato tali disposizioni in assenza di delega del parlamento; da ciò, l’incostituzionalità.
Fui consultato, insieme ad altri soggetti, per rendere un parere in merito alle possibili strategie da adottare, de iure condendo.
Dopo una riunione tenutasi presso il Senato della Repubblica, mandai una email ad alcuni tra coloro che stavano collaborando alla formulazione della disposizione, chiarendo che (nonostante comprendessi l’urgenza di rimediare a una pessima figura dell’esecutivo -tra l’altro, nell’imminenza delle elezioni europee-) non sarebbe stato possibile, a mio avviso, introdurre una norma che facesse salvi gli effetti di quella dichiarata incostituzionale. Avanzai, inoltre, alcune proposte che ritenevo accoglibili.


Vanamente, attesi una risposta alle mie osservazioni e agli stimoli.
Tempo dopo, ricevetti una email con la quale mi venne dato avviso del fatto che il governo era pronto a varare una norma “salva effetti”.
Il testo definitivo, approvato anche dal parlamento, fu il seguente: “Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”.
Sulla base di tale intervento, coloro che stavano pagando un canone di locazione minimo (pari al triplo della rendita catastale, frazionato per dodici mensilità) essendosi avvalsi delle disposizioni incostituzionali, proseguirono a maturare potenziali differenze, a proprio debito, a dispetto della pronuncia della Consulta.
Ieri, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma “salva effetti”.
Coloro che hanno confidato, per due volte, nel governo e nel parlamento, si trovano ora costretti a restituire gli immobili, in quanto morosi o privi di titolo e, verosimilmente, a corrispondere in un’unica soluzione le differenze maturate nel corso degli anni.
Il “piano casa”, uno dei primi interventi del governo Renzi, era stato pensato per risolvere l’emergenza abitativa: bell’affari ca fici Chianozzu!