La relazione pericolosa del sindaco

Flavio_Delbono Flavio Delbono, dopo una resistenza che ai più era apparsa senza rete, è stato costretto dal suo partito a fare un passo indietro…

…sia pure con l’onore del beau geste. Lo scatto d’orgoglio che all’uscita dalla Procura sabato scorso gli aveva fatto dire “Non mi dimetto nemmeno in caso di rinvio a giudizio” era probabilmente dovuto a una mancanza di lucidità del sindaco dopo cinque ore di interrogatorio o più realisticamente ad un difetto di comunicazione con i piani alti del Pd.

Il partito che a Bologna mantiene ancora forte il suo radicamento fatto di sezioni e di circoli, che è dominante nell’intellighenzia dei salotti e dei pensatoi, che conta Prodi tra i protagonisti della vicenda, prima come sponsor di Delbono e ora come persuasore occulto del suo ritiro, alla fine ha deciso per la soluzione più sofferta ma allo stesso tempo più in linea con le aspettative della città.

Sarebbe stato difficile tenere in sella un amministratore sotto inchiesta a poche settimane dal voto regionale, che danno come strafavorito il già due volte governatore Vasco Errani, di cui Flavio Delbono, economista di scuola prodiana, proveniente dalle fila cattoliche del Pd, era braccio destro in Regione.

E pensare che, finito il quinquennio tormentato di Cofferati, nella Bologna dal rosso sbiadito ma sempre vivo, si attendeva una sindacatura tutto sommato scorrevole.

Dopo le primarie interne al partito vinte ma non stravinte, l’ex vicepresidente regionale ed ex assessore al Bilancio nella Giunta Vitali, aveva dovuto scrollarsi di dosso l’immagine di uomo dei numeri poco carismatico e per giunta lombardo come il suo predecessore, sebbene in città fosse nota la sua non lieve propensione per il gentile sesso, avendo già alle spalle due matrimoni e più d’una compagna con cui non era insolito vederlo in giro a braccetto.

Nella città in cui quasi tutti i sindaci che hanno governato dal dopoguerra in poi, tranne il mitico Dozza e Imbeni scomparso qualche anno fa, sono ancora in vita e partecipano attivamente al dibattito politico cittadino, godere dell’appoggio di uno di loro, Guido Fanti, per Delbono era stato decisivo nel presentarsi alla cittadinanza come l’erede della tradizione che ha conosciuto amministratori locali in grado di realizzare in Emilia l’alternativa che a livello nazionale non era immaginabile.

L’azzeccato slogan ecumenico “C’è Delbono a Bologna” aveva segnato una campagna elettorale dall’esito quasi scontato, nonostante il ricordo ancora vivo in città della “caduta del muro” del ’99, con gli eredi del Partito comunista sconfitti per la prima volta nella roccaforte rossa.

Del resto, il centrodestra cittadino si era presentato alle urne spaccato su due nomi, Alfredo Cazzola, l’ex patron del Motor Show e del Bologna Calcio, e Giorgio Guazzaloca, l’ex sindaco civico sponsorizzato dall’Udc casiniana, costringendo Delbono alla prova del secondo turno.

Gli unici veri fuochi d’artificio erano scoppiati a pochi giorni dal ballottaggio, quando Cazzola, in un incontro radiofonico con il suo avversario, tirò in ballo una presunta storia di favori e uso improprio di denaro pubblico da parte di Delbono, all’epoca del suo mandato regionale, lasciandolo spiazzato in diretta.

Le rivelazioni erano scaturite da una serie di incontri tra Cazzola e Cinzia Cracchi (foto), l’ex compagna di Delbono, costretta a lasciare il  suo posto da segretaria personale in Regione dopo la rottura della loro relazione durata sette anni. I dettagli ruotavano attorno alle missioni  di lavoro, ma anche di piacere, dei due amanti fatte a spese dei contribuenti dalla Bulgaria al Messico e all’uso fuori controllo di auto blu e  di una foresteria pubblica.

 

La mossa agli occhi dei bolognesi, tuttavia, sembrò esagerata, soprattutto per la tempistica ad orologeria, e alla fine si risolse in un  boomerang per lo stesso Cazzola che fu facilmente sconfitto al ballottaggio.

E siamo ai fatti delle ultime settimane in cui le galanterie del sindaco da chiacchiericcio da portico e da salotto che erano sono diventate  scandalo di portata nazionale, al cui interno trovano spazio sia la questione morale che quella sessuale, al pari del caso Marrazzo.

I palazzi e le piazze di Bologna si sono nuovamente riempite di cronisti e retroscenisti delle testate nazionali come negli anni in cui Cofferati sedeva sulla stessa poltrona. Con una differenza non da poco. Se fino a qualche anno fa l’accorrere in massa delle troupe era proporzionale al clamore scatenato dal Cinese – non certo immune al fascino delle donne – per le sue memorabili lotte con la sinistra comunista e movimentista, a partire dalle ordinanze sui lavavetri e contro l’uso dell’alcol fino agli sgomberi delle baracche dei rom sul Lungoreno, che gli valsero l’appellativo di Tex Willer, ora la città delle Due Torri è diventata teatro di tutta un’altra storia, a metà tra il gossip e il malcostume della casta italiana.

La signora Cracchi, d’altro canto, ci ha messo del suo per imporsi all’attenzione dei media, anche per la sua immagine: se nell’interrogatorio di giugno nessuno dei commentatori aveva potuto sorvolare sul fatto che costei era una bella donna, oltre che particolarmente elegante, negli ultimi giorni, manifestando le fragilità di donna abbandonata e mobbizzata, ha fatto sì che gli interrogativi sull’operato del sindaco siano diventati più insistenti. Infatti, come ulteriore elemento di indagine, ha aggiunto un bancomat intestato ad un socio in affari che Delbono le avrebbe fornito all’epoca dei fatti, bloccandolo a relazione conclusa, sul cui giro di contanti si addensano parecchi dubbi.

Ora che il sipario sul sindaco tombeur de femmes sta per calare, nell’impazzare di totocandidati a destra e a sinistra, non resta che ritornare al voto anticipato a meno di un anno. Con le ossa rotta. Per il Partito democratico, ma anche per la città che vede completamente infranto il muro che la isolava dal resto dell’Italia.