Le ragioni di Fassina e l’eterno ritorno dell’uguale in Italia

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Le ragioni di Fassina e l’eterno ritorno dell’uguale in Italia

Il senso di inanità e di noia è qualcosa con cui abbiamo imparato a convivere ormai da lungo tempo. L’impressione di avere a che fare con parole tanto a lungo ripetute da aver smarrito il proprio senso, parole tra cui il lessico del nuovo occupa ormai il primo posto. E’ da decenni che si pontifica di novità, di giovani, di rinnovamento, ma via via con un crescente senso di fatica e stanchezza.

Nel frattempo la Seconda Repubblica sembra infilarsi in una masochistica coazione a ripetere, riproducendo la crisi che diede ad essa la luce nel 1992-1993. Una crisi finanziaria. Un governo tecnico. Una rivolta popolare contro la partitocrazia. Un dilagare di inchieste giudiziarie. Nuovi partiti che bussano alla porta, sovrapponibili a quelli di un tempo (Montezemolo come nuovo Berlusconi, Grillo come nuovo Bossi). Una sinistra che sopravvive ma non sfonda.

Tuttavia questo destino non è senza alternative. E’ su questo punto che la proposta di Fassina di andare ad elezioni ad ottobre vorrebbe sollevare una riflessione.

Cosa implicherebbe questa decisione?Si tratterebbe certo di una rottura forte con quello che si è detto e praticato finora. L’azione di governo è stata finora, non solo in Italia, ma in tutti i paesi mediterranei coinvolti dalla crisi, improntata a un determinato concetto di responsabilità. E’ necessario – si diceva – formare governi tecnici, o di larga coalizione che prendano decisioni impopolari che restaurino la fiducia dei mercati. Paradossalmente, come ha poi aggiunto Fassina replicando a Casini che sosteneva appunto la necessità di scelte impopolari, si assume quasi l’impopolarità della scelta come pietra di paragone della sua bontà.

Si assume che l’uso di questi strumenti sia migliore del ricorso alle urne, in quanto quest’ultimo avrebbe condotto a spinte populistiche.

Si imposta così una unilaterale alternativa tra “populismo delle destre e impopolarità delle tecnocrazie. Al fondo sta la convinzione che, insomma, la democrazia va bene ma solo quando serve a poco, mentre invece quando il gioco si fa duro, nei momenti delle scelte decisive, quel manipolo di buffoni e teatranti che affollano la scena politica debba farsi da parte per far spazio alle persone serie. Ma se poi accade che il gioco si inceppa e le persone serie falliscono?

A questo punto la politica pare trovarsi sola di fronte alla propria crisi e alla minaccia del populismo, essendo state spazzate via tutte le alternative. Ma quello che bisognerebbe invece capire è che la radice della crisi della politica sta proprio nella sua non volontà di affrontare le crisi, le situazioni di emergenza.

Che il politico deve assumersi delle responsabilità. E che i sacrifici possono e devono essere chiesti, se necessari, ma che compito della politica è spiegare perché si debbano fare tali sacrifici, a quale fine, in base a quale orizzonte di senso. E compito della politica nel momento della crisi è anche e soprattutto scegliere (giacché krisis significa proprio scelta), perché non esistono soluzioni tecniche, ma solo soluzioni politiche, che inevitabilmente colpiscono alcuni interessi più di altri.

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E se l’espressione “bene comune” deve avere un reale significato, questo dovrebbe essere quello di un’idea di società che si ritiene desiderabile, e che ispira le decisioni che vengono via via prese.

Ciò a cui bisogna richiamarsi è dunque in primo luogo il senso della politica, quella politica alta di cui avremmo bisogno e di cui avvertiamo la mancanza in Germania e in Europa. In questo quadro, andare a votare in anticipo, constatata la situazione di stallo attuale non è un semplice atto amministrativo, ma significa dare una bussola, un orientamento ad un’azione politica che, col governo tecnico, ha smarrito la sua direzione. Esso ha assolto al suo obiettivo “tecnico”: l’Italia ha emesso più della metà dei titoli di Stato previsti per quest’anno a tassi non del tutto proibitivi.

A questo punto però per affrontare la crisi è necessario un passo ulteriore. Qualunque sia l’esito della crisi dell’Euro e quali che siano le strategie che si deciderà di intraprendere, è chiaro che l’Italia e l’Europa usciranno profondamente mutate da questa fase. Una discussione profonda e una scelta consapevole si rendono necessarie. E questa discussione è necessario farla quanto prima perché non sono in gioco astratte teorie, ma persone, il cui disagio e la cui angoscia vengono progressivamente acuiti dalla crisi, dalla disoccupazione e dall’incertezza per il futuro. Nella tensione delle situazioni drammatiche si possono prendere decisioni impegnative e alte, ma, se si lascia che le circostanze si deteriorino, si crea il terreno per altri sentimenti e pulsioni assai più negativi.

Parte imprescindibile dell’agire politico è non solo saper prendere decisioni, ma anche farlo nel momento opportuno.