Il TP intervista Gianfranco Mascia

Caso Ruby

Il TP intervista Gianfranco Mascia

 

Abbiamo oggi il piacere di intervistare Gianfranco Mascia, una persona poco nota al grande pubblico del panorama politico degli ultimi 15 anni, ma dal nostro punto di vista, data la sua storia personale e politica (che potrete trovare nel suo blog personale), di estremo interesse e rilievo; oltre a questo, Mascia è uno tra i – numerosi – organizzatori del No Berlusconi Day che si terrà a Roma il prossimo 5 dicembre.

 

Ho voluto io stesso, che sono il Responsabile del Progetto Editoriale del Termometro Politico, fare personalmente questa intervista, con la quale metto per la prima volta la mia firma in calce ad un articolo. Una intervista per me particolarmente sentita come quella straordinaria fatta a Gioacchino Genchi qualche mese fa. Non mi resta che augurare buona lettura a tutti.

Lei è tra i gli organizzatori del “No Berlusconi Day”; ci parli di questa manifestazione e delle sue finalita, come è nata e quale è il suo ruolo in essa.

Il No Berlusconi Day è nato all’inizio di ottobre 2009 dall’idea di alcuni blogger che – dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il Lodo Alfano – hanno postato l’idea che fosse necessario scendere in piazza, per chiedere le dimissioni di Berlusconi. Poi è nata una pagina di Facebook intitolata “Una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Berlusconi” che in pochi giorni ha ricevuto tantissime adesioni.

Io attualmente (per conto dei Comitati BOBI, dei quali sono il fondatore) sto collaborando all’organizzazione occupandomi soprattutto di ospiti e contenuti.

Da chi è stata indetta, chi sono gli organizzatori?

Come detto, la manifestazione è nata da un malcontento generale che – per la prima volta – la Rete è riuscita a mettere in collegamento. Io ho partecipato anche alla stagione dei Girotondi ed ho collaborato alla realizzazione della manifestazione di Piazza San Giovanni il 14 settembre del 2002. La differenza è che in quel caso l’idea originale venne partorita dalle menti dei vari rappresentanti dei comitati – già in contatto tra di loro – che lanciarono una data, un luogo e le parole d’ordine. Cosa che poi si è trasformata nella primamanifestazione di massa autorganizzata.

Per il No Berlusconi Dayinvecelo spunto è nato da una mente collettiva: un gruppo di persone che, grazie alla rete, hanno messo in comune le loro istanze e i loro obiettivi. Quando però l’idea ha cominciato a prendere forma, tutti hanno potuto collaborare, decidendo insieme la parola d’ordine (“dimissioni subito”), le modalità (prima l’idea di varie manifestazioni in tante città poi cambiata poi in un’unica manifestazione nazionale, lasciando solo quelle nelle grandi città europee) ed il giorno (il 5 dicembre).

Mano a mano che si andava avanti è nata anche la necessità di scrivere un documento iniziale.

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Sugli organi di stampa è stata fatta passare come manifestazione di Di Pietro, ma lui ha smentito questa “paternità'” dicendo solo di aver aderito successivamente; crede che attribuire la manifestazione a Di Pietro sia stato un atto voluto o semplice superficialità? E se è un atto voluto quali pensa che siano le ragioni?

Per essere chiari: anche i giornali sono stati spiazzati dalla originalità di questa manifestazione. E non solo loro. Anche i partiti, sindacati e le grandi associazioni tradizionali.

Normalmente come si convoca una manifestazione? Qualcuno ha una idea e propone una “piattaforma” iniziale. Poi si plasma la piattaforma a secondo delle organizzazioni che si vogliono coinvolgere. Infine si fa una conferenza stampa di presentazione.

Qui sono saltati tutti i meccanismi. I giornalisti – abituati alle interviste ai protagonisti del “teatrino della politica” – non sapevano chi interpellare. Del resto, anche chi ha voluto svolgere correttamente il suo mestiere “cercando” le informazioni si è trovato di fronte a questa sorta di “intelligenza collettiva” nella quale i nomi dei promotori e gli organizzatori cambiavano continuamente. In realtà dietro la sigla “No Berlusconi Day” si mescolano tanti blogger, gruppi su Facebook, piccole associazioni, singole individualità che si scambiano informazioni molto rapidamente utilizzando il web per comunicare tra loro e con l’esterno: è una vera organizzazione “liquida”.
Anche i partiti fanno fatica a seguirci. Quando di Pietro e Ferrero hanno annunciato in una conferenza stampala loro adesione alla manifestazione dei blogger, i giornali hanno scritto “il 5 dicembre Di Pietro e Ferrero lanciano una manifestazione contro Berlusconi”. Poi IDV, Rifondazione e Comunisti Italiani hanno precisato, ma il “la” mediatico era stato dato e per giorni si è parlato della “loro” manifestazione.
Nessuna malafede, solo difficoltà a sintonizzarsi con le nuove modalità.

Su Facebook hanno aderito quasi in 300.000, ma lei quanti pensa che parteciperanno alla manifestazione?

So bene per esperienza che i numeri virtuali delle adesioni su Facebook sono sostanzialmente diversi da quelli reali. Io mi accontenterei di un terzo: 100.000 persone.

Questa manifestazione del 5 dicembre rappresenta la prima “assoluta” di una manifestazione di tipo politico organizzata dal “basso” e non attraverso i canali “tradizionali”.

Qui bisogna fare un distinguo. È vero che la manifestazione del 5 dicembre è partita in maniera assolutamente originale e orizzontale. E finora si può parlare di grande successo di partecipazione non solo virtuale ma anche reale, visto che in tantissimi si sono messi in moto per prenotare pullman, fare volantinaggio, proporre collaborazioni e nomi di artisti. Ma proprio questo enorme entusiasmo ha trovato noi organizzatori impreparati. Soprattutto nell’utilizzo delle potenzialità della Rete. Ancora non si è riusciti ad utilizzare questa mole di energie nella maniera più appropriata. Io questo lo considero un vero e proprio esperimento e credo anche che finora lepotenzialità dei social network siano state sfruttate molto poco. Ad esempio Facebook: è stato utilizzato – anche da noi – per lanciare, pubblicizzare e raccogliere adesioni ad eventi, ma si è tralasciata la funzione essenziale che è quella di creare collegamenti ed interazioni. O meglio, nel nostro caso è stata utilizzata, ma solo per trovare i volontari che hanno gestito l’organizzazione dell’evento.

Abbiamo scritto documenti, scalette, linee organizzative ma – per la mancanza assoluta di tempo – non siamo riusciti a condividere fino in fondo con la Rete queste nostre elaborazioni.
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E questo ha creato anche malumori. Soprattutto tra coloro che pensano ai social network come palcoscenico dove crearsi un ruolo sociale ben preciso. Questo io lo considero un errore veniale, dovuto più all’inesperienza ed alla fatica di inventarsi approcci e modalità organizzative del tutto originali.

Sicuramente sul palco del 5 dicembre, oltre alle personalità di spicco, ci sarà la possibilità di far emergere tante di queste realtà della Rete.

Ritiene che questo tipo di aggregazione e di modalità di funzionamento sia replicabile e che abbia un futuro? E su quali canali?

Sono convinto che debba ancora nascere uno strumento che unisca alle funzioni di collegamento, elaborazione, ideazione, comunicazione, condivisione anche la progettualità. Come dicevo prima Facebook e le mail, i blog e i calendari condivisi ci hanno dato una grossa mano nell’organizzazione del 5 dicembre. Ma stiamo facendo fatica sul piano della progettazione.

Credo che su questa strada Google Wave (la cui uscita è stata annunciata dall’azienda di Mountain View come imminente) potrà aiutare e creare quella nuova rivoluzione nelle comunicazioni politiche e interpersonali.

Wave sarà una applicazione ibrida che consentirà di raccogliere in una sola schermata le e-mail, gli instant message, video e audio. Consentendo lo scambio e la condivisione di testi, immagini, video, musica e creando conversazioniin tempo reale, con la possibilità di ordinare il tutto in gruppi. Ma la funzione essenziale – per poter creare un progetto plurale e condiviso – sarà la possibilitàdi riavvolgere le conversazioni (come si fa in un registratore) anche a distanza di giorni – e vedere quello che è stato discusso e semmai aggiungere dei nuovi contenuti o apportare delle modifiche a quelli già pubblicati.

Quali sarebbero le funzioni ed eventuali ruoli di un partito politico all’interno di tali “strutture liquide”?

In questi scenari il ruolo dei partiti cambia completamente. Dovranno essere capaci di mettersi pariteticamente in gioco. Collaborando e non prevaricando, discutendo e non imponendo, ascoltando e non parlando a vuoto.

È una scommessa molto grande. Bisognerà capire se i partiti italiani sapranno giocarla fino in fondo. Ma sono convinto che sarà per loro un problema cruciale che riguarderà la loro stessa esistenza.
Soprattutto per i partiti di opposizione che avranno la possibilità di giocarsela non sul leaderismo ma sulla condivisione delle idee.

La destra ha le tv di Berlusconi. Lo strumento con il quale in questi anni è stata plasmata la cultura dell’individualismo più becero. Ma la tv sta per essere soppiantata dal web e Wave porterà la nuova grande rivoluzione 3.0.

Qualcuno si è accorto che – a differenza del passato -il pubblico femminile sta invadendo il web e soprattutto Facebook?Le donne sui social network si sentono a casa perché non solo socializzano con gli amici, i famigliari e i colleghi di lavoro, ma riescono a costruire o rinsaldare i legami (anche del passato). Senza dimenticare la necessità di rivendicare un ruolo da protagoniste dando loro la possibilità di esprimere in pieno la loro personalità. Insomma mentre la tv le costringe ad un ruolo passivo, il web le trasforma in soggetti attivi e propositivi.

Se la politica (intesa come partiti e come istituzioni) saprà approfittare di questa disponibilità ad attivarsi del popolo della Rete, vivremo una rivoluzione culturale che consentirà di contrastare il berlusconismo e le sue conseguenze.
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Al di là della manifestazione in sé, ritiene possibile una partecipazione attiva e continuativa delle persone ai temi politici su un “network” di tale tipo? E come dovrebbe essere strutturato?
Il web consente di rappresentare la società in tuttala sua complessità.
Questa è una caratteristica abbandonata dalla politica italiana, che ha promosso la falsa necessità di semplificazione. È stato uno degli errori del sistema maggioritario e del finto bipartitismo imposto dall’entrata in scena di Berlusconi.
Il lancio e l’organizzazione del No Berlusconi Day ha dimostrato che esisteuna intelligenza collettiva che, partendo da diversi ambiti territoriali reali e virtuali, è capace di elaborare progetti e strategie politiche.
Il problema, da adesso in poi, sarà riuscire a dare continuità e gambe alla voglia di partecipazione delle persone che, non dimentichiamolo, cercano così di riempire il vuoto lasciato dai partiti.
Ricordo che alle ultime Elezioni Europee quasi 18 milioni di elettori non sono andati a votare: in Italia c’è quindi un partito degli astensionisti del 35% . Molti di questi elettori delusi sono di centrosinistra e tantissimi di questi rappresentano la parte più attiva del web.
L’obiettivo è riuscire a coinvolgerli in un “network” aperto, orizzontale, partecipativo, più orientato ai collegamenti che alle appartenenze, con la possibilità di sperimentare progettualità e contenuti condivisi e ricercando modalità originali e innovative di comunicazione.

Sarebbero possibili secondo lei dei network “strutturati” e con livello decisionale decentrato per l’attività politica? Mancherebbe la volontà o i referenti o che cosa altro?

La struttura di un network 3.0 dovrà prevedere collegamenti orizzontali tra gruppi di lavoro organizzati per temi, ciascuno con la sua autonomia decisionale e con la ricerca di una sintesi comune. Servono non solo gli strumenti adatti ma anche ottimismo e fiducia in questa nuova sfida.

Non bisogna, dunque, cercare scorciatoie, ci dobbiamo prendere tutto il tempo necessario per elaborare e proporre. I referenti nasceranno automaticamente tra i leader naturali che la Rete saprà far crescere. La volontà c’è. Bisogna vedere se la società italiana saprà sbloccarsi per approfittare delle competenze e delle professionalità offerte dalle nuove generazioni. Mettiamoci in gioco ed apriamo alle novità. È l’unica speranza di cambiamento possibile.

Cosa pensa della risposta di Bersani, neoletto segretario del PD, a chi gli chiedeva se avrebbe partecipato o meno a questa manifestazione? La ritiene una motivazione valida o una scusa, e perché?

Bersani si preoccupa molto che dalla manifestazione possano uscire critiche alla figura del Capo dello Stato (per via della sua firma al Lodo Alfano) o derive contro la Costituzione. Forse non ha letto l’appello iniziale che parla proprio di difesa delle norme costituzionali.
L’altro giorno noi organizzatori lo abbiamo “braccato” alla Feltrinelli di Largo Argentina. Lo abbiamo visto, inseguito e gli abbiamo chiesto lumi. Ma lui ha tenuto a precisare che non ha nulla contro questa manifestazione e che valuterà anche una sua eventuale partecipazione.

Del resto, non mi interessa molto se il segretario del PD verrà o non verrà. Tanto sappiamo benissimo che il popolo delle primarie è dalla nostra parte. L’elettore o l’iscritto PD, per fortuna, non aspetta un cenno del “capo” per decidere.

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Ritiene a differenza di Bersani che Berlusconi sia un problema concreto per la gente? E perché’?

Berlusconi tutte le volte che è andato al governo si è sempre preoccupato di risolvere i suoi problemi (giudiziari o finanziari) piuttosto che quelli dei cittadini. Le 18 leggi ad personam che ha presentato in 15 anni ne sono la chiara dimostrazione.

Che risposte sta dando oggi questo governo alla Scuola, ai precari, al mondo culturale e dello spettacolo, alle nuove generazioni, alle famiglie? Solo tagli. E questo mi sembra un problema concreto.
Anche il berlusconismo dilagante è un problema concreto, un cambiamento culturale che è partito da lontano ed ha utilizzato le televisioni come grimaldello per diffondere l’idea che ciascuno debba farsi i fatti propri, che le risposte alle questioni politiche e sociali siano di tipo individualista, piuttosto che individuale. Ecco allora contrapporrealla dialettica politicail contraddittorio urlato e la volgarità, alla solidarietà l’egoismo, alla socializzazione il farsi i fatti propri senza guardare in faccia nessuno, alla salvaguardia delle istituzioni il frodare il fisco o la corruzione dei giudici.
Non sono forse fatti concreti questi?

Ci sono alcuni commentatori ed esponenti politici secondi i quali la strategia “antiberlusconiana” del centrosinistra dopo 15 anni andrebbe accantonata, visto che non sembra aver funzionato. Lei che dal 1993 sostiene iniziative antiberlusconiane come il BOBI (“Boicotta il Biscione)” cosa ne pensa? Il centrosinistra ha mai davvero adottato una strategia “antiberlusconiana”?

È vero esattamente il contrario. Nel 1993 partimmo con la nostra idea di boicottaggio per sottolineare la forza delle scelte personali nel contrastare il dispiego di mezzi con i quali Berlusconi era entrato in politica. Ma nessuna forza politica aderì alla nostra protesta. La società civile aveva intuito la pericolosità del fenomeno, i partiti di sinistra no.

Allora noi dei BoBi, a fronte di una serie di successi (più di 2.800.000 spettatori in meno in occasione del primo grande sciopero dei telespettatori a Canale 5, la rete ammiraglia del gruppo Fininvest, meno 3% di fatturato nella catena di supermercati Standa nel 1994) ci trovammo con una fantastica e spontanea rete di comitati in tutta Italia, ma completamente isolati rispetto alla politica “ufficiale”.

La riprova l’avemmo con il referendum per abrogare la Legge Mammì(votata anche dall’allora Partito Comunista Italiano): la campagna referendaria fu sostenuta solo dal comitato per il Sì. Berlusconi fece scendere in campo anche la Zanicchi e Sbirulino, mentre i partiti di opposizione decisero diinvestirepochissime energie, al punto che D’Alema, il giorno dopo la sconfitta referendaria, si affrettò a dichiarare: “Non voteremo una riforma che non sia sostenuta anche dal Polo”.

Vogliamo poi parlare della Bicamerale?

In questi 15 anni si è disatteso il problema principale: risolvere l’anomalia italiana con una legge sul conflitto di interessi. Alla richiesta– soprattutto dalla società civile – di trovare una soluzione non è stata data risposta, anche da parte dei governi di centrosinistra.

Iniziative come la sua che risultati hanno portato in concreto?

Il BOBI è servito per iniziare anche in Italia una forma di protesta non violenta (i boicottaggi) che già aveva avuto molto successo in molti altri Paesi. Avercapito che tante scelte personali, se coordinate e canalizzate, potessero incidere nella realtà economica e politica lo ritengo un grande successo.

Con i Girotondi sono nate le prime manifestazioni autoconvocate e la prima rete di gruppidistinti ma con i medesimi obiettivi. Sicuramente con le loro manifestazioni (in particolare Piazza San Giovanni e gli Ora Basta) rivolte anche all’elettorato di centrodestra, hanno contribuito a preparare la vittoria del centrosinistra del 2006.

Spero che il No Berlusconi Day dia gambe ad un movimento fatto di collegamentitra gruppi eterogenei. Sarebbe bello che questa “intelligenza collettiva” potesse dare il suo contributo al dibattito politico, senza la scorciatoia (ormai abusata) del creare l’ennesima lista o partito nuovo

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Lei è stato responsabile della comunicazione in diverse campagne politiche dei Verdi, di Sinistra l’arcobaleno, di Sinistra e Libertà e poi ancora nei Verdi. Queste esperienze non hanno avuto molto successo nelle ultime tornate elettorali e sia Verdi che SeL sono dilaniati da lotte interne. Quale crede che siano state le cause? Cosa non ha funzionato?

Una premessa: la comunicazione politica elettorale conta per consolidare alcuni frame già acquisiti. Ma come per qualsiasi altro prodotto pubblicizzato, in realtà la politica potrebbe offrire valoriche all’elettore non interessano o che non è pronto a recepire.

Così è capitato per la Sinistra l’arcobaleno. Una parte dell’elettorato, sulla spinta degli appelli al “voto utile”, ha ignorato completamente la campagna elettorale di questa coalizione perché ha deciso di orientare il proprio voto di dissenso al PD verso l’IdV,convinto che in tale maniera non avrebbe disperso voti. Un’altra parte dell’elettorato invece, sfiduciata per i litigi e la frammentazione della coalizione al governo con Prodi, è rimasta a casa, andando ad ingrossare le fila degli astensionisti. Probabilmente perché costoro non hanno trovato nella Sinistra l’arcobaleno niente di diverso di una “fusione a freddo”.

Diverso è il caso della campagna di SeL. Le aspettative erano forti, non c’era la questione del voto utile e SeL in parte rispondeva al bisogno di rinnovamento ed aveva intercettato i valori comuni del suo elettorato. Ma c’erano pochissimi soldi per la campagna elettorale (un decimo rispetto a Sinistra l’arcobaleno), bisognava far conoscere un nuovo simbolo e– in parte – anche SeL veniva percepita più come un’alleanza elettorale che come un vero e proprio partito.

Quanto alle lotte interne, questo atteggiamento “tafazziano” è tipico della storia della sinistra: più piccoli si è, più ci si separa cercando di rimarcare il proprio territorio. Mentre l’elettorato si aspetterebbe dai partiti la maturità necessaria per poter condividere un programma elettorale fatto di pochi punti condivisi.

Ritiene che la classe politica attuale sia scelta con criteri meritocratici? E se no quali pensa siano i criteri?
La politica italiana riflette il problema di fondo che permea tutte le organizzazioni italiane: è una società chiusa e non aperta. Una società bloccatadove vige il sistema delle cooptazioni, dei ruoli passati di padre in figlio, degli incarichi stabiliti per spartizione di area piuttosto che per capacità e competenze. A volte io stesso ho avuto a che fare con personaggi che non conoscevano niente della comunicazione politica, di quella sul web, anzi non avevano mai avuto a che fare con la comunicazione in generale. Erano seduti al mio stesso tavolo solo in rappresentanza di un’area o di una corrente.

La meritocrazia è un termine troppo spesso dimenticato o addirittura osteggiato dalla politica, soprattutto di sinistra.

I partiti dovrebbero aprirsi alle nuove generazioni. Del resto proprio organizzando il No Berlusconi Day ho incontrato ragazzi e ragazze attorno ai 30 anni concompetenza e professionalità da fare impallidire qualunque esperto dirigente di partito.

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Quali sono i suoi progetti futuri e come pensa di mettere a frutto l’esperienza politica di questi anni?

Continuare a sperimentarenuove forme di comunicazione politica è l’aspetto che mi affascina di più del mio lavoro. Del resto io non sono un funzionario di partito, preferisco definirmi un esponente della società civile “prestato” alla politica. Un piccolo artigiano della comunicazione web e della comunicazione politicache crede alla democrazia partecipata e che vede nella Rete un futuro intelligente. Mi piace confrontarmi con queste nuove generazioni che manifestano capacità organizzative assolutamente originali.

Lasciamo infine i contatti con gli organizzatori di questa manifestazione per chi volesse partecipare o approfondire il tema:

Uff. stampa:
comunicazione.noberlusconiday@gmail.com
+39327 49 50 633

http://www.noberlusconiday.org/