Politica Francia: il ritorno dell’austerità

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Politica Francia: il ritorno dell’austerità

Politica Francia. Gli esordi del già secondo governo di Eduard Philippe mettono in chiaro come in Francia sia tornata di moda l’austerità espansiva. La Corte dei Conti, nei giorni scorsi, ha denunciato il buco di bilancio da 8 miliardi che non permette allo Stato di rientrare nei parametri di Maastricht. Il Primo Ministro Philippe ha risposto subito con fermezza a queste valutazioni. Annunciati tagli per il rientro nel famoso 3% di rapporto tra deficit e PIL. Il ministro dei conti pubblici Gérald Darmanin, senza consultare i sindacati, ha già deciso il congelamento di un punto di indicizzazione delle retribuzioni dei dipendenti pubblici. Altri provvedimenti di aggressione alla spesa pubblica, come la messa in discussione delle 35 ore per il pubblico impiego, sono già pronti; aspettano soltanto di essere annunciati nei prossimi giorni.

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Politica Francia: il ritorno dell’austerità

Il cambio di passo si misura già nella retorica adottata da Philippe. “Bisogna intraprendere misure rigorose”; “È inaccettabile ereditare un tale buco di bilancio”; “Non abbiamo il diritto di addossare 2147 miliardi di debito pubblico ai nostri figli”; “La Francia deve mostrare la sua credibilità rispettando le regole comunitarie”. La lista potrebbe continuare.

Frasi come queste hanno risuonato spesso in Italia in questi ultimi anni. Non oltralpe. Il quinquennato di Hollande, infatti, è stato caratterizzato da ripetuti sforamenti degli obiettivi di bilancio europei.

Il tutto con il tacito lasciapassare della Commissione europea; non sono mai state comminate procedure d’infrazione, né eccessivi rimproveri, verso la lasca gestione dei conti perseguita da Parigi. Pertanto la svolta rigorista della Francia di Macron non si può intestare a particolari pressioni politiche esterne; tantomeno dell’opinione pubblica.

Per analizzarla bisogna tenere conto delle esigenze economiche e di politica estera che guidano la prospettiva politica dichiarata del neo Presidente.

Economicamente si nota subito come i provvedimenti sulle 35 ore e sul blocco dell’indicizzazione – così e in precedenza la loi Travail – più che essere improntati al risparmio pubblico, siano provvedimenti volti ad incentivare quella deflazione interna necessaria a rimettere in surplus le partite correnti francesi. Uno dei divari aumentati maggiormente in questi anni tra Francia e Germania sta proprio nell’andamento dei conti con l’estero; ripetuti deficit per Parigi contro record di avanzi commerciali per Berlino.

La volontà di ricostruire un solido asse franco-tedesco per dare un’accelerata all’integrazione europea, passa inevitabilmente dalla condivisione della linea economica con la Germania.

Pertanto il ricorso alla disciplina di bilancio non deve sembrare un inutile freno a provvedimenti espansivi; neanche un’imposizione esterna. L’obiettivo di questa svolta sembrerebbe essere quello di riequilibrare i rapporti di forza tra i due paesi all’interno dell’Eurozona. Ma dato che si deve passare necessariamente attraverso questa dinamica di competizione tra economie, il rischio che ciò finisca per rimanere l’ennesima strategia non cooperativa non deve essere sottovalutato.

Se le intenzioni di quest’operazione sono seriamente quelle di porre le basi per un rinnovato protagonismo dell’Europa nel mondo (e non soltanto una prova di forza per aggiudicarsi qualche capitale dall’estero) lo si vedrà nei prossimi anni. In particolare, dall’evoluzione dei rapporti con l’agenda di politica estera USA a guida repubblicana.

Luca Scaglione

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