Ucraina, la nascita dell’ignota: la società patriarcale

Ucraina, la nascita dell’ignota: la società patriarcale

 

Il teatro geopolitico, in coerenza con la consolidata struttura delle rappresentazioni, propone una doppia dimensione: la ribalta e il retroscena. Se immediato risulta conoscere ed analizzare i principali eventi e le loro dirette conseguenze politiche, enormemente arduo diviene indagare gli indiretti sconvolgimenti delegati alla riservatezza del retroscena. Compresi i cambiamenti generati dal crollo dell’Unione sovietica, e le conseguenti ridefinizioni di potere geopolitiche, gli sviluppi sociali indirettamente coinvolti sono ancor oggi velatamente nascosti. Capire le loro evoluzioni diventa però fondamentale al fine di perimetrare i nuovi accadimenti sulla scena politica. Una è, infatti, la direzione relazionale tra ribalta e retroscena: il moto circolare. Le conseguenze geopolitiche ricadono indirettamente sulle dinamiche sociali che, a loro volta, indirettamente ridefiniscono i modificati assetti politici.

Una mutante dinamica permea oggi la società ucraina: il passaggio da società matriarcale a società patriarcale. Due i driver del cambiamento. Il fenomeno migratorio e i modelli dell’élite al potere.

La perpetrata rappresentazione a vocazione maschile della società ucraina deriva da una confusione dei piani di analisi. Il piano culturale, dominato dalla tradizione, ha innegabilmente visto trionfare l’immagine di conduzione sociale patriarcale. L’analisi del piano economico, base su cui si definiscono i processi sociali, racconta però una storia radicalmente diversa. Sin dall’epoca sovietica, le donne, erano infatti coloro che, lavorando con abnegazione, garantivano il sostentamento economico familiare. Gli uomini, contrariamente, furbescamente narcotizzati dalla droga politica offerta loro da interessati governanti, l’alcool, hanno sempre interpretato il ruolo di autoritari perdi tempo. L’interesse politico a mantenere, coloro che si considerava potenzialmente i motori di un possibile cambiamento, in uno stato ferino (mangiare, bere, dormire e riprodursi) ha delegato quindi alla popolazione femminile la sfera dell’emancipazione lavorativa. La conseguente falsa rappresentazione pubblica del ruolo patriarcale dell’uomo in ambito familiare si risolveva infatti, privatamente, nelle alcoliche violente preghiere rivolte dai mariti alle mogli volte ad ottenere qualche copeco inebriante le giornate condivise con le altre fiere accomodatesi nella confortevole limitatezza del mangiare, bere, dormire e riprodursi. Coerentemente, oggi, le tratte migratorie registrano una totale prevalenza di popolazione femminile.

Le donne, come visto abituate al sacrificio, nuovamente si adoperano per garantire unilateralmente futuro ai propri figli. Essi, cresciuti lontano dagli unici esempi meritori, le loro madri, si trovano oggi  con una valanga di denaro fra le mani e con nessun modello familiare capace di indirizzarne l’uso. Così, concedono il solito pedaggio alcolico ai propri padri, conservano le misere somme necessarie al mantenimento del ridotto nucleo familiare (eventuali nonne/i, fratelli o sorelle minori) e, acriticamente, si impegnano con le restanti somme a replicare i modelli proposti dall’unica apparente cometa rimasta loro: l’élite al potere. Nel tentativo di riproporre la sua scalata sociale duplice diviene il percorso intrapreso.

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Gli uomini guardano agli oligarchi. Le donne, alle sgualdrine che li accompagnano. I primi, infatti, impiegano i capitali derivati dal migratorio Superenalotto familiare al fine di ottenere gli illegali privilegi utili al consolidamento dei loro nascenti business. In coerenza con il necessario restyling imposto dalla nuova posizione pretesamente assunta devolvono inoltre la parte restante degli stessi all’acquisto di beni di consumo legittimanti il nuovo preteso status. Orologi, macchine, vestiti, locali frequentati, persone frequentate. E qui arriviamo alle sgualdrine di poco sopra. Ogni oligarca, o presunto tale, che si rispetti deve infatti annoverare nel proprio paniere di status anche una compagnia femminile adatta a legittimare la propria scalata sociale. Qui nasce l’altra metà della miseria dovuta all’assenza di un modello di riferimento. Le ragazze, anch’esse incolpevolmente abbandonate dalle proprie madri, rimborsanti la propria assenza con laute rimesse economiche, impossibilitate inoltre ad intraprendere la mancanza di modelli proposta dai padri, si rivolgono altrove. E cosa trovano? Trovano le svergognate donne, più o meno giovani, che hanno barattato la propria dignità con l’agiatezza di status, offrendosi al bramoso desiderio socio-estetico degli oligarchi. Così, nelle pause tra una lezione universitaria e l’altra, concludono i loro strusci in negozi di cosmetica ed abbigliamento, sognanti di incontrare le personificazioni di una svolta sociale il sabato seguente in discoteca. Ribaltando radicalmente il modello di sacrificio proposto dalle loro madri, si congiungono ai nuovi potenti, o pretesi tali, accettando il ruolo di accomodanti casalinghe pienamente appaganti i desideri di coloro che oggi assicurano il sostentamento famigliare, i loro mariti. Essi, soddisfatti dei figuroni garantiti da un paniere di status arricchito da lussureggianti mogli, si riservano di mantenerne i loro vizi, lo shopping e la palestra, e di alleviare la noia delle loro giornate creando giocattolini-attività-economiche deputate, sotto l’egida delle nuove improvvisate imprenditrici, all’immediato fallimento.

Così è avvenuta la transizione dal modello socio-economico matriarcale a quello patriarcale. Le iniziali risorse che lo hanno attivato tra i ranghi della nascente classe media (i sacrifici esteri delle donne-madri) e la freschezza del fenomeno (meno di dieci anni) non permettono ad oggi di intenderlo come consolidato. La certezza è che, metastasicamente allargandosi, troverà presto radicamento e sviluppo in ampie fasce della popolazione, ufficializzando così la sua affermazione ed intensificando contemporaneamente le false convinzioni di una solo presunta futura classe media.