Sanatoria migranti 2012: dopo un anno i nuovi lavoratori erano già scomparsi

Per capire però quanto sia davvero efficace la nuova, può essere utile dare un’occhiata agli effetti dell’ultima sanatoria migranti

Mele
Sanatoria migranti 2012: dopo un anno i nuovi lavoratori erano già scomparsi

Uno dei motivi che ispirano la sanatoria dei migranti, è l’emersione del lavoro nero. Per capire però quanto sia davvero efficace, può essere utile dare un’occhiata agli effetti dell’ultima sanatoria.

Era il 2012 ma la congiuntura economica era piuttosto simile ad oggi. Allora c’era la crisi dei subprime, con l’Italia nella top ten dei paesi UE più colpiti. Oggi abbiamo la recessione alle porte e una disoccupazione destinata a salire oltre l’11,8%.

Il Governo Monti allora la intese come un necessario “ravvedimento operoso” che a fronte di un pagamento di 1000 euro permetteva ai datori di lavoro più indisciplinati di mettersi in regola. Anche oggi il meccanismo sul tavolo è lo stesso. E non è una buona cosa.

Sanatoria migranti: nel 2012, 100mila dipendeti sfuggono al Fondo Inps

Con la sanatoria del 2012 vengono regolarizzati 134.747 migranti extra UE, finalmente hanno permesso di soggiorno e regolare contratto di lavoro subordinato.

La cosa strana però è che per le casse dell’INPS l’entusiasmo dura poco, il tempo necessario a finalizzare l’istruttoria presso gli sportelli immigrazione delle Prefetture e il pagamento della prima rata contributiva con cui avviare la regolarizzazione dei dipendenti. Se infatti andiamo a guardare i dati dell’Osservatorio sui Lavori Domestici dell’INPS, dopo un iniziale boom di nuovi lavoratori regolari che fa salire il totale di colf e badanti da 897.558 a 1.008.540, nel giro di un anno il numero scende a 956.043 e poi a 906.643.

In pratica ci sono quasi 100.000 nuovi iscritti che dopo un anno spariscono insieme alle rate di pagamento dei contributi arretrati che confluiscono dritti dritti nei crediti inesigibili dell’INPS con buona pace dello Stato e dei contribuenti destinati a ripianare il danno.

Dove sono finiti i lavoratori domestici appena regolarizzati?

Che l’impatto della sanatoria sul lavoro dipendente sia praticamente nullo lo confermano anche i dati complessivi sui lavoratori dipendenti. Tra il 2012 e il 2014 non si nota nessun aumento, anzi, scartabellando i rapporti del Ministero del Lavoro, il numero addirittura diminuisce passando da 1.772.493 a 1.743.499.

Potrebbero essersi trasformati in lavoratori autonomi?

Ora, l’eventualità che un lavoratore finalmente regolarizzato diventi imprenditore da un giorno all’altro, appare piuttosto remota a meno che non lo fosse già prima e in tal caso si dovrebbe dedurre che non era un vero lavoratore sfruttato. Poiché però in quegli anni il numero dei lavoratori autonomi (299.706 nel 2012) aumenta di 20 mila unità nel 2013 e di altre 20.000 nel 2014, ammettiamo per assurdo che 4 su 10 abbiano cambiato abito. Ma gli altri 60.000, dove sono andati?

Un’altra possibilità – ma anche questa piuttosto difficile – è che una volta regolarizzati i migranti si siano improvvisamente resi contro che il lavoro subordinato non faceva per loro e siano emigrati all’estero.

Anche qui però i numeri sembrano confermare la scarsa veridicità dell’ipotesi: nel 2013 gli emigrati dall’Italia sono 126mila ma 2 su 3 sono italiani e gli extra comunitari solo 24.696 (Quinto Rapporto Annuale. I migranti nel mercato del Lavoro, 2015).

In quegli anni la popolazione straniera è in continua espansione e con un tasso medio del 7,8% in soli 8 anni. Tra il 2007 e il 2014 cresce di ben 2 milioni di unità. Nello stesso periodo aumenta anche la disoccupazione che raggiunge un tasso del 14% nel 2012 e del 17% due anni dopo. In questo scenario, si potrebbe immaginare che i dipendenti nuovi di zecca abbiano perso il lavoro.

Oppure c’è un’ultima possibilità che forse è anche quella drammaticamente più realistica. I lavoratori dipendenti si sono di nuovo immersi tra quelle file del nero da cui erano finalmente riemersi e hanno utilizzato la sanatoria unicamente al fine di portare a casa il permesso di soggiorno. Com’era peraltro già successo nel 2009, si scopre che il 32% dei presunti datori di lavoro non erano italiani, ma extracomunitari della nazionalità dei lavoratori. Non solo, dietro all’offerta di permessi di soggiorno si attiva un mercato di compravendite i cui oneri di intermediazione e di regolarizzazione vengono posti a carico degli immigrati richiedenti costretti a pagare dai 3 agli 8mila euro e finiti poi a vivere chissà come.

In campagna solo il 10% sono migranti irregolari

Anche a fronte delle migliori intenzioni, il permesso di soggiorno non è di per sé garanzia di un contratto regolare tantomeno in campagna visto che il 90% dei lavoratori detiene già un permesso di soggiorno.

Lo raccontano i dati dell’Ispettorato del Lavoro. Nel 2019, su 5340 lavoratori oggetto di violazioni e lavoro nero, i migranti senza documenti sono solo il 4%. Ammettiamo pure, com’è del tutto realistico immaginare, che il doppio o anche il triplo sia scappato a fronte dei controlli. In ogni caso non si arriva di certo ad un’inversione delle percentuali.

Nessuno sa esattamente quanti siano i migranti irregolari “clandestini” che gravitano attorno alle campagne ma anche chi conosce il territorio come l’Osservatorio Migranti Basilicata li quantifica in un 10% sul totale dei migranti. In ghetti come quello di Boreano il mercato è saturo e il grosso dei braccianti non lavora nei campi per più di 10 giorni al mese e gli irregolari che lavorano nei campi sono pochi. I più si arrangiano come possono con lavori di fortuna, dalla pulizia delle strade ad attività di supporto alla spesa degli anziani.

Il lavoro dei migranti “utile” perché sfruttato

Oggi la sanatoria viene riproposta citando “la tutela della salute individuale e collettiva” nonché “l’emersione di rapporti di lavoro irregolari”. Molti fautori del provvedimento fanno leva anche sulle esigenze del mercato del lavoro spiegando che imprese e famiglie non riescono a trovare italiani disponibili a fare certi lavori. Gli stessi spiegano che il sistema della nostra filiera alimentare proprio in questo periodo di pandemia “si è retto grazie al lavoro costante e continuo delle categorie più svantaggiate e sottopagate”.

Se ci sono intere categorie di lavoratori sfruttati e sottopagati non è certo perché manca il permesso di soggiorno altrimenti non ci sarebbero due stranieri regolari su tre poveri e di questi 1 milione e mezzo in condizioni di povertà assoluta.

L’offerta di manodopera regolare, soprattutto per i lavori meno qualificati, non manca. In questi anni, anche per effetto dei ricongiungimenti familiari che ormai rappresentano il 40% degli ingressi, l’incremento della popolazione straniera è stato costante e soprattutto per le persone in età di lavoro. In parallelo all’aumento dell’offerta di manodopera però, negli ultimi 10 anni, abbiamo assistito anche ad una contrazione dei salari reali calati addirittura del 4,3%.

Con 399 mila stranieri regolari disoccupati e 1milione e mezzo di inattivi, il problema sembra essere piuttosto la sempre maggiore difficoltà di trovare  salari sufficienti a vivere. Ne sanno qualcosa forse anche i 2,5 milioni di italiani in cerca di lavoro già in tempi pre-crisi, e forse anche quei 2,1 milioni di under 29 che né studiano né lavorano, specialmente al Sud che danno all’Italia il primato europeo di Neet.

È peraltro curioso notare che alcuni flebili segni di inversione delle tendenze negative sul reddito e sulla povertà degli immigrati, così come sulla disoccupazione di stranieri e italiani, si stavano registrando proprio in concomitanza dello stop del decreto flussi nel 2012 poi consolidato dal 2015. Forse una coincidenza ma è sicuramente un fatto conosciuto anche dagli esperti del settore che le quote previste per i lavoratori stagionali abbiano importato negli anni centinaia di migliaia di migranti che a fine stagione sono poi rimasti irregolarmente sul territorio italiano, senza lavoro e in diretta concorrenza con la popolazione straniera regolarmente presente.

In che modo, di fronte alle attuali condizioni economiche, con una disoccupazione destinata ad aumentare nel 2020, un’ulteriore offerta di manodopera non finirà per rappresentare un’eccedenza che penalizza ulteriormente i salari? In che modo, un aumento dell’offerta di nuovi lavoratori regolari potrebbe mai combattere il lavoro nero?

Non potrebbe piuttosto offrire ulteriore carburante al lavoro sommerso precarizzando ancora di più i migranti regolari che si trovano già costretti a convivere con lavori a breve termine proprio in quei in settori dove il lavoro sommerso è molto elevato? Contratti di 3 mesi in agricoltura se va bene, 25 ore settimanali nei lavori domestici dove è piuttosto irrealistico che una badante venga assunta per assistere un anziano solo 3 ore al giorno. Se il nero è legato all’insostenibilità dei costi da parte delle famiglie o degli agricoltori a loro volta vessati dall’industria di trasformazione, la risposta non è certo la sanatoria.

Il sindacato, FLAI CGIL in testa, si dice a favore della regolarizzazione. Ma se oggi mettiamo in regola 600mila migranti, siamo sicuri che domani saranno ancora visibili all’INPS? Il caso del 2012, con 100mila dipendenti confluiti nel giro di un anno tra le fila di disoccupati e/o lavoratori in nero, suggerisce di no.

Sicuramente i migranti irregolari meritano risposte ma non facciamo finta di credere che questo tipo di sanatorie non finisca per avvalorare una realtà che, per gli stranieri in primis, continua ad essere  di precarietà e sfruttamento. Ma forse è proprio così che lo vogliamo il lavoro dei migranti, altrimenti non servirebbe.

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