Trump chiama Taiwan: tre cose sul possibile disgelo

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Trump chiama Taiwan: tre cose sul possibile disgelo

La vicenda della chiamata tra il Presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump e la Presidente di Taiwan appare ancora dai connotati (e dalle possibili conseguenze) non chiare. Nonostante tutto la vicenda ci porta a tre distinte riflessioni.

Trump chiama Taiwan: tre cose sul possibile disgelo

1) Introduzione: La Cina Popolare è la croce e delizia per la nuova amministrazione Trump. Da un certo punto di vista infatti per Pechino si aprono nuove e grandi opportunità da questa amministrazione repubblicana. Da altra invece ci sono grandi rischi. Le opportunità: Trump è isolazionista e non vuole (a quanto pare) garantire protezione militare a partner come Giappone (tanto ci sta pensando il primo ministro Shinzo Abe a questo, con l’articolo 9 della costituzione nipponica) e Sud Corea. E questo presuppone una mano libera della Cina Popolare per quanto riguarda le contese sulle isole nel mar cinese meridionale ed orientale. I rischi invece consistono nella politica commerciale degli Usa: ipotetici dazi possono danneggiare Pechino. Secondo questa impostazione di politica internazionale Trump in linea teorica NON avrebbe a cuore le sorti della sicurezza di Taiwan. E invece…

2) Trump ha sbagliato: Trump ha precisato in un tweet che è stata la presidente taiwanese a chiamare lui. Questo lascerebbe credere che Trump…sia cascato in un tranello! Dovuto alla sua scarsa esperienza (diciamoci la verità: la linea di Trump è ondivaga, non chiara, acerba). Questa teoria del tranello è rafforzata tra l’altro dallo stesso tweet trumpista in cui il Presidente eletto parla di “Presidente di Taiwan”. Essendo gli Stati Uniti un paese che riconosce una ed una sola Cina dal 1979, solitamente l’amministrazione Usa ha sempre parlato del ruolo istituzionale del Presidente di Taiwan più che altro come “leader taiwanese” e non come “Presidente”. Ad oggi quella che noi chiamiamo Taiwan per gli Stati Uniti è un’isola che fa parte della Cina Popolare ma che sottotraccia prende le armi dagli Stati Uniti stessi. Quindi non si parla quasi mai di Presidente. La teoria dell’errore di Trump è sostenuta pure da ragioni dottrinari: cercare di riaprire a Taiwan è la tipica cosa idealistica. La tipica cosa che farebbe un conservatore. Tipo Reagan, nel corso del suo primo mandato da Presidente. Il conservatorismo è una forma di idealismo. Di destra, ma pur sempre idealismo. Trump manco ha preso i voti dei neo-conservatori, ed è sostenuto da iper-realisti…che interesse avrebbe avuto (se non la mera inesperienza) a riaprire la vicenda taiwanese?

3) Trump non ha sbagliato: insomma, penso di aver spiegato perché secondo me Trump ha commesso un mezzo errore. Però, siccome io sono naturalmente una persona buona mi sforzo di vedere un disegno politico dietro il gesto del Presidente eletto degli Stati Uniti. Mettiamola così: alle ultime elezioni presidenziali taiwanesi purtroppo il Kuomintang ha perso. Hanno vinto invece i democratici indipendentisti. I democratici indipendentisti si trovano in una situazione strana: odiati sia dai comunisti della Cina popolare sia dal Kuomintang. Perchè? Perché fanno un ragionamento del tipo “siamo dal 1949 su questa isola…proclamiamoci indipendenti! Rinunciando ad essere gli eredi della Cina se non la Cina stessa! Abbiamo maturato del resto una nostra identità ed un nostro peculiare sistema politico-economico”. Aspetto questo che non è condiviso dal Partito Comunista della Repubblica Popolare che vorrebbe che l’isola di Formosa tornasse a tutti gli effetti parte della Cina Popolare. Stessa linea del Kuomintang (ma opposta): ma quale indipendenza! Noi siamo la Cina, evviva l’idealismo.

Ora, avendo vinto alle ultime presidenziali proprio gli indipendentisti taiwanesi, non è che Trump si sta sforzando di uscire dal guado e di porre il tema dell’ipotetica indipendenza di Taiwan al centro del dibattito politico? Sfruttare la vittoria dei democratici taiwanesi e di Trump negli Usa per mettere fine ad una forma di conflitto congelato?

Incognite a cui sapremo rispondere solo tra qualche mese