Dal lodo Schifani al lodo Alfano “costituzionale” – 2

lodo alfano

(Qui la prima parte)

Si arriva così ad oggi ed al tentativo di far passare i contenuti del lodo Alfano attraverso la via prevista dall’art. 138 della Costituzione, ovvero attraverso l’approvazione di una legge di rango costituzionale, così da accogliere parte dei rilievi di incostituzionalità evidenziati dalla Consulta nella sua ultima decisione.

Si tratta di un terzo “lodo”, il c.d. Alfano bis, abbastanza diverso dai precedenti: un testo costruito specificatamente con l’intento di superare le obiezioni con cui la Corte ha di fatto bocciato i due precedenti lodi e il cui giudizio, anche questa volta, non può non essere “influenzato” dall’eventuale congelamento dei processi che vedono imputato Berlusconi (dibattimenti Mills, Mediaset, Mediatrade) che esso comporterebbe. Inoltre, il lodo Alfano bis si materializza nell’aprile di quest’anno, ovvero dopo quasi un mese dall’approvazione della cosiddetta “legge ponte” sul “legittimo impedimento”, nel frattempo già oggetto di un ricorso presentato alla Consulta da parte del Tribunale di Milano.

Nel merito del provvedimento, il testo dell’art. 1 del c.d. lodo Alfano bis concentra le novità e le differenze tra questo lodo ed i precedenti. Anzitutto esso blocca i magistrati sulla soglia del rinvio a giudizio, costringendoli a chiedere “immediatamente” il via libera di Camera o Senato per processare il Capo dello Stato ed il Presidente del Consiglio, imputati di reati comuni. Il lodo Alfano bis non prevede più quindi l’estensione dello scudo ai ministri, previsione contenuta nella legge sul “legittimo impedimento”, e conferma l’esclusione, invece, dei Presidenti di Camera e Senato (per evitare disparità di trattamento con gli altri parlamentari) e Corte costituzionale (già fuori fin dal primo lodo Alfano). Contro l’automatismo della vecchia sospensione, censurato dalla Corte costituzionale, si prevede poi il vaglio del Parlamento che dovrà decidere la gravità del reato commesso “entro 90 giorni dalla comunicazione”, durante i quali il procedimento si ferma, ed eventualmente negare lo stop: di conseguenza, viene meno anche la questione della rinunciabilità dello scudo. Inoltre, nel caso in cui l’assemblea parlamentare decida per la sospensione del processo, lo stop dura “per tutta la durata della carica o della funzione” e, in tale senso, una facile obiezione viene superata prevedendo il congelamento dei termini di prescrizione da un lato, e che il giudice possa, “ove ne ricorrano i presupposti”, assumere le prove urgenti “non rinviabili”. Come nel lodo Alfano poi, la parte civile potrà trasferire l’azione in sede civile e avrà una corsia privilegiata: si accelera infatti il giudizio civile, per il quale non solo i tempi “sono ridotti della metà”, ma “il giudice fissa l’ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all’ azione trasferita”. Per finire, si prevede che il provvedimento avrà effetto immediato, ovvero dal giorno successivo a quello di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e, in quel momento, salvo sorprese della Corte costituzionale, saranno probabilmente già fermi, per via del legittimo impedimento, i dibattimenti Mills, Mediaset, Mediatrade.

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Ad ogni modo, si impone la necessità di svolgere una riflessione seria sulla disciplina che, per via costituzionale, vuole introdursi nel nostro ordinamento. Ebbene, il lodo Alfano bis, introducendo la sospensione di ogni tipo di procedimento penale a carico del Presidente del Consiglio per tutta la durata del suo mandato, costituisce un unicum nel panorama legislativo europeo, in cui l’immunità è prevista in genere solo per i parlamentari e comunque limitatamente all’esercizio delle loro funzioni: i rappresentanti dell’esecutivo non godono di nessuna agevolazione in questo senso. Inoltre, in alcuni paesi l’immunità per ogni tipo di procedimento è garantita ai Capi di Stato (Grecia, Portogallo, Francia) o ai reali, ma mai alle cariche governative, come è stato evidenziato dall’Associazione italiana dei costituzionalisti a proposito del lodo. L’unica eccezione riguarda la Francia, in quanto Repubblica semi-presidenziale ove il potere esecutivo è presieduto in compartecipazione tra il Presidente della Repubblica, che gode dell’immunità in quanto tale, e il Primo Ministro, al quale invece non è riconosciuto simile status giuridico.

 

Come pure sottolineato dal professor Giorgio Rebuffa, costituzionalista che fu berlusconiano della stagione c.d. “dei professori” di Forza Italia, il Presidente della Repubblica è un organo costituzionale monocratico, non “attivo” nella forma di governo parlamentare e perciò nettamente distinto nella sua ratio a livello istituzionale dal Presidente del Consiglio, organo politico, espressione di un potere “esecutivo attivo” e, pertanto, necessariamente responsabile di fronte al Parlamento. Si tratta, in sostanza, di equiparare organi tra loro diversissimi: l’uno di garanzia, potere neutro per eccellenza, l’altro di maggioranza, potere politico nella sua definizione più scontata. È quindi in tale senso che pare doversi intendere la lettera del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, indirizzata al senatore Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, e inviata per conoscenza anche al presidente del Senato e al presidente della Camera, nella quale il Presidente della Repubblica esprime “profonde perplessità” sulla norma che prevede “la sospensione dei processi penali anche per il presidente della Repubblica”, norma che, sottolinea, “non era del resto contenuta nella legge Alfano da me promulgata il 23 luglio 2008”.

 

Sul punto discusso relativo alla retroattività, c’è da dire che, sebbene l’istituto dell’immunità possa sempre dare adito a grandi discussioni, se questo deve essere reintrodotto, allora sarà necessario disciplinare la sua applicazione per qualunque reato e processo, proprio come era prima della riforma del 1993 la quale, non a caso, segna uno dei passaggi più decisivi dalla Prima alla Seconda Repubblica. Dunque, come sottolineato pure da esponenti di Futuro e libertà, quello della retroattività pare essere un falso problema, mentre il vero problema sarebbe la reiterabilità dello scudo, ovvero il fatto che un soggetto possa avvalersi dello scudo più di una volta, anche in caso di elezione ad “alte cariche” diverse tra loro (si pensi all’attuale Presidente del Consiglio e ad una sua possibili elezione al Colle), che comporterebbe di conseguenza il grave rischio di una giustizia disattesa. La questione si pone dal momento che nel lodo Alfano bis non è espressamente specificato, ma neppure escluso, che lo scudo possa valere più di una volta, qualora la stessa persona assuma cariche differenti. Il punto allora non è l’evidente natura di legge ad personam laddove si alzano voci contro la reiterabilità dell’istituto in oggetto, quanto piuttosto il non incorrere “costituzionalmente” nel reato di denegata giustizia da un lato, e il non confondere funzioni e ruoli che, nella forma di governo parlamentare, devono godere di distinte garanzie nello svolgimento delle loro funzioni.

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Altri ancora sono le riflessioni che si possono svolgere in merito alle conseguenze che, sul piano costituzionale e della forma di governo, il lodo Alfano bis può comportare. Anzitutto, la paventata esclusione del  Capo dello Stato dal progetto di lodo, chiesta in sostanza dallo stesso Presidente della Repubblica con la lettera di cui sopra, pare rendere palese la finalità della modifica costituzionale proposta. Non uno scudo per le alte cariche dello Stato a garanzia del sereno svolgimento delle funzioni cui esse sono preposte, quanto piuttosto una norma di natura personale che riguarda le specifiche vicende processuali di un singolo esponente politico: l’attuale Presidente del Consiglio. Ciò si rende evidente anche volgendo lo sguardo verso la lunga catena di lodi salva Berlusconi: nel lodo Schifani (primo tentativo di scudo)  si faceva riferimento a cinque più alte cariche dello Stato, nel lodo Alfano (secondo tentativo) si elimina il riferimento al Presidente della Corte costituzionale ed infine, nel lodo Alfano “costituzionalizzato” (terzo tentativo), escono di scena i due Presidenti delle Camere. Dunque, oggi ci si trova di fronte ad uno scudo per due, Capo dello Stato e Presidente del Consiglio: il primo si chiama fuori ed il secondo rimane solo e unico protagonista della legge in questione, vera ragione di tanto lavoro parlamentare da sette anni a questa parte.

 

È inoltre importante rilevare come il lodo Alfano bis possa avere conseguenze politiche poco prevedibili in merito alla forma di governo, se si considera l’eliminazione del riferimento ai ministri nell’applicazione dello scudo per le alte cariche dello stato. Inizialmente, infatti, i ministri erano stati inclusi come soggetti beneficiari dello scudo in virtù, ha sostenuto il relatore Carlo Vizzini, presidente della Commissione Affari costituzionali, dalla stessa sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 2009 sul lodo Alfano prima versione. Quella pronuncia bocciava la tesi sostenuta dall’ex avvocato di Berlusconi, l’onorevole Gaetano Pecorella, secondo il quale il Presidente del Consiglio “non sarebbe sullo stesso piano dei ministri” perché la Costituzione e le leggi “gli attribuiscono espressamente rilevantissimi poteri-doveri politici, di cui è il solo responsabile”, come dimostrerebbe anche la legge elettorale vigente là dove “collega – diceva Pecorella – l’apparentamento dei partiti politici a un soggetto che si candida espressamente per esercitare le funzioni di Presidente del Consiglio”. La Consulta ribadiva infatti che, pur con le “significative differenze” esistenti tra Presidente del Consiglio e ministri, nel sistema costituzionale “non è configurabile una preminenzadel primo, chericopre una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares”. Quanto alle argomentazioni addotte con riferimento alla legge elettorale dall’onorevole Pecorella, la Corte ha poi osservato che, trattandosi di una legge “di rango ordinario, non è idonea a modificare la posizione costituzionale del Presidente del Consiglio”.

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Nonostante ciò, alla fine dello scorso settembre, l’ipotesi di applicazione del lodo anche ai ministri è stata eliminata sulla base di due ordini di ragioni: l’una politica, relativa alla volontà di tutti i gruppi parlamentari di ridurre al massimo l’ombrello dello scudo, l’altra tecnica, relativa alla capacità del lodo Alfano bis, in quanto disegno di legge avente natura costituzionale, di modificare esso stesso la Carta costituzionale e, quindi, la concezione di un Governo formato da ministri e Presidente del Consiglio in posizione pariordinata tra loro. Quindi, sebbene da decenni il dettato costituzionale abbia previsto una figura di Presidente del Consiglio quale primus inter pares, il Parlamento intende, in qualità di legislatore costituzionale, attribuirgli un rilievo “superiore” e quindi riconoscergli uno scudo processuale “rinforzato” per svolgere serenamente le sue funzioni.

Gli effetti politici di questa evoluzione del sistema costituzionale sono quindi imprevedibili. Se da un lato non convince l’equiparazione di organi tra loro distinti posta alla base del lodo Alfano bis, ovvero fra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio, dall’altro ancor più preme riflettere sull’opportunità di attribuire al secondo un ruolo speciale che implicitamente includerebbe il riconoscimento della tesi di Pecorella: la legittimazione di Berlusconi come capo della coalizione eletto dal popolo e conseguente impossibilità di governi tecnici guidati da chi non abbia avuto una legittimazione popolare. In conclusione, il lodo Alfano bis, nella sua forma “allargata” al Capo dello Stato e “ristretta” al Presidnete del Consiglio, potrebbe diventare anche il primo segnale costituzionale di un cambiamento della forma di governo in senso presidenziale.