YesWeCamp

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Presentato martedì scorso al Milano Film Festival nella sezione Colpe di Stato – in collaborazione con Internazionale – il documentario girato in Abruzzo nelle zone colpite dal sisma del 6 aprile scorso dal regista torinese Alberto Puliafito sconfessa l’informazione che fino ad oggi è comparsa sui canali tradizionali sulla ricostruzione.

INFORMAZIONE INNANZITUTTO – Ha modi gentili Alberto Puliafito il regista torinese che ha vissuto alcuni mesi all’Aquila e dintorni per documentare quanto sta accadendo su quei territori dall’evento sismico che ha sconvolto l’aquilano distruggendo una città e i suoi territori limitrofi. E’ gentile e senza clamore il suo documentario: è per questo che definirlo un documentario di denuncia sarebbe forse fargli un torto e prestare il fianco a tutti quelli che vedono nel pacato tentativo di raccontare la gestione dell’emergenza e la ricostruzione a ormai sei mesi dalla catastrofe una manovra politica meramente finalizzata ad una contestazione antigovernativa ad opera di gruppi tacciati di essere qualcosa di molto simile a dei centri sociali. Non è così. Non è di questo che tratta “Yes, we camp”, che riprende l’ormai celebre motto utilizzato per la campagna presidenziale di Barack Obama. Non è di questo che si tratta, ma della vita sconvolta e stravolta di migliaia di persone (stime prudenziali parlano di almeno 50.000 persone tra tende e sfollati sulla costa: sembra assurdo ma a voler cercare il dato esatto delle persone sfollate ci si trova in difficoltà, così sul sito della protezione civile ad esempio la rilevazione delle persone che a causa del sisma hanno trovato una sistemazione temporanea sulla costa è partita soltanto il 7 settembre scorso) che senza più case e spesso senza più lavoro sono state prontamente assistite dalla Protezione Civile, e che tuttavia oggi si trovano ad essere svuotate di alcun potere decisionale sul loro futuro e sul futuro della città che hanno da sempre abitato.

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LE DECISIONI CADONO DALL’ALTO – Svuotato di poteri su qualunque decisione riguardi la città è anche il suo sindaco Massimo Cialente, che non è stato coinvolto in alcun modo dalla Protezione Civile sulle decisioni che riguardano L’Aquila e la sua ricostruzione. Già, perché la ricostruzione parte anche e soprattutto dalla gente ed è dal coinvolgimento degli abitanti nella ricostruzione che nascono azioni virtuose per rimettere in moto il tessuto sociale, civile e economico di un luogo (sono gli stessi urbanisti a dirlo, come ad esempio quelli del comitato aquilanus). E’ per questo che il documentario di Puliafito se la prende con quanto lui stesso definisce come “assistenzialismo”, e cioè quella forma di assistenza che volendo raccontare la vita nei campi – “Yes, we camp” ha scelto di documentare la vita degli sfollati nelle tende, tralasciando per ora la situazione di tutte quelle persone che hanno trovato una sistemazione (in hotel, in affitto, o in autonomia) – si è imposta nelle tendopoli. La direttiva numero 15277 inviata a fine maggio dal vice capo del dipartimento ministeriale, Bernardo De Bernardinis, a tutti i centri operativi che gestiscono le circa 180 tendopoli (il numero si riferisce al periodo di massima capienza), ad esempio, vietava severamente agli sfollati il consumo di caffè, cioccolata e vino. Ma non si tratta solo di caffè e cioccolata: all’interno dei campi sono state vietate in tutti i modi assemblee pubbliche, che nulla hanno avrebbero avuto a che vedere con la contestazione di questa o quella parte politica, ma che sarebbero certamente serviti a mettere in moto un meccanismo di condivisione di base su come ricostruire la città, a partire da come decidere di allocare i fondi. Già perché ora il piano case, che prevede la costruzione di circa 15000 unità abitative rischia di lasciare altrettante persone senza alloggi.Già, perchè il piano C.A.S.E., che prevede la costruzione di circa 15000 unità abitative, non è comunque sufficiente a coprire il numero di persone sfollate. Inoltre, molti interrogativi si pongono sui costi molto alti del piano case, affidato ad una società a partecipazione statale , Fintecna, con un costo pari a circa 2700 euro al metro quadro.

CITTADINI SENZA CITTA’ – Il mancato censimento degli sfollati si aggiunge alla difficoltà di compilazione dei moduli che di fatto decretano le sorti future delle singole persone. Sarà in base alla compilazione di questi moduli che verrà decisa la sistemazione degli sfollati da qui ai prossimi mesi. Già perché intanto moltissimi resteranno nelle tende, a meno di non essere trasferiti dopo 6 mesi di tenda all’Aquila in alberghi lontani decine di kilometri dalla città, nella sede della Guardia di Finanza dove si è svolto il G8 lo scorso luglio, o destinati al progetto CASE. La “ricostruzione” non prende in alcun modo in considerazione la ricostruzione del centro storico, di cui resta aperta soltanto la via che porta a Piazza Duomo – il Corso Federico II -, e che versa in uno stato di completo abbandono, così come molti altri comuni limitrofi dove non sono stati effettuati nemmeno gli interventi più elementari di puntellamento. Camarda, citata nel documentario, è solo uno degli esempi. Come se non bastasse, poi, gli affitti sono schizzati alle stelle: trovare casa all’Aquila oggi è un’impresa soprattutto economicamente, perché come racconta il regista di “Yes, we camp”, chi prima aveva un’attività commerciale in centro (e pagava un canone di locazione di 400 euro) oggi si trova costretto a declinare offerte che ne chiedono 2000 per un immobile in periferia. La periferia, già, il nuovo centro dell’Aquila ma solo di giorno, perché come spiega il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente nel documentario, alle 8 di sera per strada restano soltanto chioschi sparsi che vendono arrosticini e spiedini, tra i pochi baluardi di unità cittadina rimasti, perché quella che si rischia oggi nel business delle case è una guerra tra poveri, oltre che la disgregazione di un tessuto cittadino che sarà probabilmente e forzatamente separato senza un centro città a fare da collante.

L’articolo è stato scritto per il sito internet: www.ilcaffegeopolitico.it che curerà nelle prossime settimane una rubrica speciale su post-terremoto e ricostruzione nell’aquilano.

 di Anna Longhini