Sinistra ecologia e libertà: il primo congresso nazionale

sel Vendola

Dal 22 al 24 ottobre si è svolto al Saschall di Firenze il primo congresso fondativo di Sinistra ecologia e libertà.

Attraverso questo appuntamento, il movimento (di cui fanno parte ex Ds, ex Prc, ex Verdi, ed alcuni ex Pdci) si è definitivamente trasformato in partito.
Un partito, come si può leggere nel manifesto fondativo, i cui principi fondamentali sono “la pace, la non violenza, il lavoro, la giustizia sociale, il sapere, e la riconversione ecologica dell’economia e della società”.

“Riaprire la partita” è stato lo slogan scelto per la manifestazione, articolata in tre giorni, e che poteva contare sulla presenza di 1.400 delegati (di cui il 40% donne) eletti su una base di circa 43mila iscritti. In discussione vi era un unico documento congressuale (“Manifesto per Sel”) non emendabile, ed al quale non era possibile proporre mozioni alternative. Termometro Politico era presente all’appuntamento, e vi propone una descrizione di quanto accaduto.

 

Il congresso si apre con il saluto del sindaco di Firenze Matteo Renzi, al quale segue la relazione introduttiva di Nichi Vendola, leader e portavoce della nascente forza politica. Per il discorso del presidente pugliese c’è grande attesa, e ad ascoltarlo in platea vi sono le rappresentanze politiche di tutti i partiti con i quali Sel può potenzialmente stringere alleanze: Carra per l’Udc; Anna Finocchiaro per il Pd; Salvi, Diliberto e Ferrero per la Federazione della Sinistra. In prima fila vi è inoltre Fausto Bertinotti, da molti considerato il “padre nobile” del partito e primo consigliere di Vendola. Non manca neanche Marco Ferrando, attuale leader del Pcl ed ex compagno di partito proprio del presidente pugliese. Spiccano invece due assenze di peso come quella di Bersani e quella di Antonio Di Pietro.

 

Vendola parla “a braccio” per un’ora e mezza, ed il suo intervento sembra prefigurare la piattaforma programmatica con la quale egli intende presentarsi alle (eventuali) primarie di coalizione per la carica di candidato dell’intero centro-sinistra. In apertura precisa subito che la sinistra che ha in mente deve essere una sinistra che non ha paura di perdere, che “deve contrastare la vocazione minoritaria” e che la smetta di compiacersi di “perdere bene tutte le battaglie”. Questo perché a suo modo di vedere la “sinistra per la paura di perdere si è persa, si è smarrita”. Egli, in sostanza, reputa superato lo schema di una sinistra radicale che si allea con i moderati per condizionarne l’operato. Il suo progetto risulta essere più ambizioso: ricostruire l’intero centro-sinistra su una piattaforma programmatica nuova che non eluda i principali nodi come la difesa del posto di lavoro, del reddito, della scuola pubblica e della cultura, intesa come mezzo per accrescere la conoscenza e quindi come “conditio sine qua non” per rendere gli uomini liberi. Si tratta dunque di conciliare “sinistra” e “vocazione maggioritaria”. Un’idea ambiziosa, ma certo di non facile realizzazione.

 

Il lavoro è comunque il tasto sul quale Vendola spinge di più e dal quale ritiene necessario ripartire per costruire l’alternativa al berlusconismo. Dal suo punto di vista le battaglie di Melfi e Pomigliano non rappresentano dei casi isolati ma piuttosto rappresentano “i cartelli stradali necessari per capovolgere la destra in Italia”. È da qui che a suo modo di vedere occorre imprescindibilmente ripartire.

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Per ciò che concerne la politica delle alleanze viene confermata “la necessità di parlare con tutti gli attori del centro-sinistra”, e viene confermata anche la possibilità di stringere accordi con il centro. Per Vendola, però, allearsi con il centro non significa mirare ad un “alleanzismo politicista”, ma piuttosto significa interloquire con le persone del “Family day” andando a chiedere loro “se sono mai state così povere come con le politiche di Berlusconi e Tremonti”. Significa anche andare a parlare con il popolo delle partite Iva che non trovano lavoro, ed a verificare le condizioni delle piccole e medie imprese del Nord-est “facendogli capire che non sono mai state male come adesso”. Insomma l’idea è quella di un partito che non deve essere “interclassista” ma neanche “settario” e incapace di rivolgersi alla maggioranza del paese.

 

Per ognuno dei potenziali alleati, però, Vendola ha alcune questioni da porre. Al Pd, per esempio, ricorda che per sconfiggere la Lega “non si può fare come la Lega”. Occorre piuttosto essere “in grado di coniugare territorio e cosmopolitismo”, “locus e globus”. Sempre rivolgendosi al Partito Democratico, il presidente pugliese fa notare che le idee di sinistra non possono essere considerate come un impedimento a vincere, ma devono essere piuttosto la chiave dalla quale ripartire. All’Idv invece si fa notare che la battaglia per la legalità è fondamentale, a condizione però che si tenga presente il rischio “legato ad un certo plebeismo giustizialista che ha coltivato ed arato il terreno di egemonie culturali a destra”. Per ciò che concerne la Federazione della Sinistra, l’invito a riprendersi a parlare è esplicito (“non ci sono più risentimenti ma solo sentimenti”), anche se Vendola sembra riferirsi proprio ai “compagni comunisti” quando sostiene con fermezza che la sinistra deve essere considerata come “la salvezza di un paese”, il “destino di un continente” e non “una rendita di posizione” o “una nicchia ideologica”.

 

Al termine della relazione, si susseguono nella stessa giornata numerosi interventi tra i quali quelli di Fulvia Bandoli, Paolo Cento, Elettra Deiana, Umberto Guidoni, Fabio Mussi, Gennaro Migliore e Giuliana Sgrena. Grandi applausi arrivano quando a prendere la parola è il delegato Fiom (oltre che delegato di Sel) Giovanni Barozzino, uno dei tre operai che la Fiat di Melfi aveva licenziato e che è stato successivamente reintegrato dal giudice del lavoro. La maggior parte di questi interventi si concentra sul tema del partito, e da essi si evince anche una certa spaccatura tra chi vorrebbe che Sel diventasse un vero partito strutturato e chi invece intende esso soltanto come un soggetto transitorio, che debba poi “sciogliersi” in un futuro partito unico della sinistra. E questo aspetto è proprio quello sul quale insisterà Franco Giordano nel suo intervento del giorno successivo.

 

La seconda giornata, si apre invece, con due ospiti di peso come Guglielmo Epifani e Maurizio Landini (segretario Fiom ed anche delegato di Sel). Entrambi vengono accolti da molti applausi, e tra i due segretari e la platea congressuale sembra esserci una reciproca intesa che fa ben sperare i militanti in vista delle eventuali primarie di coalizione. La speranza è che una parte della Cgil – ed in particolare la Fiom – possa schierarsi con la candidatura di Nichi Vendola. Nel pomeriggio, arriva anche il momento di Claudio Fava, il cui intervento batte ancora sul tasto del contrasto al “minoritarismo”: “Alle persone che scioperano, agli operai di Pomigliano, non possiamo soltanto dire che siamo solidali con loro. Dobbiamo dirgli che vogliamo vincere per modificare la loro condizione e per cambiare questo Paese, per far sì cioè che queste situazioni non si verifichino più”.

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La chiusura, nel terzo ed ultimo giorno del congresso, è ancora affidata a Vendola, il cui intervento è preceduto dall’appassionata relazione dell’ex leader del “correntone” Ds, Fabio Mussi. Quest’ultimo rivendica la scelta di non aver aderito al Partito Democratico perché convinto che la cancellazione della parola sinistra dal panorama politico italiano non può essere accettata. Dal suo punto di vista la fuoriuscita dal Novecento non può e non deve significare un ritorno all’Ottocento. Per Mussi il nuovo programma del centro-sinistra non può che essere incentrato su alcune tematiche chiave come il ripudio della guerra, il no al nucleare, la centralità del lavoro e della conoscenza, la scuola pubblica e l’acqua intesa come bene pubblico. E ben sapendo che su tali questioni non vi può essere l’unanime convergenza, indica l’unica via sulla quale è necessario puntare: le primarie, che nel caso di vittoria di Vendola porterebbero a quel necessario “Big bang” capace di rendere possibile “il passaggio dal seme all’albero senza passare per i cespugli e gli arbusti” (il riferimento è all’Ulivo e alle conseguenti dispute coalizionali).

 

Nelle conclusioni Vendola riprende in mano il discorso che aveva iniziato aprendo il congresso. E lo fa con toni più bassi, anche se non nei contenuti. Parla della presenza di un’Italia migliore, che ha condiviso e condivide il dolore del mondo (come nell’esperienza dei minatori cileni) ma che attualmente non ha una voce politica. Parla poi di religione, e lo inizia a fare – spiazzando anche un po’ il pubblico – citando Aldo Moro, che a suo modo di vedere avrebbe considerato la manifestazione del 16 ottobre della Fiom come una risorsa per il futuro, proprio come fece con il movimento del ’68. Una personalità – sostiene Vendola – che, a differenza della classe politica attuale, aveva la capacità di saper interpretare la realtà anche quando i fenomeni sociali erano da lui lontani politicamente.

 

Il leader pugliese mette poi in guardia da un certo anticlericalismo presente spesso anche a sinistra, rimarcando la necessità del dialogo. Alla gente del “Family day”, ancora, egli vorrebbe domandare se a ferirli sia stato “più l’amore gay o l’impoverimento prodotto dal liberismo”. Il dialogo con il centro, dunque, dal suo punto di vista non può che concentrarsi sulle tematiche di fondo che stanno alla base dell’azione politica e non sulla semplice questione delle alleanze. Rivendicando la sua fede religiosa, Nichi Vendola sostiene che per lui essere cattolico ha sempre significato “dar da bere agli assetati e dar da mangiare agli affamati” e non “utilizzare l’acquasantiera come mezzo di propaganda elettorale”. Ad affascinarlo della storia cristiana è sempre stata l’annunciazione di un regno che non avviene “attraverso i segni del potere” ma al contrario attraverso “il potere dei segni” (il simbolo del Cristo in croce, con i chiodi e la corona di spine). Infine riferendosi alle polemiche che hanno investito la stesura della costituzione europea afferma che “c’è gente che pur di difendere le radici cristiane dell’Europa farebbe stermini”.

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Vendola ritorna poi sui temi del lavoro, della cultura, e sull’importanza di pensare ad un nuovo modello di welfare. Da ripensarsi proprio alla luce dei mutamenti ecologici, della rivoluzione femminista, e a partire dai bisogni dei disabili. Sul versante politico, invece, si dichiara favorevole ad un governo tecnico purché esso non consideri come “tecniche” anche le riforme economiche. Esso dovrebbe limitarsi esclusivamente al cambio della legge elettorale incapace, a suo modo di vedere, di garantire sia la governabilità che il pluralismo.

 

In conclusione Vendola, dopo aver declinato il significato di ognuna delle tre parole che compongono il nome del nascente partito (sinistra, ecologia, libertà), cita Rosa Luxemburg e Aldo Moro per ripensare il rapporto tra vita e stato. E lo fa criticando implicitamente la concezione che ha ispirato sia l’azione politica del Pci che quella della Dc, i quali, specialmente nel periodo del “caso moro”, hanno dimostrato come in casi eccezionali la ragione di stato potesse essere superiore a quella della vita umana. La convinzione del presidente pugliese è invece opposta, tale da considerare la vita umana come un “valore assoluto” e indisponibile. Da qui il collegamento finale con la “non violenza” considerata come “la forma più vigile di critica del potere” e che entra a pieno titolo nel patrimonio del nuovo partito. Alla fine del discorso è il momento dell’acclamazione, che avviene sulle note di “Bella ciao” (nella versione dei Modena City Ramblers) e su “La Cura” di Franco Battiato.

 

Formalmente, dunque, il congresso si chiude con la nomina di Nichi Vendola alla presidenza del partito e con l’elezione dell’assemblea nazionale composta da 250 membri, di cui 235 sono espressione delle delegazioni regionali proprio con l’obiettivo di rafforzare il rapporto tra l’ambito locale e quello nazionale.