Il debito italiano e la ricchezza europea

Nell’estate del 2011 l’Europa mediterranea sembrava sull’orlo del collasso. La speculazione internazionale stava facendo schizzare alle stelle i tassi di interesse sul debito in Spagna, Italia, Portogallo e Grecia.

Lo spetto della crisi, del default, del fallimento incombeva sull’intera Europa. Da quel momento inizia l’era dell’austerity. Le direttive europee vengono attuate da governi nazionali “di emergenza”. Forze politiche da sempre contrapposte vanno a braccetto al governo e approvano misure che tagliano la spesa sociale, il welfare, i servizi pubblici.

Quando invece le intese non si sono allargate, governi di destra e di sinistra hanno adottato ricette economiche e sociali praticamente identiche. La buona vecchia dialettica destra-sinistra si è fatta da parte nel nome del rigoroso rispetto delle ricette europee. Chi contestava veniva tacciato di “populismo antieuropeista”. Forze antagoniste (soprattutto) di estrema destra (come Alba Dorata in Grecia) e movimenti anti-sistemici del tutto nuovi (come il M5S in Italia) hanno visto crescere i propri consensi, ma in nessun caso sono riusciti ad intaccare le decisioni dei governi in carica, obbedienti alle disposizioni della troika europea.

Il debito, d’altronde, non permette alternative. Sarebbe da “irresponsabili” mettere in discussione le linee guida europee e rimandare ulteriormente il riassetto dei conti pubblici!

Il debito, questo macigno sul futuro e sulla possibilità di scegliere, di decidere. Di governarci.

Ma cosa vuol dire, esattamente, avere un debito? Avere un debito eccessivo? Rispetto a cosa un debito è eccessivo?Sicuramente rispetto alla ricchezza prodotta: è il famoso rapporto debito/PIL. Ma, allora, non è che forse il debito è diventato eccessivo perché la ricchezza è diventata insufficiente?

La ricchezza che l’Europa produce non basta più a sostenere i consumi delle famiglie e la spesa sociale. L’Europa e l’Occidente industrializzato sono cresciuti meno, negli ultimi decenni, rispetto al resto del mondo. Le tigri asiatiche, i BRICS e i CIVETS: un’infinità di paesi più o meno grandi, in questi ultimi decenni, sono cresciuti a ritmi impressionanti nell’economia globalizzata. Sono divenuti, a turno, la nuova frontiera dell’industrializzazione e della crescita economica.

L’Europa arranca. La sua struttura produttiva si sfalda, le attività industriali si trasferiscono altrove. La crisi finanziaria americana iniziata nel 2007 ha solo accelerato il declino. L’economia europea era già in agonia. Il PIL ha continuato (un pochino) a crescere, ma salari e redditi reali sono fermi agli anni Novanta.

Se lavoratori e famiglie si impoveriscono l’economia si avvita su se stessa: è una recessione strutturale, costante e di lungo periodo. Una vera e propria decrescita dell’Occidente: il ciclo che collegava il lavoro, i redditi, i consumi, la domanda e ancora il lavoro è stato spezzato.

È così che il debito è divenuto insostenibile.

 

Non produciamo abbastanza ricchezza per sostenere il debito.

Non produciamo abbastanza ricchezza.

Non produciamo abbastanza.