Bes: presentato il rapporto annuale sul benessere equo sostenibile

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Bes e Agenda 2030. Questo matrimonio s’ha da fare: Presentato il rapporto annuale sul benessere equo sostenibile.

Presentare un rapporto sulla qualità della vita in Italia con un Governo – più pro tempore di altri – appena insediato rappresenta una sfida audace. Farlo a pochi giorni dalle analoghe indagini annuali di ItaliaOggi e Il Sole 24 Ore è ancora più garibaldino, perché porta naturalmente al confronto tra i metodi di comunicazione mediatica e i processi di analisi accademica, con i secondi nettamente svantaggiati rispetto ai primi. Procedendo con cauto ottimismo, l’edizione annuale del rapporto sul benessere equo sostenibile consente di mettere un punto a capo chiarendo cosa significa misurare – seriamente – il benessere e il progresso cercando di fare qualcosa di utile per la pianificazione delle politiche pubbliche.

Il Bes: un progetto chiamato a crescere in fretta

Il progetto Bes nasce – grazie all’esperienza e alla volontà di Enrico Giovannini, a fine 2010. Tre anni dopo la Dichiarazione di Istanbul, un anno dopo la nota UE “Non solo Pil”, a pochi mesi dalla pubblicazione del Rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi voluto da Nicolas Sarkozy. Con un obiettivo chiaro: superare il Pil dichiarando l’attualità del più famoso indicatore solo in ambito economico, ma trovando piattaforme più adatte a scattare una foto nitida della società in cui viviamo. Quindi non indicatori singoli ma aggregati, capaci di misurare crescita o decrescita, ma anche le esternalità ad esse collegate. Il primo Rapporto Bes vide la luce nel 2013: siamo quindi alla quarta edizione, quest’anno più ampia vista la necessità di proiettare il Bes sull’orizzonte dell’Agenda 2030 e dei suoi 17 SDGs, gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Quadro d’insieme: come sta cambiando il Bes

I 134 indicatori del Bes sono articolati come di consueto in 12 domini: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi. Nel periodo 2015/2016 l’andamento generale degli indicatori fornisce segnali di miglioramento, rispetto al 2013, per quanto riguarda soddisfazione per la vita, occupazione, istruzione, salute e ambiente; una sostanziale stabilità si rileva per condizioni economiche minime, qualità del lavoro, relazioni sociali e reddito. Dal confronto con il 2010 emergono trend positivi per salute, ambiente, istruzione e un recupero completo per l’occupazione; livelli lievemente inferiori si registrano per reddito, relazioni sociali e soddisfazione per la vita. I divari sono invece rilevanti per condizioni economiche minime e qualità del lavoro. Il quadro che emerge rispetto al 2013 è quindi di miglioramento o stabilità per tutte le componenti del benessere; il recupero è invece ancora parziale se il termine di confronto è il 2010. Queste sono le note utili alla politica interna, ma la partita vera, come dicevamo in apertura, si gioca in campo internazionale, dove l’Onu aspetta, entro l’estate 2017, la definizione della strategia nazionale per l’attuazione dell’Agenda 2030.

Agenda 2030: la prova di maturità per il Bes

Giovannini, ex presidente Istat (da fine 2013 al suo posto c’è Giorgio Alleva), ora portavoce Asvis e comunque deus ex machina del Bes, lo ripete continuamente: il progetto italiano sul benessere equo sostenibile rappresenta un’avanguardia per la scienza statistica delle policy pubbliche. Tanto che l’Onu ci ha costruito, sulla stessa falsariga, la piattaforma di goals e target dell’Agenda 2030. Qui sta il bivio tra il lavoro politico e l’esercizio accademico. Infatti troppo approfondimento, e anche rigore, nella definizione di target e indicatori rischia di allontanare un pubblico non specificamente preparato. La narrazione del lavoro svolto da Istat nel 2016 per l’Agenda 2030, pur encomiabile, parla da solo. L’Istat ha condotto un’analisi dei 241 in dicatori proposti dal comitato scientifico sugli SDGs, avviando la costruzione di una mappatura da integrare insieme ai diversi attori istituzionali. Il risultato di questa prima ricognizione sono 95 indicatori utili ad alimentare 66 target SDGs. Questo è il lavoro presentato alla stampa il 14 dicembre 2016: si evince un quadro assai complesso, che solo la politica può semplificare, rendendolo digeribile per i cittadini (almeno i più impegnati). Il rischio, infatti, è che come tanti manifesti d’intenti, anche l’Agenda 2030, complicata dai burocrati al fine di produrre il cruscotto statisticamente e scientificamente più avanzato, rimanga lettera morta per la politica e quindi per la cittadinanza socialmente attiva, fallendo il suo obiettivo pedagogico.

Una nota politica: il lavoro istituzionale dovrebbe essere un gioco di squadra?

Infine, l’Agenda 2030 è per delega di Palazzo Chigi in mano al Ministero dell’Ambiente (guidato politicamente da Gian Luca Galletti), completamente assente alla presentazione del Rapporto Bes annuale e alla prima discussione sugli SDGs. E’ vero che il portale web ministeriale dà conto in un’apposita sezione dell’Agenda 2030, ma la domanda è: si lavora tutti per un unico obiettivo, oppure ognuno cerca, al momento opportuno, il proprio posto al sole?

Pierpaolo Bellucci