Il salotto di Borsellino

Una ventina di giorni prima di essere ammazzato, Paolo Borsellino rilasciò un’intervista a Lamberto Sposini, all’epoca giornalista del TG5. L’intervista fu realizzata a casa del giudice, a Palermo.

Borsellino nel suo salotto durante l’intervista

Il video dell’intervista è integrale, ossia si può vedere quando Borsellino deve rispondere due volte alla stessa domanda perché perché per sbaglio si è spenta la luce o il cameraman non era contento dell’inquadratura.

Borsellino ha quasi sempre il volto tirato, c’è nella sua espressione un nervosismo sotterraneo, ma evidente, lo sguardo rivolto chissà dove. Raramente si lascia andare ad un sorriso; solo quando racconta di Giovanni Falcone morto solo poche settimane prima.

Quando Borsellino risponde nuovamente alla medesima domanda perché la prima non è venuta bene per qualche motivo tecnico, utilizza sempre parole e costruzioni sintattiche diverse: non si limita a ripetere pedissequamente ciò che aveva detto pochi secondi prima. Mostra una proprietà di linguaggio d’altri tempi, un frasario elegante, ma efficace, come quello delle sentenze di un magistrato raffinato e pratico quale lui era. Chi parla male, pensa male diceva qualcuno. E dunque chi parla bene, pensa bene. Borsellino pensava bene; e soprattutto pensava e parlava con cautela, con garbo, in pieno rispetto delle regole della buona educazione e della sua professione che prevedono di evitare proclami e scorciatoie mediatiche.

Oltre alle parole ed al volto tirato di Borsellino, ciò che colpisce è l’ambiente circostante: la casa del giudice. Diverse inquadrature scoprono tappeti messi al posto giusto, il divano con ricami antichi, i cuscini curati, l’orologio a pendolo che suona…uno stile ed un’eleganza fuori moda, nobili (nel senso di decorosi), “per bene”.

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Il giorno in cui fu ammazzato, una domenica pomeriggio di luglio, Borsellino era stato a fare il bagno al mare: quando saltò in aria dopo aver suonato il campanello della casa della madre, aveva ancora il costume bagnato in macchina…Il giorno in cui fu ammazzato, una domenica pomeriggio di luglio, gli abitanti dei palazzi intorno al luogo dell’esplosione raccontarono: “Stavo guardando il Tour de France alla televisione quando….”. Anche Borsellino prima di recarsi da sua madre, stava guardando la tappa di montagna del Tour de France…

Lamberto Sposini e Paolo Borsellino

Una pigra domenica pomeriggio di luglio…il dolce far niente del ciclismo alla tivvù…starsene spaparazzati su un bel divano, magari dopo un bagno al mare….Quanto era vicina a Borsellino una vita del genere! Quanto era semplice sceglierla…la stessa vita che fa la maggior parte di noi…Una domenica tranquilla nell’elegante salotto di casa, con i libri e i quadri a posto, la scrivania dello “studio” oltre la porta scorrevole, cullato dal procedere delle biciclette su di una montagna assolata e lontana mentre un pendolo scandisce pigramente il tempo ed ogni tanto tua moglie ti domanda se ti va un caffé…

Quanto era semplice, ogni giorno, scegliere di non immischiarsi in storie di mafia, non andare fino in fondo, chiudere un faldone e riporlo in un cassetto. Piccoli compromessi, chiudere un occhio ogni tanto…tutti fanno così…Non si trattava (e non si tratta) di scelte assolute tra mafia e non-mafia, tra bianco e nero: la “zona grigia” è sconfinata e infiniti sono i cammini per pulirsi la coscienza: si poteva (e si può) anche solo lasciare un po’ perdere in alcune occasioni, non approfondire, non andare a toccare certe persone…Non costava nulla, era molto facile, molto vicino, era lì in quel salotto elegante. E allora quella domenica pomeriggio sarebbe stata fatta solo di “Tour de France”, del silenzio del pendolo, di salsedine sul cuscino di un bel divano. Invece di saltare in aria sotto casa di tua madre, carbonizzato, con un braccio staccato, dopo anni di angoscia e di paura.

Paolo Borsellino “se l’andò a cercare”

Una volta, Giulio Andreotti dichiarò riguardo alla morte di Giorgio Ambrosoli: “Se l’è andata a cercare”. Esatto! Borsellino come Ambrosoli se l’andò a cercare! Ossia non visse, né si comportò come Andreotti lascia intendere che si debba fare di fronte ai soprusi, ai criminali, alle ingiustizie e soprattutto di fronte al proprio dovere: Borsellino rifiutò ogni trattativa, ogni compromesso, ogni accomodamento che avrebbe potuto consentirgli di vivere tranquillo, fare una carriera dignitosa e godersi i nipotini le domeniche pomeriggio al mare.

Del resto questo è ciò che vuole la mafia: che nessuno si metta di traverso, che nessuno voglia sovvertire lo status quo, che nessuno voglia fare l’”eroe”. Eppure questo è il punto: Borsellino non è stato un “eroe”. Siamo piuttosto noi, ogni volta che quotidianamente guardiamo “dall’altra parte”, a fare di Borsellino un eroe; per non doverci confrontare con lui e con ciò che anche noi potremmo essere. Perché se Borsellino è stato un eroe, vuol dire che è stato una persona fuori dal comune, straordinaria, diverso e migliore di noi e quindi noi – in quanto invece persone “ordinarie” – siamo giustificati ed assolti ogni volta che non siamo come lui e non ci comportiamo come dovremmo.

Le immagini del salotto di Borsellino smascherano questo ragionamento vigliacco e auto-assolutorio: Borsellino era come noi, non era un individuo fuori dal mondo, non viveva in chissà quale maniera aliena a come viviamo noi tutti. Quelle immagini “rubate” di casa sua ci inchiodano ad una verità tanto evidente quanto scomoda: come noi aveva paura e come noi amava una casa ben curata, fare il bagno al mare e guardare il Tour de France le domeniche pomeriggio di luglio. Solo che lui aveva scelto di non voltarsi dall’altra parte, di non far finta di nulla, di non lasciarsi sedurre dall’abbraccio del “Ma chi me lo fa fare?”. Tutte cose che anche noi – persone ordinarie – possiamo scegliere di fare ogni giorno, in qualsiasi contesto.

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Un conterraneo di Borsellino, Luigi Pirandello, scrisse: “È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’esser sempre“. Borsellino fu un galantuomo, non un eroe. Perché ogni giorno, “se l’andava a cercare”, ossia ogni giorno – nonostante una vita tranquilla e “andreottiana” fosse lì a portata di mano, su quel divano ricamato – sceglieva di compiere il proprio dovere, seguendo le regole ed i valori in cui credeva. I mafiosi, gli usurpatori, i violenti non temono tanto gli eroi – che come scritto da Pirandello possono essere tali una volta tanto – quanto i galantuomini che sempre rifiutano la logica del privilegio, della violenza, della prevaricazione del più forte sul più debole.

In un’intervista chiesero a Giovanni Falcone chi glielo facesse fare. E lui, quasi con un sorriso sulle labbra, come sapendo di affermare un’assurdità in un mondo fatto di egoistici compromessi, rispose: “Lo spirito di servizio, soltanto quello”.
Una risposta d’altri tempi, una risposta da galantuomo.

L’intervista di Sposini a Borsellino è a questo link.