Bielorussia, tecnologie europee alla corte di Lukashenko

BIELORUSSIA – Il 23 ottobre 2012, durante un dibattito al Parlamento Europeo, Marietje Schaake, eurodeputata olandese tra le fila del partito social-liberale Democrats 66, prende la parola. Preoccupata dai report proposti dal Comitato Affari Esteri (AFET) e dal Comitato Commercio Internazionale (INTA), di cui è membro, sottopone ai presenti la materia riguardante le esportazioni europee ai regimi autoritari delle cosiddette “surveillance technologies”.

Presenta inoltre una mozione al fine di liquidare una pratica che, ampliando i profitti delle compagnie europee, riduce la libertà di espressione delle società civili. Le “surveillance technologies”, o tecnologie di sorveglianza, sono infatti sistemi hardware o software volti a rendere più efficiente la tracciabilità del traffico internet e mobile, semplificando conseguentemente l’identificabilità degli utenti. Facile intuirne quindi il fascino suscitato tra le schiere dei regimi ad indole censoria.

Dietro la generalità della mozione avanzata dalla Schaake, e successivamente approvata dal Parlamento Europeo, si nascondeva uno specifico case study: la Bielorussia. L’ex repubblica sovietica, recentemente ri-catalogata come fanalino di coda dai principali osservatòri sulla libertà di espressione (Reporter senza Frontiere, Freedom House), sta conoscendo infatti un incremento del traffico internet, e degli utenti attivi, raramente registrato in precedenza, generante preoccupazione tra le autorità del regime. Secondo dati forniti dallo United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) e da gemiusAudience, la Bielorussia, presentando 4.4 mln di utenti attivi, un incremento annuo di 500 mila unità e un 55% della popolazione connessa, si inserisce oggi tra i venti Paesi più in crescita nell’utilizzo di Internet. Registra inoltre un 70% degli utenti attivi attraverso banda larga e 2.1 mln di utenti connessi via mobile. Propone infine un riformato scenario mediatico in cui ampio spazio trovano testate indipendenti, come charter97.org e belaruspartizan.org, e in cui i social network riescono a creare partecipazione (le pagine di gruppi quali “Revolution Through Social Networks” e “Movement for the Future” sono arrivate sino a 100 mila utenti).  Così, le brame censorie del regime si trovano oggi costrette a re-inventare i propri interventi o ad ampliarne la sfera di utilizzo. L’uso politico del reato di diffamazione, implementato dall’arbitraria interpretazione degli articoli 367-369 del Codice Penale, oltre che dell’articolo 17.1 del Codice Amministrativo, nonostante le quinquennali pene restrittive previste e il loro allargamento ai nuovi “criminali digitali” (i moderatori delle social media communities), sembra infatti non essere più abbastanza. Né più sufficienti sembrano essere i provvedimenti introdotti dal Decreto Presidenziale n. 60 del febbraio 2010. Esso, promuovendo un’importante escalation censoria, impone una serie di misure volte a limitare pesantemente la libertà di espressione della società civile. Oltre all’obbligo di registrazione esclusiva sotto il dominio .by, introduce infatti un sistema di sorveglianza (System for Operative Activities – SORM)  e una delega di controllo ai servizi segreti (Operations and Analytical Centre – OAC) tesi a scandagliare capillarmente le attività degli utenti. Obbliga, inoltre, gli Internet Service Providers (ISPs) a conservare per un anno il traffico dati degli utenti, ivi incluse le URL visitate e la durata della navigazione, estendendo la disposizione anche ai proprietari di internet cafè. Introduce, infine, l’istituzione di “lists of limited access” annoveranti gli indirizzi Internet ritenuti inaccessibili da connessioni pubbliche (università, internet cafè, istituzioni pubbliche). I risultati di tale implementazione normativa, sufficienti a debilitare le nuove forme di partecipazione civile, insufficienti a soddisfare i desideri repressivi di Lukashenko, hanno indotto quindi le autorità della Bielorussia, nel 2010, ad intensificare i propri sforzi. Si è giunti così alla pubblicazione del documento “Strategy for the Development of an Information Society in the Republic of Belarus until 2015” in cui veniva pianificata la spesa di 350 mila dollari “in the development of a hardware-software complex for inspection and monitoring of the information resources of the national segment of the global computer network internet”. Tradotto, si disponeva il ricorso alle raffinate tecnologie di sorveglianza sviluppate dalle principali compagnie occidentali. Chi sono quindi gli occulti imputati della mozione Schaake? Il primo risponde al nome di TeliaSonera. Il secondo di Ericsson.

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TeliaSonera, ereditiera del monopolio statale in due dei principali mercati scandinavi, è il risultato della fusione avvenuta nel 2002 tra l’operatore svedese Telia e l’operatore finlandese Sonera. Il 43,5% delle sue azioni è detenuta dallo Stato svedese, il 13,2% dallo Stato finlandese. Possiede inoltre una serie di svariate partecipazioni in mercati europei ed extra-europei. Una di queste recita il nome di Turkcell, di cui detiene il 38% della proprietà, e la quale a sua volta possiede l’80% delle azioni della compagnia bielorussa BeST, terza operatrice del mercato della Bielorussia e prima indiziata dell’interrogazione parlamentare europea.

Ericsson, invece, non necessita di presentazioni. Le sue tecnologie, Gsm e 3G, esportate in diversi mercati, sono infatti ampiamente conosciute su scala internazionale. Tra i suoi clienti, oltre a Turkcell, risulta esserci anche Telekom Austria, attiva in diversi mercati europei e operante in Bielorussia attraverso la sussidiaria Velcom, seconda operatrice del mercato nazionale e seconda indiziata dell’europea interrogazione parlamentare.

Posta la non colpevolezza sino a prova contraria, e considerate le plurime smentite sulla fornitura di servizi al regime Lukashenko in Bielorussia, rimangono dubbi sull’operare delle due compagnie. Perché, se è vero che nessuna operazione diretta è intercorsa tra le parti, è vero anche che, vendendo tecnologie a partner terzi, vantanti un filo diretto con la Bielorussia, il risultato che ne consegue è un indiretto beneficio garantito agli autoritari implementatori di sanzioni censorie. Che, a seguito dell’intervento del Parlamento Europeo, i danni alla società civile inizieranno a essere registrati nei bilanci di esercizio? Difficile ma auspicabile.