Moretti ha anticipato la realtà con “Habemus papam”

Nanni Moretti. Ieri, alla notizia delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, come in un flash è tornato in mente a chi lo aveva visto il film di Moretti uscito circa due anni fa. Il famoso – da oggi ancor più – “Habemus papam”. Chissà perché. Un Papa che è stato tale per circa otto anni – Joseph Ratzinger – ed uno che non è riuscito neanche a cominciare – il Cardinale Melville del film –. Eppure il ricordo è riaffiorato all’istante.

Nanni Moretti decise a suo tempo di raccontare un’ipotesi così improbabile da far riflettere proprio per questo carattere di assurdità: cosa succederebbe se il Papa, un giorno, non se la sentisse di essere il Papa? Se il rappresentante della Chiesa, una persona che ha dedicato tutta la sua vita a diffondere la parola del Signore, investito dalla somma responsabilità di rappresentarlo al cospetto dell’umanità intera, volesse esimersi da questo compito? Quali reazioni susciterebbe – si chiedeva Moretti nel film – un caso senza precedenti?

Ovviamente senza precedenti degni di considerazione per noi, che viviamo in questa epoca e non in un’altra.

Moretti ci aveva mostrato quello che è dato vedere solo dall’esterno: cosa accade nelle stanze del Conclave mentre il mondo, in trepidante attesa, aspetta fuori una fumata bianca. Naturalmente immaginandolo a suo modo. I cardinali, di rosso vestiti, seduti uno accanto all’altro con penna e foglio per scrivere la storia della Chiesa e del mondo intero. Investiti da tanta responsabilità, eppure immaginati dal regista nervosamente impacciati, mentre cercano di spiare, come si fa a scuola, cosa è scritto sul biglietto del compagno di banco.

Più che dei severi rappresentanti della Chiesa sono delle persone tremendamente impaurite. Terrorizzate. Una torre di Babele di voci che si accavallano e in ogni lingua affermano la stessa cosa: Non io, Signore, non scegliere me, non sono all’altezza.

Al momento della sua inaspettata elezione, Moretti ci mostra un Papa colto da un enorme senso di inadeguatezza, sopraffatto dall’ansia e incapace di sorridere quando i cardinali si stringono a cerchio intorno a lui, sollevati per una sorte che non è toccata a loro. Alla domanda Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?, questi è esitante e dapprima non risponde. Fino a quando qualcuno intona un Te Deum che non gli lascia scampo.

Ma i bisogni dell’uomo male si addicono ai bisogni di un Pastore della Chiesa. In fondo non è che un uomo come tutti gli altri. E il suo bisogno primordiale è quello di fuga. Fuga da un ruolo che non ha mai veramente vagliato, che lo coglie impreparato e che non gli appartiene. Fuga dalla marea di persone, provenienti da ogni parte del mondo, che lo aspettano riunite in Piazza San Pietro, pronte ad acclamarlo.

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La bellezza di “Habemus papam” è aver raccontato un’umanità che il rigore di una certa Cristianità, con le sue istituzioni e i suoi riti solenni, a volte sembra voler offuscare.

Non solo la figura del Papa, che si vuol far “guarire” a tutti i costi persino attraverso l’aiuto della psicoanalisi, ma anche i cardinali immortalati da Moretti gradualmente svelano difetti, vizi e paure che si nascondono dietro l’austera facciata.

Anzi, austeri non lo sono per niente. Costretti ad un isolamento forzato in Vaticano, vorrebbero uscire a concedersi un cappuccino tiepido, con poca schiuma. Si scopre che assumono sonniferi e tranquillanti e sono competitivi come non si addice alle persone di Chiesa. Si rivelano egocentrici, curiosi di sapere a quanto era data la loro elezione presso i bookmakers. Persino un po’ razzisti, quando vogliono partecipare al torneo di pallavolo con una squadra di soli italiani.

Costretto, infine, a presentarsi alla folla in festa in Piazza San Pietro, proprio mentre cercava di riscoprire i suoi interessi e le sue passioni di uomo, il Cardinale Melville pronuncia le seguenti parole:

“In questo momento la Chiesa ha bisogno di una guida che abbia la forza di portare grandi cambiamenti, che cerchi l’incontro con tutti, che abbia per tutti amore e capacità di comprensione. Chiedo perdono al Signore per quello che sto per fare e non so se Lui potrà perdonarmi. Io però devo parlare a Lui e a voi con sincerità. In questi giorni ho pensato molto a voi e purtroppo ho capito di non essere in grado di sostenere il ruolo che mi è stato affidato. Io sento di essere tra coloro che non possono condurre, ma devono essere condotti. In questo momento posso dire soltanto: pregate per me. La guida di cui avete bisogno non sono io, non posso essere io.”

E oggi qualcosa di tutto questo succede davvero. Niente mani portate alla bocca per arrestare lo sgomento, come nel finale del film.

Non importa se si è credenti o laici. La notizia delle dimissioni di Papa Ratzinger merita di essere accolta con grande rispetto. Questi si è trovato a raccogliere un’importante eredità, quella di un predecessore che si è dato generosamente al mondo fino all’ultimo dei suoi giorni, abbracciando la croce della malattia. Con questa pesante eredità sulle spalle, il “tedesco” Ratzinger ha intrapreso e portato avanti il suo pontificato.

Ma l’epilogo è stato diverso. È un epilogo che genera, come negli spettatori del film, una grande commozione per un’umanità che ci appartiene tutti, indistintamente, al di là della nostra missione nel mondo. Il rito di proclamazione del Sommo Pontefice si trasforma in un inedito Nuntio vobis gaudium magnum: habemus hominem! Abbiamo l’uomo. E forse non abbiamo mai sentito Papa Ratzinger tanto vicino.