Intervista al senatore dell’IDV Pancho Pardi

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Intervista al senatore dell’IDV Pancho Pardi

Al 4° incontro nazionale dell’Italia dei Valori era presente anche il senatore Francesco “Pancho” Pardi, già filosofo, professore universitario e collaboratore di molti quotidiani e riviste culturali, eletto nel 2008 in Toscana. L’abbiamo intervistato a proposito di rapporti tra il PD e l’IDV in Senato e sul rapporto di questi due partiti con i movimenti della società civile.

Senatore Pardi, come sono i rapporti tra i senatori dell’IDV e quelli del PD?

Il rapporto tra i senatori dell’IDV e gli altri, dal punto di vista umano, è buono; più o meno tutti si attengono alla regola di evitare comportamenti che possano portare ad inutili ostilità. Ho la sensazione che su alcuni temi ci sia una maggiore possibilità d’intesa e su altri meno, ma su tutti i temi c’è sempre e comunque qualcosa che fa da ostacolo: per esempio, sulla questione Englaro, che era il “simbolo” della questione della laicità, abbiamo trovato un’intesa con i parlamentari del PD, anche quelli cattolici, orientati verso una posizione laica, mentre ovviamente c’è stato un discreto urto con quei senatori che invece esprimevano il punto di vista cosiddetto “teodem”.  Da parte del PD c’è una sorta di tendenza a pensare di essere il centro della situazione e a considerare il nostro apporto in modo un po’ periferico, però poi su certe questioni la nostra presenza è così incisiva che loro devono comunque tener conto del fatto che, pur essendo loro più di cento e noi solo 14, i nostri 14 comunque si fanno valere.

Si dice che l’IDV sia diventata il partito di riferimento stabile di quel movimento culturale che si identifica con il gruppo dei “girotondi”, di Micromega, di quella società civile critica e impegnata in politica. Lei è d’accordo?

Io non credo che il partito possa essere “fotografato” come il partito di quest’area; il problema è che siccome i riferimenti politici nella rappresentanza politica sono venuti meno “a grappolo”, di fatto l’IDV è il possibile riferimento, e forse l’unico, dei movimenti di dissenso, questo sì. Però questo lo intendo in senso dialettico: non bisogna pensare che ci sia uniformità di vedute, e questo ritengo che sia un fatto molto positivo, non negativo, e cioé che i “movimenti del dissenso” hanno anche delle loro intenzioni diverse da quelle del partito, ed è giusto che sia così, e l’interlocuzione è tanto più significativa quanto più esistono disparità di opinioni.

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A proposito di MicroMega, qualche tempo fa Paolo Flores D’Arcais riprese una idea di Beppe Grillo e lanciò la “Lista Civica Nazionale”, progetto che però non vide la luce; recentemente Beppe Grillo ha rilanciato, promuovendo la nascita di un “Movimento di Liberazione Nazionale” ispirato alle liste locali “a 5 stelle”. Quale pensa che sarà e che debba essere la posizione di IDV rispetto a questo movimento?

Sono due cose molto diverse; io per convinzione personale mi sento più vicino a Micromega e alla proposta di Paolo Flores, anche se secondo me fu proposta in maniera troppo precipitosa e senza preparazione, era una cosa che necessitava di una fase d’incubazione e di discussione preventiva, mentre dirla così, “proviamo a farla”, fu un errore probabilmente dettato dalla necessità, nel senso che c’era poco tempo; però è una cosa che nei fatti non ha funzionato. Di fatto l’IDV ha accolto il suggerimento perché nella presentazione delle liste per le europee bene o male è andata in quella direzione, ha accolto e portato avanti delle candidature di persone esterne, le ha fatte eleggere, le ha portate al Parlamento europeo, quindi la cosa non è andata a buon fine per come l’aveva immaginata esattamente Micromega, ma il nostro partito ha avuto un rapporto di interlocuzione con questa ipotesi. La cosa di Grillo la vedo molto diversa: quella di Grillo è quasi una scommessa, perché lui ha teorizzato a lungo che tutta la sua area sociale di riferimento non avrebbe mai determinato una sua rappresentanza politica perché entrare nella rappresentanza poltitica avrebbe significato assumere quel tipo di irregimentamento e di blocco che è tipico delle formazioni politiche, e lui quindi riservava a sé ed alla sua “parte” politica il ruolo del “rompiscatole”, del propositore di temi , di quello che avanza critiche e proposte. Ora invece, presentando effettivamente delle liste, in un certo senso si espone a un rischio, perché farsi votare ed essere votati non è affatto semplice, e al momento del voto incidono tanti fattori che non sono soltanto l’indignazione e la ribellione, e quindi non faccio previsioni ma penso che al momento del voto le liste di Grillo prenderanno meno voti di quelli che loro pensavano di prendere. Non sono affatto contrario al fatto che lui presenti queste liste, anzi ne sono contento perché bisogna “sperimentarsi” su questo terreno. Il terreno della rappresentanza politica non è appannaggio degli “specialisti”. Io lo considero un fatto molto positivo, di cui sarà interessante vedere l’esito, e comunque penso in ogni caso che tra l’elettorato “virtuale” delle liste di Grillo e quello di IDV ci siano molti punti in comune, se non addirittura una continuità dall’uno all’altro.

Come si pone rispetto al congresso del PD attualmente in fase di svolgimento? A proposito del tema dell’apertura dei partiti verso la società civile, cosa ci può dire riguardo alle tre mozioni in campo?

Io ho una personale preferenza per la candidatura di Marino, ma ho un certo pudore a dirlo perché penso che l’IDV non debba esprimere una preferenza per un candidato di un altro partito; sarebbe un errore politico perché è giusto che il loro segretario se lo scelgano loro, e poi nel momento in cui se lo saranno scelto noi non possiamo certo essere quelli che magari avrebbero preferito un altro, quindi è anche una questione di realismo politico. Io ho avuto e continuo ad avere un buon rapporto con Marino perché ho fatto con lui la battaglia sulla laicità, e mi ha convinto una certa rettitudine della persona, il suo carattere diretto, senza trucchi. Per quanto riguarda Bersani e Franceschini, trovo una piccola ma curiosa contraddizione: Bersani rappresenta il candidato dell’area più “costituita” del PD, l’asse dalemiano che è responsabile di gravissimi errori nel passato – per esempio la mancata legge sul conflitto d’interessi, che per me è il cardine della vittoria berlusconiana ed è una cosa attribuibile quasi per intero al settore dalemiano degli allora DS: sono loro che non vollero fare quella legge e ne portano la responsabilità; e la cosa curiosa è che il candidato di quell’area è in un certo senso quello più disponibile alle alleanze; mentre invece Franceschini, che sarebbe il candidato di un’area più liberale, meno “incardinata”, è molto vicino per certi aspetti ad alcuni caratteri della nostra linea politica, ma è il candidato dell’area che pensa ancora, grossomodo “veltronianamente”, all’idea della vocazione maggioritaria e dell’andare da soli. Quindi, semplificando molto e soltanto per rendere l’idea, direi che i “cattivi” hanno una linea buona e i “buoni” hanno una linea cattiva.

 

Salvatore Borghese