Dopo Obama il ritorno delle dinastie politiche? L’America fra Clinton e Bush

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Quando all’inizio del 2008 un giovane senatore nero di nome Barack Hussein Obama, padre keniota e madre Americana del Kansas, si candidò alle primarie democratiche per la presidenza degli Stati Uniti, nessuno dell’establishment del partito di allora si preoccupò. Dopotutto dopo gli otto anni di presidenza del repubblicano George W. Bush si riteneva inevitabile l’elezione di Hillary Clinton, conosciutissima ex first lady, senatrice per lo stato di New York e esponente di una delle due famiglie storiche della politica americana. Sappiamo benissimo quello che successe, quel giovane senatore dell’Illinois, allora sconosciuto ai più, ebbe la meglio sia nelle primarie di partito che nella “general election” e diventò il 44esimo presidente degli Stati Uniti.

 

Barack Obama è stato recentemente rieletto ad un secondo mandato, e governerà anche per i prossimi quattro anni. Nonostante questo ciclo elettorale si sia appena concluso, è già ora per i “pundit” americani di discutere chi potrebbe essere il suo successore nel 2016. Sì, perché negli Usa la legge federale proibisce ad un presidente di correre per più di due mandati e Barack Obama non potrà più ricandidarsi. “Questo è l’ultimo giorno della mia ultima campagna elettorale” ha detto solo pochi giorni fa, in lacrime, ai suoi sostenitori in Iowa, proprio lo stato che lo lanciò nella corsa per la Casa Bianca. L’unica eccezione nella storia fu quella di Franklin Delano Roosevelt che servì il paese per ben dodici anni; chissà quanti altri dopo di lui avrebbero voluto correre per un terzo mandato (e probabilmente lo avrebbero anche vinto), dal suo successore Harry Truman, all’ex generale Dwight Eisenhower per arrivare a Ronald Reagan. Questo però  non è possibile e bisogna guardare oltre, chi sarà quindi nel 2016 a succedere a Barack Obama e a diventare il 45esimo Presidente degli Stati Uniti?

Sono i molti i nomi che vengono proposti in queste ore, giorni e settimane; sia in campo repubblicano che in casa democratica, ma l’opinione pubblica e gli stessi insider dei diversi partiti sembrano certi: dopo la novità (positiva o negativa che sia, a seconda del parere di ognuno) rappresentata da Obama, le grandi dinastie politiche d’America vorranno ritornare protagoniste.

Kennedy ! – direte voi. No, anche se un pronipote del compianto ex presidente è appena stato eletto alla camera continuando nel solco dei suoi predecessori, non bisogna guardare così lontano.

Le dimissioni di Hillary Clinton dalla segreteria di stato e il rinnovato impegno di suo marito Bill nel far eleggere Obama ad un secondo mandato sembrano infatti indicare le future ambizioni politiche dell’ex first lady. Gira voce nell’establishment democratico che a proprio lei verrà offerta prima di tutti la candidatura e gli altri possibili candidati, dal governatore del Maryland Martin O’Malley a quello di New York Andrew Cuomo (figlio del famoso Mario), attenderanno una sua decisione prima di annunciare i loro piani.

Un recente sondaggio della casa demoscopica PPP indica che la Clinton sarebbe la immediata favoritaper la nomination. Gli elettori democratici dell’Iowa, primo stato che storicamente si esprime nella “stagione” delle primarie, la preferirebbero col 58% delle preferenze a qualunque altro candidato e secondo, molto distaccato, sarebbe l’attuale vicepresidente Joe Biden, con solo il 17% dei voti.

Dall’hope and change di Obama al back to the future del 2016?

Il campo repubblicano sembrerebbe essere molto più fluido, con il solito contrasto fra i candidati dell’establishment e quelli dell’ala oltranzista del tea party. Tuttavia, uno dei favoriti alla nomination e, a detta di tutti, colui che potrebbe mettere d’accordo le varie anime del partito, potrebbe essere l’ex governatore della Florida Jeb Bush. Secondo alcuni dei suoi più stretti collaboratori, Bush si sarebbe candidato già nel 2012, ma ha dovuto fare i conti con un problema non marginale: il suo cognome, attualmente tossico nell’ambiente politico statunitense.

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Jeb, a differenza del fratello W, è considerato il figlio più preparato di George H.W. Bush; governatore della Florida per due mandati ha saputo farsi apprezzare sia dai democratici che dai repubblicani, ed è stato per lungo tempo uno dei governatori più apprezzati del paese. Come se non bastasse, dimostra anche un certo “appeal” verso l’elettorato ispanico, è sposato con una immigrata messicana e parla spagnolo in maniera fluente. Insomma, un candidato perfetto per un partito in crisi di consensi fra le minoranze, l’unica domanda che gli strateghi repubblicani si pongono è: fra quattro anni il cognome Bush si sarà ristabilito?

Fra i Rubio, i Santorum, i Ryan, i Thune e i Paul potrebbe quindi essere ancora una volta un Bush a rappresentare l’ancora di salvezza per il partito repubblicano così come una Clinton rappresenterebbe il salvagente dei democratici.

Pur essendo ancora presto per capire chi effettivamente si candiderà alla presidenza nel 2016 (le primarie inizieranno solo dopo le elezioni di midterm del 2014), sembra possibile se non addirittura probabile che in campo ci saranno ancora, per l’ennesima volta, due esponenti di famiglie storiche della politica statunitense.

Hillary e Jeb ci penseranno, e a lungo.  Per molti mesi, se non anni, sarà difficile se non impossibile cogliere il benché minimo segnale sulla disponibilità dei due “potenziali” candidati ma una cosa è certa: Hillary o Jeb, Chelsea o George Peter (figli rispettivamente di Bill e Jeb, per l’appunto), i Clinton e i Bush saranno presto di nuovo protagonisti.

Dopo otto anni di “hope and change”, sembra arrivato il momento per un nuovo slogan per la politica Americana: “Back to the Future”.