I perché del voto alla Fiat

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Analisi dei risultati del referendum di Torino e dell’exit poll di Termometro Politico nell’articolo di Tito Boeri e Fabiano Schivardi (Lavoce.info)

di TITO BOERI e FABIANO SCHIVARDI

Si torna finalmente a parlare di regole sulla rappresentanza e di decentramento della contrattazione. Ma cosa insegna la vicenda di Mirafiori? La strategia “prendere o lasciare” di Marchionne è inadeguata. E la Fiom ha avuto buon gioco a politicizzare il confronto. Il voto ha così acquisito un significato molto diverso da un pronunciamento sui contenuti specifici dell’accordo. Solo la ripresa del dialogo e la creazione di consenso attorno al progetto Fabbrica Italia possono garantire la governabilità degli impianti e una crescita della produttività che assicuri lavoro e diritti.

Dopo il voto alla Fiat è finalmente ripartito il confronto sulla riforma delle relazioni industriali. Si parla di regole sulla rappresentanza e di decentramento della contrattazione. Molto bene perché c’è bisogno urgente di riforme e il confronto in atto dimostra quanto da tempo sostenuto su questo sito, vale a dire che l’accordo del gennaio del 2009 non ha riformato un bel nulla.
Affinché il confronto porti a risultati concreti, è opportuno trarre lezioni dall’esperienza della Fiat. Ci offre indicazioni importanti sugli orientamenti dei lavoratori, dunque anche sui vincoli che stanno di fronte al sindacato, che li dovrebbe rappresentare, e sulle imprese, che con loro devono trovare accordi. In questa nota cerchiamo di trarre alcuni spunti da una indagine condotta da Umberto Marengo (Università di Cambridge) e Lorenzo Pregliasco per Termometro Politico, intervistando un campione di 510 operai all’uscita e all’entrata di Mirafiori nei giorni del referendum.” ai cancelli della Fiat. Le osservazioni sono state pesate al fine di eguagliare il totale dei sì e dei no a quelli effettivamente registrati tra gli operai di Mirafiori. La scheda allegata fornisce ulteriori dettagli e risultati.

LE MOTIVAZIONI DEL VOTO: RICATTO O CONTENUTI?

Il voto a Mirafiori sembra sia stato determinato principalmente da ideologia e motivazioni di principio più che dai contenuti dell’accordo in quanto a turni, salari, assenteismo e rappresentanze. Come si evince dal grafico qui sotto, sia fra i sì che fra i no ha prevalso l’interpretazione dell’accordo come di un “ricatto”. I tre quarti dei lavoratori che hanno votato a favore dichiarano di averlo fatto perché l’accordo è necessario per salvare il posto di lavoro, e solo un quarto lo giudica positivo o con limiti, ma accettabile. Molto significativo anche il fatto che circa l’80 per cento dei no ha motivato il voto perché percepito come un ricatto. Solo l’8 per cento lo ha fatto per i turni, lo straordinario e le pause, il 5 per le limitazioni allo sciopero, il 2 per le modifiche alle assenze per malattia. È chiaro che i lavoratori sono meno preoccupati dalle modifiche alle condizioni di lavoro che dal modo in cui la trattativa è stata portata avanti.

La percezione dell’accordo come ricatto è confermata dall’analisi del voto rispetto alle caratteristiche individuali. Avere figli e/o coniuge che non lavora o ha lavoro precario è uno dei fattori che ha maggiormente influito sul voto. Tra questi lavoratori c’è stato un voto più favorevole all’accordo, presumibilmente perché per loro la posta in gioco in termini di perdita del posto di lavoro è più alta. Anche i neoassunti sono stati generalmente più favorevoli all’accordo. Nelle scelte di voto gioca comunque un ruolo decisivo l’orientamento politico: la probabilità di votare sì diminuisce del 20 per cento tra i lavoratori di orientamento vicino all’opposizione; l’opposto avviene tra quelli vicini alla maggioranza.

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In termini di iscrizione al sindacato, il sì prevale leggermente fra i non iscritti e in modo più netto (64 per cento) fra gli iscritti ai sindacati firmatari. Seppur non bassa, questa percentuale dimostra una “fedeltà” alla linea sindacale ben inferiore di quella degli iscritti alla Fiom ai Cobas e alle rappresentanze di base (sigle contrarie all’accordo), dove il no ha registrato un picco superiore all’80 per cento.

PROBLEMI DI CREDIBILITÀ

Se la nostra interpretazione è corretta – il voto si è giocato quasi esclusivamente sul piano ideologico rispetto a quello dei contenuti – si pongono seri problema di credibilità per i firmatari dell’accordo, tanto per l’azienda che per i sindacati. Due domande del questionario riguardano il grado di fiducia nei sindacati e in Sergio Marchionne, con risposta in una scala da 1 (nessuna fiducia) a 10 (massima fiducia). Definiamo come aver fiducia un voto di almeno 6. La fiducia nell’amministratore delegato è bassa, anche fra chi ha votato sì all’accordo (35 per cento), tra gli iscritti ai sindacati che l’hanno firmato (25 per cento) e tra i non iscritti al sindacato (19 per cento).

La fiducia nei sindacati è più alta fra chi ha votato contro l’accordo. Due terzi degli iscritti alla Fiom, ai Cobas o alle rappresentanze di base esprimono fiducia nei sindacati, contro il 36 per cento fra gli iscritti ai firmatari e il 40 per cento fra i non iscritti.

RAPPRESENTANZE

I lavoratori che sono iscritti alla Fiom sono maggiormente orientati verso l’opposizione e sono più giovani degli altri lavoratori, ma non sono necessariamente quelli con minori anzianità aziendali. Le altre caratteristiche individuali non hanno un’influenza apprezzabile sulla scelta del sindacato. L’iscrizione al sindacato appare quindi determinata principalmente da orientamenti ideologici.

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GLI SCAMBI DEL FUTURO

In che misura sarà possibile per l’amministratore delegato e i sindacati che hanno sottoscritto gli accordi guadagnare fiducia tra i lavoratori depoliticizzando il confronto? Il questionario ha chiesto se per il futuro si ritenesse più importante migliorare le condizioni di lavoro o aumentare lo stipendio. La maggioranza propende per le condizioni di lavoro, ma anche il salario conta, soprattutto per chi ha meno di dodici anni di anzianità aziendale (il 10 per cento di lavoratori che sono da meno tempo dipendenti della Fiat), ha mogli che non lavorano o hanno lavori precari. Forse questo è il terreno principale su cui cercare di recuperare il consenso perduto.

UNA STRATEGIA SBAGLIATA

Conclusione: la strategia “prendere o lasciare” di Marchionne si sta dimostrando inadeguata. La Fiat ha ottenuto la firma del contratto come voleva, ma al costo di alienarsi il consenso di una larga parte dei lavoratori. In un paese come il nostro, con un sistema giudiziario inefficiente e una normativa in materia di lavoro molto complicata, affidarsi solo alle norme contrattuali è molto rischioso. Al tempo stesso, la Fiom ha avuto buon gioco a politicizzare il confronto in un ambiente già fortemente ideologizzato. Il voto ha così acquisito un significato molto diverso da un pronunciamento sui contenuti specifici dell’accordo.

Confini più netti fra contrattazione e politica possono aiutare una ricomposizione di questi conflitti. Un approccio meno intransigente da parte della Fiat anche. Un altro terreno su cui cercare il consenso potrà essere quello dei salari, ma un puro scambio più salari-condizioni più dure potrebbe non funzionare. È necessario ritrovare il filo del dialogo. Il muro contro muro su questioni ideologiche fa passare in secondo piano le questioni su cui si gioca questa importante partita. Solo la ripresa del dialogo e la creazione di maggior consenso attorno al progetto Fabbrica Italia possono garantire la governabilità degli impianti, e attraverso questa, la crescita della produttività che possa assicurare lavoro e diritti.

 


L’articolo è stato pubblicato da Lavoce.info e si basa sulla ricerca curata da Umberto Marengo e Lorenzo Pregliasco per Termometro Politico. Cliccando qui è possibile scaricare il file pdf con la nota metodologica e il questionario.