Tomislav Nikolic presidente della Serbia – Il Paese guarda al passato

Tomislav “Toma” Nikolić è il nuovo presidente della Serbia, il ballottaggio di ieri lo ha visto trionfare sul presidente uscente Boris Tadic. Per analisti e sondaggisti si tratta di un risultato a sorpresa, per i pessimisti era nelle attese. La Serbia, che certo negli ultimi vent’anni ha fatto passi in avanti sulla via della democrazia, resta un Paese ripiegato su sé stesso e in un contesto di grave crisi economica le retoriche nazionaliste hanno certo più presa di quelle europeiste (e sì che era un europeismo di convenienza) di Tadic. Ma chi è il nuovo presidente serbo?

Negli anni ’90 fondò il partito radicale ultranazionalista con Vojislav Seselj, quest’ultimo è da nove anni sotto custodia del tribunale dell’Aja per crimini di guerra nella ex Jugoslavia. E fu proprio Seselj – nel delirio nazionalista di quegli anni oscuri – a nominare “vojvoda” il vecchio “Toma”: duce dei cetnici, capitano di battaglia. Nikolić nel ’99 era vice primo ministro di Slobodan Milosevic. Erano gli anni della guerra in Kosovo. Quel Kosovo al quale Nikolić ha dichiarato che non rinuncerà. Parole da campagna elettorale, buone a rinfocolare gli animi di un Paese depresso, ma la Serbia sul Kosovo non ha scelta: non solo perché è nazione sconfitta ma anche perché proprio in Kosovo c’è la base americana più grande d’Europa con qualche migliaio di soldati Nato a presidio.

Nel 2008, in tempi dunque piuttosto recenti, ruppe con il partito radicale di Seselj. Ora, si può credere a due cose: Nikolic è un politico sincero, ha capito (seppure in ritardo) che il nazionalismo non era la strada buona per il Paese, è si è convertito alla moderazione diventando (lui che propose una lega dei Paesi ortodossi con a capo la Russia) un europeista. Oppure è un opportunista, ha visto che l’ultranazionalismo era impresentabile e si è “rinnovato” restando però l’uomo di sempre. Un altro che – dicono – si sia rinnovato è Ivica Dačić, già portavoce di Slobodan Milosevic, ora in pole position per la poltrona di primo ministro.

La Serbia si troverebbe con quello che fu il vice di “Sloba” come presidente e con quello che fu il portavoce di “Sloba” come premier. Un ritorno a Milosevic? Certo è un’iperbole, ma la Serbia ha scelto di chiudersi in sé stessa guardando al passato, come sempre ha fatto nei momenti di crisi. Che ne uscirà? Dipenderà anche da come vanno le cose nel vecchio continente, già traballante e incapace di pensare al futuro con politiche di ampio respiro, preso com’è a evitare il crollo. Quanto accadrà in Europa non potrà che influenzare un Paese sensibile come la Serbia dove, però, la classe dirigente è però troppo legata al passato. Finché i vari Dačić, Koštunica, Nikolić non verranno fisicamente rimossi dalle posizioni d’influenza da cui operano, per la Serbia non c’è e non potrà esserci un futuro che sia diverso da un “rinnovamento” del passato.

Da EastJournal

di Matteo Zola