Regione Lazio, contributi elettorali irregolari: ora parola alla Procura

immagine della sede della regione lazio

Regione Lazio: non bastassero gli ultimi 34 rinvii a giudizio decretati dal gip di Roma nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale, sempre dalla magistratura arriva una nuova grana per il Consiglio Regionale. E in particolare per il governatore Luca Zingaretti e per il Partito Democratico, forza maggioritaria in Regione. Stavolta, infatti, ad occuparsi dell’assemblea regionale sono stati i magistrati contabili della Corte dei Conti del Lazio che per un anno e mezzo hanno spulciato tutti i “consuntivi delle spese e dei finanziamenti delle formazioni politiche presenti alla campagna elettorale del 24 e 25 febbraio 2015”.

Ricapitolando. Il 24 e 25 febbraio 2013 si tengono sia le elezioni politiche nazionali che le Regionali in Lombardia, Lazio e Molise. Il risultato finale è di 2 a 1 per il centrosinistra: Roberto Maroni (Lega Nord) vince in Lombardia mentre in Lazio e Molise vengono eletti governatori – rispettivamente – Nicola Zingaretti e Paolo Frattura, entrambi appoggiati dal Partito Democratico. In particolare, in Lazio, il Pd risulta essere il partito di gran lunga più votato con 834mila voti pari al 29% (13 seggi).

Il 19 agosto – dopo un lavoro certosino durato un anno e mezzo – i magistrati del collegio di controllo sulle spese elettorali della Corte dei Conti hanno pubblicato il report sui “consuntivi” relativi alle tre regioni in questione. Ed è proprio in Lazio che si registrano le maggiori criticità, in particolare nei confronti del Partito Democratico e della “Lista Civica Nicola Zingaretti”.

Documentazione lacunosa

In primis, scrivono i magistrati Brancato, D’Antico e Rigoni, mancano dei documenti nella rendicontazione dei finanziamenti. E questo vale sia per il Pd che per la “Lista Civica Nicola Zingaretti”.

Il partito di Matteo Renzi avrebbe ricevuto un finanziamento pari a 326.704 euro di cui: 22.530 da persone fisiche, 93.700 euro da persone giuridiche e 210.474 dal partito nazionale. Però, scrivono i magistrati, una parte dei documenti relativi a questi finanziamenti non è pervenuta alla Corte dei Conti. Ad oggi, dopo l’ultimo aggiornamento trasmesso dal legale del Partito ai magistrati risalente al 23 dicembre 2014, mancano ancora all’appello ben 12 società per un totale di 18.700 euro. In realtà, questi soldi sono stati già restituiti dallo stesso Partito Democratico ai rispettivi finanziatori ma i magistrati vogliono capirne di più e così hanno inoltrato tutti i documenti alla Procura della Repubblica di Roma per ulteriori accertamenti.

 

Situazione simile, ma ancora più grave, per la “Lista Civica Nicola Zingaretti”. In questo caso all’appello mancherebbero addirittura 19 società per un importo pari a 146.000 euro, pari alla metà del totale dei finanziamenti privati erogati alla Lista (274.000 euro in tutto). Di questi, 18.500 sono stati restituiti ai rispettivi finanziatori. Anche in questo caso, i magistrati hanno annunciato di aver trasmesso tutta la relativa documentazione alla Procura della Repubblica.

Errata rendicontazione

Oltre all’insufficiente trasparenza nella rendicontazione dei finanziamenti, il report della Corte dei Conti inoltre segnala come il Partito Democratico abbia potuto usufruire di un cofinanziamento “regolarmente erogato ma calcolato in misura maggiore rispetto a quello dovuto”.

In sintesi. Secondo la legge numero 96 del 2012, per ogni euro versato da un privato il partito ne riceve 0,50 dallo Stato. Ora, secondo la Corte dei Conti, i 127.810 euro di cofinanziamento erogati al Partito Democratico sarebbero il frutto di un calcolo troppo elevato perché stimato sul totale dei finanziamenti destinati al Partito, inclusi quelli successivamente restituiti (18.700 euro).

Rimborsi elettorali, un affare per tutti

Infine, sul piatto rimane l’annosa questione dei rimborsi elettorali. Per onor di cronaca, quest’ultima non ha nulla a che fare con possibili inchieste della Procura della Repubblica ma, dalla lettura del report, vengono fuori dati allarmanti.

Nella relazione della Corte dei Conti infatti sono anche riportati tutti i rimborsi statali di cui i partiti rappresentati in Consiglio potranno disporre fino al 2016. E, dopo una lettura attenta, si scopre che la sproporzione tra spese elettorali e finanziamenti pubblici è gigantesca.

Prendiamo ancora il Pd. Il partito di maggioranza in Consiglio avrebbe speso 282.211 euro in campagna elettorale, ma alla fine del 2016 gli saranno restituiti (tutti soldi pubblici) un milione e 221mila euro (1.221.742). Cioè il 333% in più rispetto a quanto speso in campagna elettorale.

Lo stesso vale, naturalmente, per tutti gli altri partiti. Il Popolo delle Libertà, per esempio, ha rendicontato spese per un totale di 157.329 euro ma a fine 2016 ne avrà incassati circa il quintuplo, pari a 842.754 euro. Oppure il Centro Democratico di Tabacci (un solo seggio in Consiglio) che in campagna elettorale ha speso 4.941 euro per un ritorno statale di ben 65.518 (+1226%).

Da segnalare il Movimento 5 Stelle che – pur essendo stabilmente il terzo partito in Consiglio con 7 seggi (16%, pari a 467mila voti) – ha rinunciato ai rimborsi pubblici.

Giacomo Salvini