Ucraina, vince il Partito delle Regioni. The worst is yet to come

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Ucraina, vince il Partito delle Regioni. The worst is yet to come

 

Scala Reale. Il tappeto verde ucraino, scoperte le carte elettorali, viene sbancato dal Partito delle Regioni. Forte della posizione di privilegio, raggiunta dopo il successo alle presidenziali del 2010, il partito di Yanukovych legittima la propria leadership, aggiungendo alle preziosissime carte possedute, Presidenza della Repubblica, principali settori dell’economia, controllo dei media e della giustizia, una riconferma parlamentare che gli consentirà di rafforzare il proprio controllo sul Paese. Il 32% dei consensi elettorali nelle liste proporzionali, e i due terzi dei seggi uninominali, garantiranno contemporaneamente la sua continuità di mandato e la sempre più accentuata depressione del Paese.

 

I frammentati sfidanti al tavolo, già dati per sconfitti in partenza, si fermano al 24% (Fronte del Cambiamento-Batkivshchyna) e al 13,47% (Udar). Nel mezzo, terzo classificato nella contesa, la riconferma del radicamento del Partito Comunista Ucraino (13,89%) incrementante ulteriormente il jackpot della coalizione governativa. Ultimo partito varcante la soglia parlamentare del 5% è il nazionalista Svoboda che, grazie ad una martellante campagna elettorale sulla legge sugli idiomi, raggiunge un inaspettato 9% (è stato inoltre, grazie al suo forte radicamento territoriale nelle regioni dell’Ovest, il terzo partito nei collegi uninominali). Nonostante freneticamente le opposizioni, Fronte del Cambiamento-Batkivshchyna, Udar, Svoboda, si apprestino a siglare verbalmente un accordo di collaborazione in Parlamento, sembra difficile in futuro possano trovare la sintonia dichiarata su buona parte dei temi oggetto delle discussioni parlamentari. Due i principali nodi. Da una parte, il nazionalismo di Svoboda, difficilmente potrà essere ricondotto su posizioni più moderate nella discussione di delicati provvedimenti su scala nazionale. Dall’altra, il protagonismo di Klitschko, nascostamente covante il desiderio di presentarsi come leader indiscusso dell’Opposizione alle presidenziali del 2015, facilmente cozzerà con la prospettiva unitaria dichiarata a caldo dopo gli esiti elettorali.

Se riserve di dubbio possono essere avallate sugli scenari aperti dalla tornata, tre sono le certezze da essa confermate. In primis, un Paese che, nonostante gli anni trascorsi dall’Indipendenza ammontino oramai a ventuno, si mostra sempre più lacerato in due fazioni reciprocamente sorde. Le divisioni aperte in agosto dalla legge sugli idiomi, vengono riconfermate dall’esplicita mappatura dei risultati elettorali. La prevalenza di preferenze incassata, ancora una volta, nelle regioni dell’Est e del Centro dal Partito delle Regioni e dal Partito Comunista e le preferenze incassate dai partiti dell’Opposizione nelle regioni dell’Ovest, denunciano molto più di una elettorale scelta di campo. Manifestano infatti, per l’ennesima volta, le due diverse visioni del mondo che prevalgono all’interno del Paese. Una visione di sviluppo riformatrice ed europeista, nell’Ovest. Una visione retrograda, di filo-russo recesso democratico nell’Est e nel Centro. La nuova investitura conferita al Partito delle Regioni, e le conseguenti tinte geografiche della nuova maggioranza parlamentare, genereranno un ulteriore incremento e un ulteriore inasprimento di una frattura sempre più esposta.

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L’altro fatto di giornata, non nuovo a chi segue da vicino le questioni interne, evidenziato da chi, catapultato in Ucraina solo in occasione delle consultazioni elettorali scopre oggi il Paese, è il diffuso e capillare sistema di brogli, contrattazione e vendita di voti, finanziamento pubblico della campagna e “mea condicio” elettoral-mediatica registrato dagli osservatori internazionali. Evidenziabile, questo sì, sarebbe stato magicamente riscontrare la regolarità delle elezioni in un Paese in cui, non solo non vige lo Stato di diritto, ma esso non trova neanche lontana concezione teorica.

La terza certezza ribadita dagli esiti elettorali è la conferma di una totale sfiducia nei confronti della politica da parte di ampi settori dell’elettorato, giovani in testa, registrante un contenuto 57% alla voce affluenza. Il pericolo anti-politico, che i sondaggi pre-elettorali davano per sventato, si è invece realizzato dando coerenza e continuità alle recenti consultazioni tenutesi nello spazio post-sovietico (elezioni parlamentari georgiane ed elezioni amministrative russe).

I titoli di coda dei verdetti elettorali riportano, infine, una bruciante sconfitta, nonostante la popolare candidatura di Andriy Shevchenko, sia per Ucraina Avanti! (1,7%) che per l’ex-leader rivoluzionario e Presidente ucraino Viktor Yushenko (1,5%), incapaci di ottenere consensi validi ai fini di un approdo parlamentare.

Ufficializzati gli esiti elettorali, forte del nuovo mandato popolare, il Presidente Yanukovych potrà quindi sdoganare, senza più alcun timore, ciò che la scadenza elettorale aveva posticipato e che la lontana scadenza delle presidenziali del 2015 gli permetterà di implementare. Il progetto di riforma, gelosamente custodito nel cassetto e sagacemente redatto a più mani, prevederà il lento affermarsi della seguente ufficiosa ricostituzione dello Stato. Il potere legislativo, esercitato costituzionalmente dal Parlamento, passerà nelle mani del Governo che si avvarrà, oramai non più tanto velatamente, degli interessati suggerimenti degli oligarchi. Il potere esecutivo, semanticamente rivoluzionato, per compensazione verrà devoluto al Parlamento che si farà redattore di leggi già scritte, garantendone anche la loro approvazione. Il potere giudiziario, infine, completerà il suo percorso di delega vassallatica e vedrà le governative corti giudiziarie abusare sempre più elegantemente del proprio libero arbitrio su cittadini sempre meno garantiti. Yanukovych riscriverà Montesquieu. L’arroganza al potere seppellirà lo Stato di diritto. I catapultati osservatori internazionali si congederanno da Kiev. Il mediatico sipario calerà. Ci rivedremo nel 2015.