La cattedra e il crocifisso

La cattedra e il crocifisso

 

La decisione della Corte di Strasburgo sull’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche ha suscitato molte polemiche. Ma che cosa ha stabilito esattamente la Corte? E quali saranno le conseguenze per l’Italia?

 

La Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha condannato la Repubblica italiana al pagamento di cinquemila euro, per danni morali, ad una cittadina che aveva chiesto la rimozione del crocifisso dall’aula della scuola statale frequentata dai figli.

Lo scandalo suscitato dalla sentenza ed il tono delle reazioni suggeriscono di fare un po’ di chiarezza.
Innanzitutto, l’Unione Europea, che a detta del Presidente del Consiglio “con questa sentenza inaccettabile sconfessa le sue radici cristiane”, è innocente. Né si capisce chi siano “i giudici UE” che “bevono troppo” di cui scrive oggi (4/11) Il Giornale.
La Corte di Strasburgo è organo del Consiglio d’Europa, un’istituzione sovranazionale che riunisce oltre 40 Paesi, tra i quali l’Italia. Il suo compito è quello di garantire il rispetto, da parte degli Stati membri, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, in vigore da cinquantasei anni.
Il caso oggi alla ribalta riguarda, ma solo indirettamente, l’obbligo di esporre il crocifisso in tutti gli uffici pubblici, compresi i tribunali e le aule scolastiche, previsto fin dal 1924 (art.118, R.D. n. 965 del 1924 e art. 119, R.D. n. 1297/1928). Infatti, la coppia italiana ha adito la Corte di Strasburgo a seguito del rifiuto, da parte della scuola frequentata dai figli, di rimuovere il crocifisso dalla loro aula. Dettaglio, questo, non di poco conto, perchè circoscrive la questione ad un ambito specifico.

Ma ripercorriamo la vicenda fin dall’inizio. Nel 2002, durante una riunione tra insegnanti e genitori, i signori Lautsi (il cognome è finlandese) avevano lamentato che la presenza del crocifisso nelle aule di un istituto statale, oltre ad essere – a loro avviso – incomprensibile in uno Stato laico, turbava i due bambini, che i genitori intendono educare in modo rigidamente aconfessionale. Pochi giorni più tardi, la direzione scolastica respingeva la richiesta formale di rimuovere il crocifisso.
I Lautsi ricorrevano allora al T.A.R. del Veneto, provocando l’intervento del Ministero che, oltre a costituirsi in giudizio, emanava una circolare diretta a tutti i dirigenti scolastici, nella quale si “raccomandava” di esporre i crocifissi, rammentando l’obbligo di legge (spesso ignorato, come sa bene chi frequenta le scuole italiane).

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Il Tribunale, alle prese con la classica “patata bollente”, chiedeva alla Corte Costituzionale di esprimersi sulla compatibilità delle norme che prevedono l’esposizione del crocifisso con la Costituzione. La Consulta, non particolarmente desiderosa di pronunciarsi sul punto, dichiarava “manifestamente inammissibile” la questione. Queste le motivazioni: l’obbligo di esporre il crocifisso deriverebbe non da norme di legge, ma da disposizioni aventi valore di regolamenti governativi, sulla cui legittimità può pronunciarsi anche l’ultimo dei Giudici di Pace, ma non la Corte Costituzionale. Un approfondimento sarebbe interessante, ma basti dire che la patata bollente veniva così abilmente restituita al giudice amministrativo, senza costringere la Corte a decidere alcunchè.
Rassegnati, loro malgrado, a dover “rendere giustizia”, il T.A.R., prima, e il Consiglio di Stato poi, respingevano il ricorso, affermando che il crocifisso, pur essendo simbolo religioso, sarebbe altresì un simbolo dell’identità nazionale italiana, capace di rappresentare valori “repubblicani” quali la tolleranza e la laicità dello Stato (sic). Su questo argomento insisterà l’Italia anche davanti alla Corte di Strasburgo, ed è pertanto opportuno sottolinearlo.
Esauriti tutti i gradi del giudizio nazionale, i coniugi Lautsi si rivolgono quindi alla Corte Europea. A loro dire, infatti, l’esposizione del crocifisso violerebbe alcune disposizioni della Convenzione ratificata dall’Italia, e di uno dei protocollo aggiuntivi alla stessa.
Una, in particolare, la norma invocata:
«Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche» (art. 2 del I° Protocollo addizionale).
Tutti i genitori hanno il diritto di educare e far educare i loro figli secondo le proprie convinzioni religiose. Lo Stato deve rispettare tale diritto.

La domanda a cui la Corte ha dovuto rispondere era quindi se l’esposizione del crocifisso in un aula scolastica ledesse tale diritto dei genitori, oltre che la libertà dei bambini di scegliere se essere o meno credenti. Tutte le considerazioni sulla natura di simbolo religioso, o nazionale, o religioso ma anche laico, del crocifisso, passano quindi in secondo piano, e sono considerate dai giudici europei solo nella misura indispensabile a decidere la questione.
La condanna dello Stato italiano è basata sulle seguenti argomentazioni.

Per ottemperare alla Convenzione e al Protocollo, ogni Stato membro deve “astenersi dall’imporre, anche indirettamente, un credo religioso nei luoghi dove le persone sono alle sue dipendenze (“sont dépendantes de lui”) o ancora nelle circostanze in cui sono particolarmente vulnerabili”. I bambini, per la loro giovane età, “sono privi della capacità critica che consentirebbe loro di prendere le distanze dai simboli che manifestano una preferenza dello Stato per un particolare credo religioso (“prendre distance par rapport au message découlant d’un choix préférentiel manifesté par l’Etat en matière religieuse”). Il crocifisso è simbolo che ha certamente molti significati, ma quello religioso è da ritenersi prevalente. La presenza del crocifisso può essere interpretata dagli scolari come un simbolo religioso, ed essi possono percepire di essere educati in un ambiente contrassegnato da una religione  di Stato. Ciò può essere d’incoraggiamento per gli allievi credenti, ma può turbare coloro che professano un’altra religione o non ne professano alcuna. In conclusione, “la Corte ritiene che l’esposizione obbligatoria del simbolo di una confessione religiosa nell’esercizio di una funzione pubblica, e in particolare nelle aule scolastiche, restringa il diritto dei genitori di educare i loro figli secondo le proprie convinzioni (art. 2 Protocollo addizionale) nonché il diritto degli scolari di decidere se essere o meno credenti (art.9 Convenzione)”.

All’indomani della pubblicazione della sentenza, il Governo italiano ha annunciato un immediato ricorso. La Convenzione prevede che, contro le sentenze della Corte, sia possibile ricorrere alla Corte stessa, ma in una diversa composizione, comprendente diciassette giudici (la “Grande Camera”).

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Se la sentenza sarà confermata, l’Italia dovrà pagare il risarcimento disposto a favore dei ricorrenti, e sarà tenuta ad “ottemperare” alla decisione. Con quali conseguenze, è difficile prevederlo. Da un punto di vista strettamente giuridico, l’Italia avrebbe l’obbligo di rimuovere le disposizioni che impongono l’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche. Ma è appena il caso di ricordare che altri Paesi membri, come la Russia, sono continuamente condannati per gravissime violazioni dei diritti umani, e non mutano di una virgola la loro condotta.

Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, un organo politico, avrà l’obbligo di “vigilare” sull’esecuzione della sentenza, ma non avrà alcuno strumento per imporre all’Italia di abrogare le sue leggi.

Ciò che il Governo italiano teme di più, probabilmente, è che un numero sempre maggiore di cittadini chieda un risarcimento danni per non aver ottenuto la rimozione dei crocifissi dalle aule scolastiche. Il numero dei potenziali ricorrenti è enorme, il rischio elevato, ma non gravissimo.

Infatti, i ricorrenti dovranno sostenere i costi (e i tempi) del giudizio presso i tribunali italiani. Esauriti tutti i gradi, potranno rivolgersi alla Corte, che condannerà lo Stato (visto il precedente, con parsimonia) a rimborsarli delle spese legali sostenute e ad un piccolo risarcimento per danni morali. E’ ragionevole supporre che l’Italia deciderà di pagare, piuttosto che mettere in discussione la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche, considerata “innocua” sia dall’attuale maggioranza che dall’ opposizione.

Un aneddoto aiuterà a comprendere perchè è presumibile che i difensori del crocifisso a scuola l’avranno vinta.
Dopo migliaia di condanne della Corte Europea per l’eccessiva durata dei processi, l’Italia ha introdotto un meccanismo interno (la famosa “legge Pinto”) per accordare un risarcimento a chi attende anni per una sentenza. Ha preferito sostenere il costo di migliaia di risarcimenti che intervenire sulla macchina della giustizia.

Secondo alcuni, lo ha fatto per pigrizia. Secondo altri, per risparmiare.