Finlandia, l’avanzata dell’ultradestra

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Risultati e scenari dopo la tornata elettorale che ha visto l’esplosione, anche in Finlandia, di un partito di estrema destra

Ci si aspettavano elezioni storiche e le attese sono state rispettate: il voto del 17 aprile 2011 in Finlandia verrà ricordato per una lunga serie di motivi. In ordine sparso: il primato del Partito di Coalizione Nazionale, il trionfo dei Veri Finlandesi, il crollo del Partito di Centro, un’affluenza alle urne tornata a crescere.

I risultati erano già chiari dopo lo spoglio delle prime schede. In nottata, i numeri sono diventati definitivi. I liberal-conservatori del Partito di Coalizione Nazionale ottengono il 20,4%. I Socialdemocratici si fermano al 19,1%, superando di un pelo i Veri Finlandesi che escono dalle urne con il 19% dei consensi. Precipita il Partito di Centro, al 15,8%. L’Alleanza di Sinistra prende l’8,1%, i Verdi il 7,2%, il Partito popolare svedese (che difende gli interessi della minoranza di lingua svedese in Finlandia) il 4,3%, i Cristiano Democratici il 4%.

Il prossimo primo ministro sarà Jyrki Katainen, leader del Partito di Coalizione Nazionale e ministro delle finanze del governo uscente.

Grande favorito per la vittoria, il partito di Katainen non ha tradito le attese: scende nei voti rispetto al 2007 (-1,9%) ma diventa per la prima volta la maggiore formazione politica del paese. Dei 200 seggi parlamentari a disposizione, la Coalizione Nazionale se ne aggiudica 44. “Abbiamo fatto la storia” ha dichiarato Katainen.

Chi esce con le ossa rotte è il Partito di Centro. Nel 2007, con il 23,1% dei voti i centristi vincevano le elezioni. In quattro anni di governo sono stati persi oltre 7 punti percentuali: il partito non cadeva così in basso dalle elezioni del 1917. “La conclusione è chiara” ha detto l’ex premier Mari Kiviniemi: “Con questo tipo di risultati andremo all’opposizione”.

Reggono i socialdemocratici, che si fermano al 19,1%. È vero che si tratta del risultato peggiore nella storia del partito, ma la leader Jutta Urpilainen può quasi dirsi soddisfatta. Ha condotto il partito al secondo posto, ha sostanzialmente retto l’urto di una tornata elettorale diversissima dalle altre e può guardare ai colloqui per la formazione del nuovo governo da una posizione di forza.

Ma è indubbio che i veri protagonisti del voto di domenica scorsa sono i stati Veri Finlandesi, partito nazionalista, apertamente contro gli stranieri, l’Europa, l’aborto, i matrimoni omosessuali. I sondaggi avevano anticipato un successo storico per il partito guidato da Timo Soini, ma le urne hanno trasformato il successo annunciato in un vero e proprio trionfo. I Veri Finlandesi sono oggi il terzo partito di Finlandia, paese che per decenni ha avuto tra le prime tre formazioni sempre le stesse sigle:  Socialdemocratici, Coalizione Nazionale e Partito di Centro. I Veri Finlandesi hanno messo a segno una crescita vertiginosa. Nelle scorse elezioni avevano ottenuto il 4,1%, il risultato migliore dalla fondazione nel 1995. In soli quattro anni sono riusciti a quintuplicare i consensi, prendendo appena 1.700 voti in meno dei socialdemocratici e conquistando 39 seggi su 200. Guidati da un leader carismatico come è Timo Soini, i Veri Finlandesi sono riusciti a intercettare gli umori del popolo finlandese, rubando voti a destra e a sinistra.

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È stato proprio il partito di Soini il protagonista della campagna elettorale, una campagna dove il tema principale è stato l’Europa ancor più delle pensioni e dell’immigrazione. Argomento evidentemente forte, visto che è riuscito a portare alle urne oltre il 70% degli aventi diritto, tre punti in più del 2007 (la Finlandia rimane però il paese nordico dove l’affluenza è più bassa). L’Europa, dunque, e soprattutto il piano di salvataggio nei confronti del Portogallo, al quale Helsinki dovrebbe prendere parte. Il Partito di Coalizione Nazionale si è detto sin da subito favorevole; i socialdemocratici, pur se europeisti, in Parlamento hanno già votato no ai salvataggi di Grecia e Irlanda; i Veri Finlandesi non sono neanche disposti a parlarne. Più volte durante la campagna elettorale Timo Soini ha ricordato che nel corso della crisi economica di inizio anni ’90 nessuno è venuto ad aiutare la Finlandia, e la Finlandia ne è uscita da sola. Gran parte del tracollo del Partito di Centro è da ascriversi proprio all’ambiguità su questo tema. L’ex premier Kiviniemi non ha voluto prendere una posizione netta, scegliendo di rimandare la decisione alla prossima legislatura.

Quello che succederà adesso è ancora difficile da prevedere. I colloqui per la formazione del nuovo governo potrebbero andare avanti fino a maggio. La strada che ha di fronte a sé Katainen è politicamente complessa. Scrive il quotidiano finlandese Helsingin Sanomat che probabilmente il nuovo esecutivo sarà formato da un nucleo composto dal Partito di Coalizione Nazionale e Partito Socialdemocratico. I Veri Finlandesi non potranno però non partecipare ai colloqui, e del resto i primi due partiti hanno già aperto le porte al dialogo: Taru Tujunen, segretario della Coalizione Nazionale, ha detto che un esecutivo composto dai tre partiti usciti vittoriosi dalle elezioni non può essere escluso; Mikael Jungner, segretario dei socialdemocratici, ha dichiarato che il posto per i Veri Finlandesi dovrebbe essere nel governo. Katainen ha spiegato che “quando persone responsabili si siedono allo stesso tavolo per parlare degli interessi della Finlandia le soluzioni si trovano”, aggiungendo in un secondo momento che probabilmente il nuovo governo sarà formato dalla Coalizione Nazionale, i socialdemocratici e i Veri Finlandesi. Il fatto è che queste dichiarazioni concilianti potrebbero cadere alla prova dei fatti. Le parti sono distanti su moltissimi temi, ma quello che potrebbe far saltare il banco è l’Europa. Se Katainen e Soini dovessero restare ciascuno sulle proprie posizioni, la strada si farebbe forse troppo stretta. Se i Veri Finlandesi dovessero invece accettare di sfumare alcune posizioni, allora lo scenario si semplificherebbe e consentirebbe il varo di un governo piuttosto variopinto. In ogni caso, mai come questa volta i colloqui si preannunciano difficilissimi.

In tutto ciò, l’Europa sta alla finestra da spettatore interessato. Il Parlamento di Helsinki, al contrario di quanto avviene negli altri paesi europei, può esprimere la propria posizione sui salvataggi e ha quindi un potenziale potere di veto. Le paure covate da Bruxelles alla vigilia di questa tornata elettorale si sono avverate: a rischio c’è l’unanimità richiesta tra i Paesi dell’Ue per il salvataggio finanziario del Portogallo. Bisognerà vedere ora se e quanto Helsinki cesserà di essere un interlocutore disciplinatissimo e disponibile in ambito europeo, per diventare un ostacolo sulla strada dei piani di salvataggio.